.{).IL BIANCO l.XILROSSO iliiilil•d raia, malamente soccorso da due medici che perdipiù avevanoomesso il ricovero e gli accertamenti del caso. Quindi non c'è nulla di nuovo, ma semmai una coerenza che andrebbe lodata, perché rivolta non a colpevolizzare la classe medica, ma a verificare il compimento di precisi doveri professionali. In secondo luogo, la sentenza si basa sul principio della probabilità e sulla base di questa sostiene che, se si fosse intervenuti tempestivamente e in modo corretto, in quel caso e solo in quel caso, la signora Lombardi avrebbe avuto quel 30% di probabilità di salvarsi. Si parla quindi non già della certezza, ma «di serie e apprezzabili possibilità di successo». Invece i sanitari, nonostante evidenti e lampanti prove contrarie, hanno diagnosticato una «nevrosipost partum» e somministratoun calmante. Solo dopo la insistenza dei parenti e dopo aver visto che le cose si mettevano male, hanno visitato approfonditamente la paziente e si sono accorti, ormai troppo tardi, dell'infezione. Inoltre è importante chiarire che la sentenza ha per oggetto la individuazione di comportamenti omissivi e non la revisione delle regole dell'attività medica. Infatti non si mette in discussione la capacità professionale dei medici, né si afferma che il medico sia tenuto a garantire il risultato. Si pone solo in risalto la necessità dj evitare morti o lesioni gravi legate a negligenza e disattenzione. In sostanza nessuno se la sentirebbe a cuor leggero di mandare davanti al giudice un medico che ha profuso fino in fondo il suo impegno per salvare una vita umana, anche rischiando e magari fallendo nei suoi sforzi. Ciò che è in,accettabile,e che BibliotecaGino Bianco 9 la sentenza giustamente condanna, è la scarsa cura e la disattenzione che caratterizzano i comportamenti di una parte della classe medica. È infatti esperienza quotidiana del Tribunale per i diritti del malato trovarsi di fronte a casi il cui esito negativo è stato quantomeno favorito dalla poca considerazione da parte dei sanitari delle informazioni fornite da parenti o da altri medici sulle condizioni del malato, dall'arrogante presupposizione delle proprie capacità tecniche, dallo scarico di responsabilità, dalla poca attenzione al fattore tempo, dall'incuria (nel caso in esame il filo di sutura per il taglio cesareo era stato raccattato da terra!). Per capire come stanno le cose è però necessario descrivere sommariamente il contesto in cui si collocano questi tipi di fatti. Se è infatti vero che la percentuale di violazioni gravi dei diritti dei cittadini, di violazioni che comportino cioé un danno permanente, all'interno delle strutture sanitarie è meno alta di quella relativa a fatti lievi (informazioni, igiene, ecc.), è comunque significativo che solo una esigua minoranza di episodi di questo tipo arrivi davanti all'autorità giudiziaria. I dati del Rapporto sullo stato dei diritti dei cittadini nel Ssn, realizzato dal Movimento federativo democratico in collaborazione con il Ministro della sanità e il Consiglio sanitario nazionale, parlano chiaro: ben il 90% dei casi in cui ci sarebbe materia perlomeno per un intervento della giustizia amministrativa o per il risarcimento di un danno, non vengono direttamente denunciati alle autorità competenti, probabilmente per la scarsa fiducia dei cittadini nella nostra giustizia, ma vengono portati a conoscenza di altri soggetti, come ad
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