nuovemeritevolie disponibili, per superare le difficoltà concordemente rilevate nel precedente numero di questa Rivistanel dibattito promosso sul possibile governo della sinistra, fortemente inidoneo, allo stato, a riscontrare i fermenti del socialismo umanitario e della cultura cristiana, e non solo. Allora? La moralità della politica al centro e nelle periferie deve rimpiazzare il vuoto lasciato dal tramonto delle ideologie; è conseguente riassumere tutti responsabilità oggi spesso dismesse, accompagnate dalla ricarica concorde di nuovi valori di orientamento, meritevoli di essere vissuti. Bisognerà insomma ritrovare soluzioni politiche nelle quali possano riconoscersi le tante intelligenze disorientate o disperse dove la socializzazione della politica, di certo pretesa dall'elettorato, sia un fine da perseguire e divenga poi un mezzo per pervenire alla società comunitaria e solidaristica, con buona pace di quanti credono ancora nelle possibilità di gestire lucro- .P.ILBIANCO l.XILROSSO liX•@illJ se situazioni di profitto e di dominio. Anche da queste riflessioni, se condivise, e fatta l'autocritica, potrebbero partire, per la rimonta, gli uomini del quadripartito, assumendo l'iniziativa alla ricerca di nuove e più moderne formule di governo e di alleanze, purché varchino il territorio delle riforme, riscontrino i bisogni di novità, consentano di ridurre il deficit e il debito pubblico e ritrovino i valori della solidarietà, con la possibilità di premiare finalmente competenze o professionalità indipendentemente dai collegamenti partitici, con la possibilità finale che non rimanga tutto il quadripartito o che non rimangano tutti gli uomini del quadripartito, se privi di merito. Per la credibilità degli stessi partiti, ancora lontani dall'analisi del voto nel momento in cui scriviamo, a metà aprile, occorrerà pensare con rigore a un progetto puntuale e praticabile, su cui confrontarsi con tutti e su cui mantenere o far cadere le vecchie collaborazioni, o decisamente aggregare, senza esitazione, le nuove, annullando i limiti del miope, anche se sociologicamente comprensibile, leghismo. Non senza chiederci dov'erano in questi anni gli intellettuali del Palazzo e che cosa hanno in realtà fatto, occorrerà inoltre chiedersi come consentire che, con un cambiamento della qualità dell'impegno politico, il cittadino possa contare non solo all'appuntamento elettorale e per la civile rivolta, ma anche nel Palazzo, prima che divenga anch'egli, come sta in parte accadendo, un pezzo perfettamente integrato del sistema, sia pure in modo non lungimirante e per i soli piccoli vantaggi del presente. Molto potranno intanto gli intellettuali liberi, con la loro ferma protesta; molto potranno soprattutto i politici, e non mancano, che hanno ancora voglia di pensare in nome e per conto della Comunità, progettando finalmente, come proponeva Luigi Predazzi, un governo delle riforme e della ripresa. O la sinistrsai ripensa o «il vulcanoe»sploderà on condivido e non apprez- N zo i toni di paternalistica condiscendenza con cui sono stati accolti i risultati elettorali del 5-6 aprile 1992. Posso solo pensare all'improvviso sgomento di tutta una serie di uomini politici ormai privi di argomenti e per i quali lo statu quo va elernizzato. È incredibile quanto facilmente si tenda far coincidere i grandi ideali di cui non ci si stanca di discettare con i propri angusti interessi materiali. Mi ha sfavorevolmente colpito soprattutto il disprezzo - non sempre velato, anzi in certe trasmissioni televisive addirittura proclamato ad alta voce con livida protervia - nei confronti di Franco Ferrarotti della gente, vale a dire degli elettori, che sono per definizione, in un regime democratico appena passabile, la fonte della legittimità e la sede della sovranità, ma che forse, pe, troppi politici italiani, andrebbero indicali con la frase inglese, «underlying population», la «popolazione sottostante». Del resto, perché stupirsi? L'Italia è forse l'unico paese al mondo in cui abbia corso la formula «classe politica», a significare non solo il dilagante professionismo politico, ma in primo luogo il distacco dei politici dalla popolazione media, il loro erigersi in casta che si autoperpetua, un corpo tendenzialmente chiuso di specialisti della gestione del potere, che parlano un linguaggio comprensibile solo agli inizia36 ti e che vivono parassilariamente di politica, ma non per la politica. Da questo punto di vista, è plausibile ritenere che il 5 aprile sia stato uno scossone storico - il primo, sembrando trascurabileil precedente dell'«Uomo qualunque» di Guglielmo Giannini - al sistema dei partili, nati, o rinati, l'indomani della Liberazione del 25 aprile 1945e sviluppatisi nell'arcodi circa mezzo secolo su una piattaformaantifascista, che non sembra essere riuscila ad aprire la strada verso il post-fascismoe a non ridursi a mero asse ereditario per stanchi epigoni, moralmente svuotali. Avevoscritto prima delle elezioni che mi sembrava difficile,per i partiti sia di governo che di opposizione trovare la serenità
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