Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 26/27 - mar./apr. 1992

Basta solo questo per riconfermare che la sinistra oggi non si colloca più sulle sue confluenze storiche, ma deve uscire in mare aperto proponendosi come punto di riferimento per governare la trasformazione delle istituzioni sulla rotta della nuova declinazione del valore della democrazia. Occorrerà allora una profonda riflessione da parte di vecchi e nuovi soggetti: il Pds dovrà scegliere con più nettezza, fra movimentismoe malinteso riformismo consociativo, la strada di una forza capace di progettare e governare il cambiamento aprendosi realmente ai nuovi fermenti sociali; il Psi dovrà rimettere in discussione duramente, con quelle forze della sinistra ,Pll. BIANCO lXILROSSO liti@iiil interna disposte a farlo,anni senza progetto politico di rinnovamento e aperti alla semplice gestione dell'esistente come valore in sé, tali che oggi si stenta a riconoscerlo come un partito nella prospettiva di una possibile sinistra democratica; soggetti come i Verdi, Rifondazione comunista, la Rete dovranno riflettere sull'inadeguatezza di un approccio che rifiuta la complessità e ricade in tutti i vizi della vecchia politica. I cattolici progressisti, ed in particolare quelli che nella Dc fanno ancora della fede un motivodi appartenenza partitica, dovranno sapersi mettere in gioco per un progetto di rinnovamento sociale e politico con tutta la ricchezza culturale e di valori di cui sono portatori. Il tempo stringe e i soggetti che si ritrovano sulla necesittà di una riformadella politica in senso democratico devono saper trasformare le loro positive identità singole in progetto e strategia tali da costituire un polo del rinnovamento per le richieste che vengono dal Paese. Uscire dalle logiche al singolare, insufficienti e inadeguate, rappresenta per questi soggetti una responsabilità che non si può più rimandare se si vuole davvero ancora dare credibilità e forza ad una grande costituente della sinistra democratica. Parlamento: modificarestruttura e poterieffettivi R accolgo la sfida di Pierre Camiti «Per una sinistra di governo» (lo slogan elettorale del Pds da cui sono stata candidata, «L'opposizione che costruisce», muove da una esperienza diversa, ma da un obiettivo non dissimile) e voglio farlo da una angolatura particolare, ma davvero non secondaria: quella del ruolo del Parlamento. Sono convinta che il nodo per riformare le istituzionie incidere sulle stesse forze politiche stia nella riforma elettorale, e mi rammaricoche, finora, nella sinistra non si siasviluppato un confronto concreto e ravvicinato sui termini della riforma. E tuttavia vi è anche un problema specifico con cui occorre misurarsi, e che riguarda lo stato delle assemblee parlamentari e la urgenza del loro rinnovamento. Purtroppo la decima legislatura si chiude, al riguardo, sostanzialmente con un nulla di fatto. Il travagliato dibattito sulle modifiche regolamentari della Camera e di Giglia Tedesco del Senato è sboccato, nel 1989, in alcune innovazioni non secondarie: mi riferisco in particolare alle norme sulla programmazione dei lavori e sull'abolizione del voto segreto in particolare per le leggi di spesa. Come è noto, su quest'ultima decisione si erano appuntate a un tempo critiche spesso eccessive e enfatizzazioni dell'esito risolutore del voto palese obbligato, che si presumeva in sé elemento di trasparenza e di moralizzazione della spesa pubblica. Questi due anni di sperimentazione sono bastati a provare la sostanziale ininfluenza delle modifiche regolamentari apportate. Sarebbe davvero fuorviante ipotizzare per il futuro lo stesso percorso; il che, ovviamente, non significa che non vi siano anche questioni regolamentari da verificare. Il nodo sta in altro, e riguarda la struttura e i poteri effettivi delle assemblee. Quanto alla struttura, reitero con convinzione la proposta che avanziamo da tempo: drastica riduzione del numero dei parlamentari, netta diversificazione delle due assemblee (Camera legislativa - Camera 39 BibliotecaGino Bianco delle regioni) e conseguente definizione delle funzioni comuni e di quelle specifiche di ciascuna. Di ciò si è parlato a lungo, senza giungere ad alcuna conclusione se non la modestissima ipotesi, approvata dalla maggioranza al Senato e arenatasi alla Camera, della semplificazione della «seconda lettura» delle leggi. Più complesso, ma certo decisivo, è il discorso sui poteri parlamentari. Impropriamente si pone l'accento soltanto sui poteri del governo, quasi che questi fossero infrenati da una sorta di onnipotenza prevaricante delle assemblee elettive. Altrettanto impropriamente al Parlamento è stata imputata una «manifesta incapacità legislativa». Giova richiamare i concreti processi in atto. Tre esempi sono emblematici. Il ricorso al decreto legge, previsto dalla Costituzione per casi straordinari di necessità e di urgenza, si è dilatato al punto tale da divenire lo strumento prevalente e quasi normale di legislazione. Di conseguenza il Parlamento, anziché esercitare in modo autonomo la funzione

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