Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 28 - maggio 1992

~..tJ- BIANCO l.XILROSSO liX•#Olil Oltrel'oggi:se il Pds guardainavanti. .. A vevamo detto in campagna elettorale che il voto del 5/6 aprile rischiava di produrre una situazione politica particolarmente confusa. Del resto, la campagna elettorale si era tutta svoltaall'insegna della confusione, con molti partiti impegnati più a sottolineare avversitào contrasti, che convergenza e volontà di collaborazione, più impegnati ad indicare ciò che non avrebbero fatto dopo il voto, che a sottoscrivere subito impegni, a esplicitare accordi e intese possibili. Non ci si può sorprendere quindi dal fatto che, a seguito del voto, si sia registrata una frammentazione senza precedenti nel sistema dei partiti, e, anche a causa di ciò, un deterioramento, anch'esso senza precedenti, nei rapporti tra i partiti, pure tra quelli tradizionalmente più vicini. Il voto di aprile ha certo punito il quadripartito, anche se quasi esclusivamente sul versante Dc, ma non ha premiato nessuno. Non di sicuro il Pri che raccoglie poco o niente da una opposizione annunciata come irriducibile, e presentata da tanti come decisiva per cambiare il quadro politico e creare, attorno al Pri, nuovi equilibri. La verità è che dalle urne non è venuto fuori né un partito vincitore, né una alleanza, alternativa a quella del governo a quattro, abilitata a governare. Insomma, è stato sconfitto sia il vecchio governo che le potenziali alternative ad esso, a causa del tracollo soprattutto pidiessino e del magro successo repubblicano. Vince la Lega, è vero. Ma si tratta di voti, per giudizio unanime, che non si sa se rimarranno in frigoridi Salvo Andò fero, o se saranno «convertibili» in positive azioni politiche, in precise maggioranze di governo. Non si può fare adesso un governo senza la Dc, né si può fare un governo che faccia perno sulla Dc, che resta nonostante tutto il primo partito - con un primato in un cerio senso esaltato dalla sconfitta del Pds - ma coi problemi di sempre al proprio interno. Occorre avere, quindi, fantasia e coraggio. E fantasia e coraggio devono avere anzitutto i partiti storici, che dalla fine del comunismo e dal voto di aprile devono trarre tutte le lezioni necessarie, per fare anzitutto tre cose. I - In primo luogo non si può parlare, da parte dei tradizionali partiti di governo, di maggioranze possibili dando per scontato che vi sono partiti inutilizzabili per mettere insieme una maggioranza ampia. Saranno le convergenze sui programmi, e naturalmente la disponibilità a governare, ad abilitare i partiti a stare insieme al governo. Insomma, le rispettive storie, le storie di tradizionale partito di governo o di tra dizionale partito di opposizione, in questa fase politica non valgono da sole né ad abilitare, né a disabilitare nessuno ad esprimere un governo o a partecipare ad esso. II - Non si dovrebbe, da parte di chi da sempre si è collocato all'opposizione, e in particolar modo da parte del Pds, dopo tutto quello che è successo all'Est e nella sinistra italiana, cercare solo a sinistra intese che, sotto mutate spoglie, ripropongono, magari ammantata di fumosi disegni alternativistici, la formazione di un «partito diverso», cioé di un partito che ragioni e operi come il vecchio Pci. Così facendo, inevitabilmente si rimettono insieme i cocci del vecchio Pci. Non 28 si capisce allora perché si è voluto fare un nuovo partito, il Pds, per poi assegnare ad esso ruoli, e collocazioni che sono tipici del vecchio Pci. Il Pds insomma deve decidere se vuole costituire una sinistra di opposizione, alla maniera appunto del vecchio Pci, o una moderna sinistra di governo. Ci pare che i posti nella sinistra di opposizione siano tutti già occupati! III - In ultima analisi, non si può, tenuto conto di tutto ciò, pensare al futuro politico del Paese senza individuare due fasi politiche necessariamente distinte e successive. Una fase di transizione che dovrebbe essere dedicata alla definizione di nuove regole, capaci di fronteggiare la gravissima crisi in cui versa il sistema istituzionale (che insieme è una crisi di governabilità e di rappresentatività); una fase successiva, destinata a costituire un vero e proprio ciclo politico ed istituzionale, caratterizzata, tra l'altro, da un sistema politico semplificato e profondamente rinnovato. I.:obiettivodovrebbe essere quello di avere «meno partito» nelle istituzioni e meno partiti, e quindi schieramenti politici, magari variegati al proprio interno, ma capaci fisiologicamente di alternarsi al governo. Nella prima fase, quella della transizione, occorre disporre di maggioranze tanto rappresentative da poter gestire un processo costituente, che possa riformare la Repubblica e rifondare lo Stato sociale. Nella seconda fase quella degli schieramenti alternativi che si fronteggiano contendendosi il governo del Paese, occorre garantire, appunto sulla base di nuove regole, la possibilità anche a maggioranze risicate espresse dal corpo elettorale di poter avere tutta la forza, tutti gli

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==