Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 28 - maggio 1992

..l).iLBIANCO \XILROSSO iliilililllW ideale e politico, si sono espressi meglio. A leggerlo si ha la sensazione che inconsciamente Ernesto sapesse che questa era la sua ultima parola umana, il suo testamento ideale filosoficoteologico. Il titolo ha del presentimento personale: «La terra del tramonto. Saggio sulla transizione». Vorrei, con tutto il cuore, che i lettori di questa rivista sapessero andare al di là dei luoghi comuni, soprattutto politici, che hanno reso ostica, talora, la persona e la lezione di un grande come Balducci. Nel mondo ecclesiale e in quello della politica troppi lo hanno tirato dalla loro parte, o lo hanno spinto su altri fronti per principio, mentre egli è sempre stato un uomo che ha saputo unire gli opposti, fare ponte tra diversi, sconcertare le classificazioni usuali, sorprendere chi credeva di averlo collocato nelle sue caselle di interpretazione religiosa, culturale o politica. Basta, del resto, guardare la sua vita intera per rendersene conto. Lo hanno stimato, e avversato, uomini e istituzioni diversissimi tra loro. Lo hanno amato i colti e i poveri, gli ultimi e gli intellettuali. Lo hanno capito tanti che erano potenti e tanti che nulla contavano. In genere egli ha incontrato l'ostilità di tutti quelli che amavano le classificazioni sicure, le etichette preconfezionate, gli schieramenti contrapposti e chiari che danno sicurezza alle incertezze della propria coscienza, e l'amicizia di tutti coloro che erano in sincera ricerca. 13 Per quanto mi riguarda, e la cosa vale niente, ma per me è importante, anche quando non sono stato d'accordo con lui, - ed è successo spesso -, ho sentito la sua grandezza autentica, la sua profezia verace, la sua capacità straordinaria di leggere la storia e di vedervi dentro la luce di Cristo, i «semidel Verbo», per usare una espressione cara ai Padri greci della Chiesa antica. Ora la sua parola tace, il suo cuore si è fermato, e mi è difficile dire in sintesi cosa egli sia stato, per tanti. Ci provo, ricordando che la sua vita intera ha avuto al centro tre grandi realtà: i poveri, la pace, la Parola. - I poveri. Maremmano dell'Amiata, figlio di minatore, non ha mai dimenticato le sue radici. Ci tornava spesso, come per ricaricarsi. La cultura, sterminata e raffinata, - viveva nell'edificio della Badia di Fiesole, dove villeggiava Lorenzo de' Medici-, non l'ha mai allontanato dalla gente. La sua scelta dell'uomo, dall'inizio alla fine, è stata difesa dei poveri: dai minatori, appunto, agli operai della Galilei ai tempi della occupazione della fabbrica per difendere il posto di lavoro; dai senza casa dei tempi del grande piano edilizio di La Pira, l'amico suo, scomodo sindaco di Firenze e dei poveri, a coloro che erano discriminati, anche da noi, per ragioni politiche, che avevano certo motivazioni sacrosante, in anni lontani, ma erano sempre ferite all'umanità, ai rifugiati dei paesi dell'Est e di tutte le tirannie; dagli obiettori di coscienza, per

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