Applicando altre formule di Dahl sulla società consociativa (per Cossovo, Voivodina) l'autonomia dovrebbe venir garantita a certe regioni (sottosocietà) solo in presenza di una prova convincente che le nuove unità rispetteranno tutti i criteri di un processo democratico che garantiscono il rispetto delle proprie minoranze dalla tirannia della maggioranza. Bosnia-Erzegovina sono collocabili nel loro sviluppo politico in qualche punto della zona compresa tra i due modelli, provando agli inizi di mantenere in vita la (con)federazione jugoslava. Successivamente, essendo entrambe sottoposte alla pressione e alle aspirazioni territoriali serbe ed alla richiesta serba di egemonia politica, si sono allontanate dall'idea della Jugoslavia sotto il dominio serbo, proclamando la loro sovranità e cercando di trovare una terza via di uscita dalla crisi. Oggi appare chiaro, dopo le guerre che si stanno combattendo in Jugoslavia, che tùtte le proposte alternative di salvare il paese mantenendo la preesistente forma di federazione o di confederazione (proposta della Cee) sono da considerarsi obsolete. Forse, se l'intervento esterno (Cee, Usa, Unione Sovietica) fosse venuto molto prima, nel momento dei primi conflitti interni tra le diverse concezioni sul futuro della Jugoslavia già esposte, le proposte allora avanzate di conservare il paese con tutte le sue unità intatte avrebbe potuto avere qualche possibilità. Ma, da come la situazioneappare oggi, la previsione più realistica è che le unità federali sotto il primo modello daranno vita a una nuova più ristretta Jugoslavia (la Grande Serbia con Montenegro, Voivodina e le regioni popolate con serbi in Croazia e in Bosnia Erzegovina),mentre la Sloveniae la «più ristretta»Croazia diverranno stati indipendenti. Il destino della Macedonia e della «ristretta» Bosnia-Erzegovina in questo contesto non sono chiari. 3. Le cause economiche del collasso 3.1. La fine dello sviluppo economicojugoslavo Dopo la seconda guerra mondiale la «NuovaJugoslavia» iniziò con una capacità produttiva ridotta di un terzo e con una perdita di più del 10% della popolazione. Dopo il conflitto con l'Unione So- -'.)-li, BIANCO lXH.Ros&) IN l■ Riiillli MtUMU•i / / i vietica nel 1948 l'economia, dipendente fortemente dai flussi commerciali con altri paesi socialisti"dell'Europa orientale e l'Unione Sovietica, soffrì di una perdita nella produzione. Ma, con l'aiuto economico dell'occidente, la recente introduzione del sistema di autogestione, e l'orientamento verso l'economia di mercato, (nei limiti consentiti dal sistema socialista), la seconda metà degli anni cinquanta fu il periodo della più alta crescita economica in Jugoslavia. Dopo il raggiungimento della maggior parte degli obiettivi di crescita quantitativa nella prima metà degli anni sessanta, le riforme economiche e sociali introdotte nel 1965,che avrebbero dovuto consentire ulteriori passi in avanti nello sviluppo del paese, vennero respinte dai dirigenti politici poiché alimentavano il formarsi di nuovi centri di potere (managers in collegamento con nazionalisti), esprimenti la loro richiesta di indipende11za nell'ambiente sociale relativamente liberale della fine degli anni sessanta. La controrivoluzione introdusse una nuova idea di socialismo contrattuale e di economia 69 BibliotecaGino Bianco contrattuale (concepite come alternative al mercato). Si affermò così un sistema economico e politico con risultati economici disastrosi, il che si manifestò apertamente solo negli anni ottanta. Negli anni settanta gli alti tassi di crescita economica furono dovuti a forti prestiti esteri. Il debito estero salì a quasi 1/2 del Gnp agli inizi degli anni ottanta, e quando l'impossibilità di pagare il debito si manifestò ciò provocò una pressione esterna per programmi di austerità che misero in luce la piena estensione della crisi economica e delle sue implicazioni sociali. Gli indicatori economici di base delle prestazioni dell'economia jugoslava durante gli ultimi venti anni sono illustrati nella Tabella 1. Emerge con chiarezza il rapporto esistente tra gli alti livelli di crescita economica (Prodotto sociale lordo) negli anni settanta e il rapido aumento del debito estero e la fine della crescita negli anni ottanta. Di fatto, prendendo in considerazione l'uscita netta di capitali negli anni ottanta (al tasso annuale di circa il 5% del Psi) dovuti agli impegni assunti con il debito estero (negli anni settanta la Jugoslavia ebbe un'entrata di capitali della stessa grandezza), si constata che il livello di vita e di benessere della popolazione (diminuzione dei salari reali, tassi di disoccupazione crescenti, alta inflazione crescente verso l'iperinflazione) ritornò al livello di venti anni prima. Ci furono numerosi tentativi di stabilizzare l'economia jugoslavianegli arini ottanta, tutti condannati all'insuccesso a causa delle condizioni esterne sfavorevoli della prima metà degli anni ottanta (alto tasso di interesse, prezzi petroliferi e peggioramento dei tassi di scambio commerciale) e crescenti condizioni interne sfavorevolidurante gli anni ottanta (conflitti nazionalistici crescenti, proteste sociali). L'ultimo e più ambizioso programma di stabilizzazione, noto come «terapia d'urto», venne iniziato dall'ultimo primo ministro jugoslavo Ante Markovic nel dicembre 1989. Agli inizi del suo mandato come primo ministronel 1989AnteMarkovicgodeva insieme al suo governo di una credibilità relativamente ampia tra i cittadini jugoslavi. Ciò gli offrì la possibilità di ottenere ulteriori consensi tra i cittadini con un ben riuscito programma di stabilizzazionee appropriate riforme del sistemaeconomico. Uno
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