Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 28 - maggio 1992

i)JJ. BIANCO ~IL ROSSO i Hil RUili I i lG(U~• itii Caracasl:e nuovefrontiere dellaCislinternazionale p arafrasando Walter Reuther, il dirigente sindacale americano del dopoguerra che aveva riassunto nello slogan «né Marx, né Coca-Cola» la dottrina della sua organizzazione, John Vanderveken, segretario generale uscente all'ultimo Congresso della Cisl internazionale, ha delineato i contorni dell'azione che la Confederazione internazionale dei sindacati liberi deve oggi intraprendere. Un'azione centrata essenzialmente sulla democrazia, contraddistinta dalla partecipazione. Solo la democrazia, è stato detto a Caracas, dal 17al 24 marzo scorsi, può risolvere i problemi economici del TerzoMondo, purché la dittatura di partiti e generali non sia sostituita dalla dittatura del mercato e i risultati dell'azione non comportino un aumento della miseria, del caos e della rissa politica che frange estremiste potrebbero colmare. Considerato il «buon allievo» del Fondo monetario internazionale in America Latina, il Venezuela, sede di tensioni sociali determinate proprio da riforme avviate con l'appoggio del Fmi, ha ospitato oltre 152organizzazioni sindacali di 108paesi, rappresentanti di circa 110milioni di lavoratori. Un rafforzamento numerico evidente, rispetto allo scorso Congresso di Melbourne, dovuto soprattutto all'ingresso di confederazioni africane e dei paesi dell'Est europeo, che ormai da tempo hanno lasciato la scomparsa rivale di un tempo della Cisl internazionale, la Federazione sindacale mondiale, d'ispirazione comunista. Ma il rafforzamento numerico non deve, comunque, creare false illusioni. Semmai, deve costituire premessa per una ridefinizione del ruolo della Cisl internazionale e del pluralismo che dovrebbe contraddistinguerla. Se, infatti, il centro di gravità del sindacalismo mondiale tende a spostarsi di Raffaella Vitulano verso l'Europa dell'Est, le nuove strutture appaiono fragili in un ambiente in cui la nozione stessa di sindacato è a volte screditata. I.:analisiavanzata da «LeMonde» nei giorni del Congresso di Caracas non appare del tutto infondata. Nei paesi industrializzati il riflusso è indiscutibile, tranne che nel bastione storico dell'Europa del nord. Le organizzazioni dei paesi in via di sviluppo difendono essenzialmente i dipendenti di un settore pubblico «sovente ipertrofico» e non dispongono di molti mezzi per ostacolare i piani d'austerità, senza considerare che molte non hanno rotto i propri legami con il potere politico. Oggi, dunque, il sindacalismo mondiale, con il neo-segretario generale della Cisl internazionale, l'italiano Enzo Friso, deve rivestire nuovi ruoli, superando la fase prevalentemente dedicata alle affermazioni di diritti e libertà sindacali, per approdare ad un suo accreditamento presso il G7 e le istituzioni create a Bretton Woods (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale), come autorevole interlocutore nei processi decisionali, come fattore creativo di reale e concreta solidarietà ai lavoratori, come contropotere a livello internazionale. Nuovocompito storico del sindacalismo mondiale sarà allora l'alleanza tra i lavoratori dei paesi industrializzati e quelli dei paesi in via di sviluppo. Alleanza che non ha mai trovato, finora, espressione o identificazione politica, forse perché della politica la solidarietà non è mai stata punto di riferimento essenziale, forse perché i falsi miti del predominio delle ferree leggi dell'economia sul sociale, dello sviluppo quantitativoe non qualitativo fino ad oggi l'hanno fatta da padroni. Regolata largamente sullo strapotere delle forze di mercato, concepita per la sopravvivenza e la supremazia di chi sul mercato ha potere di acquisto, lacerata tra il 49 grido immediato della ragione e i lunghi tempi della decisione politica, l'economia mondiale deve costituirne un valido riferimento sostenendo, inoltre, come indica la Cisl, il «diritto d'ingerenza democratica» nel nuovo ordine mondiale, contro il diritto degli stati alla loro «selvaggia sovranità». È solo così che la democrazia mondiale può correggere gli errori, le distorsioni e gli eccessi del capitalismo: ricordando che il fine di una società civilizzata non è necessariamente la sola produttività o il fatturato delle aziende, ma il benessere dei cittadini, evitando, al tempo stesso, il predominio o la competizione di un continente sul!'altro. La guerra del Golfo, ad esempio, ha senza dubbio messo in luce i limiti e le debolezze dell'Europa, confortando, semmai ce ne fosse bisogno, il complesso di superiorità statunitense. Il «nuovo ordine mondiale» tratteggiato da Bush ha però evidenziato il velleitarismo e le ambizioni di un'Amministrazione poco attenta alle esigenze dei lavoratori (e le polemiche tra i sindacati nordamericani, quelli messicani e canadesi sul Trattato di libero commercio non sono ancora sopite), costretta a constatare ogni giorno che non ha fondi per aiutare le nuove democrazie dell'Est, che non ha i mezzi per contribuire ai costi delle missioni di pace dell'Onu e non è in grado di versare la propria quota al fondo di dotazione degli organismi finanziari internazionali. Una divaricazione eccessiva che forse non trova corrispondenza in Europa, il cui successo unitario, dopo Maastricht, passa necessariamente dalla rinuncia progressiva delle sovranità nazionali in due settori politicamente sensibili, quello monetario e quello militare. Ma al di là delle facili diatribe, Stati Uniti, Europa e tutti i paesi industrializzati, accusati (forse da troppe voci) a Caracas di

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