riformista europeo. I conflitti sociali e di lavoro tendono a coinvolgere, su poli contrapposti, soggetti e gruppi che nel passato potevamo agevolmente considerare appartenenti alle stesse classi sociali. È il processo che è stato chiamato di «terziarizzazione» dei conflitti. Si è trasformata anche la localizzazione spaziale della popolazione. La grande città industriale si è dissolta nelle aree metropolitane, frammentando i confini delle diseguaglianze sociali, o i modi di reazione ad esse. La mutata composizione per età, dovuta ai fenomeni di invecchiamento ed al declino delle nascite, cambia la struttura degli interessi e le loro modalità di rappresentanza, facendo intravedere fronti potenziali per nuovi e più profondi conflitti intergernerazionali. Si aprono nuovi terreni per gli egoismi, individuali e sociali. Il sovraccarico, gli eccessi, provenienti dal sistema dei media contribuiscono ad aumentare i fenomeni di frammentazione, di micro-conflittualità, di erosione delle identità. Questi processi interessano anche le altre società ricche, ad elevata ed antica industrializzazione. Tuttavianella società italiana alcuni condizioni particolari potenziano i loro effetti. Fra queste condizioni, in primo luogo, va considerato il modo particolare con il quale si è manifestato, ed è stato vissuto, il crollo del comunismo e delle contrapposizioni ideologiche e politiche ad esso legate. Quando un sistema politico è bloccato, non solo è costretto a ricercare modalità anomale per il suo funzionamento, e la storia politica del dopoguerra, è piena di queste anomalie, consociativismo parlamentare in primo luogo. Ma è condannato ad entrare in una fase di profonda instabilità una volta che viene a scomparire la ragione del blocco. Pensiamo a quanta parte del voto «leghista» al nord è proprio frutto di questa improvvisa apertura del sistema politico. Apertura che ha reso possibile, in presenza di rilevanti sollecitazioni, la manifestazione di opinioni tenute a lungo nascoste entro gli attori tradizionali del sistema politico. Ma pensiamo anche a quanta insofferenza (o peggio) anti-partitica è proprio figlia di questa apertura, di questa perdita di funzione di questi partiti entro un nuovo contesto politico. Una seconda condizione di aggravamento riguarda la ben nota carenza di identità BibliotecaGinoBianco ,{).li. BIANCO lXltROS.SO liti#iiMII nazionale, il che si traduce in una scarsa identificazione con il pubblico ed in una insufficiente disponibilità a differire richieste e rivendicazioni in nome dell'interesse generale o di mete collettive. Lo stato, il «paese», non è ritenuto in grado di assicurare che una rinuncia, o il differimento concessi da alcuni, sia seguito da una pari disponibilità di altri, o di tutti. Tale carenza di identità, non ha comunque solo radici profonde nella nostra storia nazionale, essa è in buona parte imputabile alle modalità con le quali è stata gestita la politica nazionale dalle maggioranze di governo di questi decenni. Fra i meriti storici della Democrazia Cristiana, non potremo certo inscrivere la ricostruzione della identità nazionale, e di un diffuso senso dello stato. Una terza condizione di aggravamento è ritrovabile nella debolezza di organizzazione della società civile, frutto in parte delle contrapposizioni ideologiche ma soprattutto delle pratiche di invadenza dei partiti politici nella sfera economica e sociale nei decenni del dopoguerra. Una debolezza che è particolarmente drammatica nel Mezzogiorno. Senza efficaci media28 zioni della società civile il consolidamento democratico diventa problematico. Le tensioni e le frammentazioni entrano direttamente nei partiti e nel sistema politico con effetti di esasperazione della conflittualità e della ingovernabilità. Il Governo e il parlamento non si ritrovano «protetti» o «isolati»dalle tenzioni e dai particolarismi. I partili politici avevano svolto in modo abbastanza efficace nei primi decenni del dopoguerra questo ruolo di «guardiani» del sistema politico, ma così facendo avevano esteso oltre misura la loro presenza nella società, ostacolando il sorgere di forme autonome di organizzazione della società civile. L'effettoperverso di questo successo, si fa sentire in un nuovo contesto sociopolitico. È attraverso l'influenza di queste condizioni particolari che processi comuni di trasformazione delle società industriali assumono risvolti così preoccupanti, così distorcenti. I segnali non mancano. Pensiamo innanzittutto ai processi di politicizzazione dei «corpi intermedi» delle istituzioni o di settori della società civile; dalla magistratura, a parte delle forze dell'ordine, alla chiesa, agli imprenditori, a settori degli stessi mass-media. Saltano i principi della rappresentanza democratica. Sono processi che potrebbero farci intravedere un futuro di «pretorianizzazione» per la società italiana. Un termine efficace ed evocativo quant'altri mai, coniato, non dimentichiamolo, per rappresentare la realtà della Repubblica Argentina nei tragici anni settanta, prima dell'avvento delle dittature militari. Ma pensiamo anche alla eccezionale proliferazione delle liste elettorali ed alle disponibilità diffuse, nella società e nel sistema politico, a brandire lo strumento del referendum, e cioé lo strumento d'eccezione, per definizione, negli assetti liberaldemocratici. Aggiungiamo a questo i timori (invero ancora abbastanza controllati, non ancora paure) e le connesse chiusure localistiche per «aggressioni» esterne (l'immigrazione extra-comunitaria) ed il quadro è tracciato. Una strategia riformista per ricondurre l'insieme di questi processi entro un percorso più controllalo di trasformazione sociale, non può certo limitarsi alle riforme istituzionali. Dovrebbe invece contemporaneamente operare sul versantedella società civile e su quello del sistema politico. Sul
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