Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 26/27 - mar./apr. 1992

gliore è quella di mettere in campo piu quesiti e su modelli compiuti, non solo sull'elezione diretta del Capo di Stato.Verrebbero cosi lasciati agli elettori reali margini di scelta, rinviando poi al Parlamento le decisioni finali. In Francia nel settembre 1945 si svolse un simile referendum sul superamento della III Repubblica, che precedette i referendum approvativi del 5 maggio e del 31 ottobre 1946. Il Parlamento codificherebbe poi in norme precise le scelte del corpo elettorale, con un ruolo vincolato ma non appiattito _p.tJ. BIANCO l.XltROSSO ■ uu.,ce,,, tw e quindi, sull'insieme, dovrebbe avere luogo in ogni caso un referendum approvativo finale, anche nel caso di approvazione a larga maggioranza parlamentare del progetto finale. Potreste dire quindi in questo vostropatto che occorre trarre le conseguenze necessarie dall'affermazione ripetuta da piu parti secondo cui siamo in una «fase costituente». Non si può, in una tale condizione, evitare di pensare ad un percorso riformatore straordinario per sbloccare lo stesso processo decisionale. Il medesimo significato - vorrei ancora insistere contro facili contrapposizioni - dei referendum abrogativi sulle leggi elettorali. Se entrerete in questa logica si potrà dire all'elettorato che esistono due diverse spinte verso la riforma, diverse ma unite nel voler davvero imboccare la strada di una «Grande riforma» facendo decidere il corpo elettorale, altrimenti dovremo dire che i riformatori sono solo quelli che aderiscono al patto referendario. Ci dispiacerebbe perché da soli si è meno efficaci, ma sarebbe una constatazione necessitata. Perle riformenecessarie: rimetterael centrola società u na cosa è certa: il sistema politico istituzionale che dura in Italia ormai da quasi mezzo secolo manifesta crescenti difficoltà di funzionamento. Fatica ad essere un filtro efficace per le domande e le tensioni che salgono dalla società, e per i gruppi disparati che le interpretano. È diventato non riduttore, ma creatore di conflittualità. Risulta inaffidabile nelle sue capacità di perseguimento di obiettivi di carattere generale. Una bella performance, non c'è che dire. Anche le sue più paradossali caratteristiche, così spesso osservate dai migliori politologi americani, ovvero la stabilità e la capacità di sopravvivenza, sembrano oggi messe in forse. È così che sono fiorite, e non solo in questo periodo elettorale, proposte più o meno radicali di riforma delle istituzioni politichenazionali, con connesse revisioni del testo costituzionale. Molti aspetti colpiscono in questo dibattito, aspetti più di metodo che di contenuto. Il primo aspetto riguarda la litigiosità che accompagna il confrontofra le proposte. Difficile,così procedendo, che possa nascere qualcosa di BibliotecaGino Bianco di Gian Primo Cella buono e condiviso. Il secondo aspetto riguarda il privilegio concesso alle riforme elettorali, rispetto a quelle riguardanti le istituzioni politico-amministrative. Un altro segno, si potrebbe dire, della prevalenza continua, anche se declinante, delle preoccupazioni dei partiti politici. Il terzo, riguarda l'assenza della società e delle sue trasformazioni. In gergo professionale, potrei dire: troppa scienza politica e poca sociologia. Od oppure, con parole più polemiche: le solite rese dei conti all'interno delle élites politico-partitiche. Comunque la si pensi, mi appare doveroso, tentare di riportare la società nel confronto. Saranno elevati, altrimenti, i rischi di fallimento delle proposte, o di indeterminatezza delle stesse. A questo tentativo sono rivolte le brevi note che qui seguono. La società italiana, lo si vede e lo si sente, è attraversata da profondi e diffusi processi di frantumazione, di particolarizzazione, di ridimensionamento delle identità. Tali processi, almeno per quanti sono distanti da una visione nostalgica degli assetti sociali, non comportano tutti necessariamente conseguenze negative sulle forme della convivenza sociale. E dall'altra parte non 27 è la prima volta che processi di questo tipo accompagnano le trasformazioni della società, identificando una tensione non eliminabile fra «individuale» e «sociale». Essi sono in buona parie frutto del passaggio da una società industriale, a una società post-industriale, da una società che vedeva le proprie strutture socio-economiche e le proprie formazioni sociali connesse alla produzione industriale di massa, ad una società che si articola sempre più sugli intrecci di un terziario avanzato-arretrato, e sulle esigenze di una produzione neo-industriale. Taliprocessi si traducono innanzittutto in un declino delle tradizionali formazioni sociali, con le connesse identità e culture. Le classi sociali forse non sono scomparse, certo esse sono oggi ben diverse ed anche indeterminate rispetto a quelle che hanno accompagnato la diffusione della industrializzazione nei decenni del dopoguerra. Lo stesso rapporto di lavoro dipendente è difficilmente riconducibile al tipo unico, tradizionale, «industriale», sul quale sono stati costruiti i sistemi di relazioni industriali e di protezione sociale, e dal quale sono partite le grandi esperienze del sindacalismo

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