Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 28 - maggio 1992

Qui il discorso non può essere approfondito, ma c'è un punto essenziale da mettere in luce: la democrazia europea si muove in una situazione in cui la sinistra è debole. Se democrazia e sinistra coincidono, allora il sillogismo diventa fin troppo facile: regressione della sinistra e regressione della democrazia coincidono. Si tratterebbe di una verità di principio, e si potrebbe quasi dire apodittica. La sensazione di una crescita drammatica e invadente della destra - che emerge soprattutto fra i politici e gli intellettuali di sinistra - nasce anche dalla presenza più o meno consapevole dei quel principio apodittico. Ma forse le cose non sono così semplici e si può immaginare che, in Europa, si possa assistere a una trasformazione non regressiva della democrazia in presenza di una sinistra debole e senza idee. Insomma, potrebbe accadere (sto solo svolgendo un'ipotesi come stimolo di riflessione) che la connessione fra democrazia e sinistra si dimostri, in questo momento, non molto produttiva di novità istituzionali, politiche e culturali. Che cosa voglio dire? Che la destra liberale (la destra che non mette in discussione l'orizzonte democratico, che non ha tratti eversivi, ecc. ecc.) può espandersi molto al di là dei suoi vecchi confini, può dar l'impressione di un Grande Centro che .Q.lt BIANCO l.XILROSSO • IMi li) ili i i tii Ci)@ •hi sia in movimento nel cuore della vecchia Europa. Può, in una espressione, diventare l'interprete di una situazione nella quale la destra eversiva non riesce a mettere in campo una vera e propria forza politica e agisce piuttosto come sfondo culturale e come rischio, e la sinistra si colloca un pò fuori del gioco decisivo, nel senso (forse non generalizzabile dappertutto, ma sicuramente presente) che non sono le sue idee e le sue impostazioni a prevalere e a essere veramente in campo. Non voglio attribuire più peso di quel che probabilmente hanno ai giochi parlamentari che si stanno svolgendo in Europa, ma l'unificazione al Parlamento europeo di conservatori, alcuni liberali e partito popolare (cristiano) qualcosa pur potrebbe indicare. Potrebbe indicare che il vero problema non è l'espansione di una destra politica eversiva, ma la costituzione di un campo di forze che si appresta a governare la transizione politica dell'Europa, un campo di forze liberal-cristiano che topologicamente (e politicamente) può occupare uno spazio amplissimo fra destra e centro. Esso può cercare di governare sia l'insicurezza sociale xenofobica prodotta dalla presenza del problema dell'immigrazione (questione in ogni senso centrale) sia cercare di accompagnare i necessari mutamenti istituzionali che seguiranno alla cri48 si definitiva del vecchio Stato sociale e delle grandi mediazioni partitiche. Insomma, per la sinistra questo deve diventare il problema, non esaltarsi per inesistenti rischi neototalitari, per ipotizzate invasioni di destra barbarica e neonazista pressoché confinata in un folklore politico dalla cui corazza essa non riuscirà ad uscire. Non bisogna crearsi falsi nemici, per la difficoltà a individuare e combattere i veri avversari politici che sono pienamente democratici, ma che certamente affermeranno nella democrazia certi valori, certi principii, e non altri. La sinistra deve riprendere a giocare a tutto campo, uscendo dall'angolo in cui sostanzialmente è ridotta, riprendendo a dialogare con le grandi culture e forze che sono collocate nello schieramento centrale e che talvolta sono a disagio, per il carattere composito del campo cui appartengono. Per far ciò, la sinistra deve ricominciare a pensare su se stessa, a ricostituire la propria identità, ma giacché essa è anzitutto una forza politica, ciò può fare solo nella e con l'iniziativa politica su tutti i grandi temi che ridanno fascino e imprevisto alla storia del mondo e dell'Europa. Essa deve tornare a dimostrare, nei fatti, le ragioni della propria esistenza e adeguare a questo l'analisi delle forze reali che si muovono in questa Europa in transizione.

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