.{).lt BIANCO lXILROSSO Miii•i•lil tico e più contrattazione certa. Questa certezza è a sua volta legata ad una seconda scelta. Si tratta di optare definitivamente per la partecipazione, soprattutto per la contrattazione decentrata. Se è vero che nel futuro, sarà sempre di più rilevante la qualità (dei prodotti, dei servizi privati e pubblici, del modo di lavorare, delle tecniche progettative), è anche vero che occorrerà un crescente consenso collettivo agli obiettivi di impresa, di ente o di amministrazione e quindi è necessario uno spazio contrattuale da gestire. Il modo di gestirlo è rilevante. Va scelto consapevolmente quello partecipativo e quindi ogni contenuto (dal salario, all'ecologia) va inquadrato non in una logica da rapporti di forza ma in una visione di obiettività possibile. Un'opzione così formulata, fa perdere alla contrattazione decentrata quella tradizionale funzione di autonomia se non di arbitrarietà, che ha reso sempre complicato il rapporto tra sindacalismo confederale e rappresentanze di base, ogni qual volta il primo tentasse di far valere visioni non aziendalistiche della realtà da gestire. 6. La terza scelta riguarda la trasparenza delle dinamiche contrattuali e attiene alla funzione della contrattazione nazionale. Nel mondo, le esperienze più limpide, anche se diverse tra loro, sono le «campagne di primavera» che in Giappone investono le aziende annualmente e la contrattazione annua del salario alla tedesca. Essemettono plaBibliotecaGino Bianco 7 sticamente a confronto (e in tempo reale) le richieste tra le varie aziende (Giappone) o tra le varie categorie (Germania) e quindi deboli e forti si possono in qualche modo spalleggiare, verificare, controllare. Nella cultura contrattuale italiana questo sistema è certamente innovativo, dato che introdurrebbe il criterio dell'autonomia degli istituti contrattuali rispetto al suo contenitore, il contratto di categoria. Ma, come ricorda spesso Giugni, forse è superato il tempo per cui tutti gli istituti contrattuali hanno una scadenza unica, quella della vigenza contrattuale. È evidente che questa scelta, per le caratteristiche di pluralismo sindacale e delle controparti, proprie del nostro paese imporrebbe una qualche forma di «dovere all'accordo» che limiti l'autonomia delle parti, se si vuole un negoziato sul salario annuo, in un arco di tempo breve. In alternativa, c'è la riconferma del contratto poliennale tradizionale, con l'accortezza di definire una tutela automatica minima tra un rinnovo e l'altro, per assicurare alle aree deboli una protezione garantita. Ovviamente, in questa ipotesi le ragioni della traparenza sarebbero più affievolite. Come si può notare, la carne al fuoco resta tanta. Ci si può chiedere qual è il tasso di fattibilità. Guardando agli attori, si può dire che molto dipende dalla coesione del sindacalismo confederale.
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