Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 25 - febbraio 1992

.{).l.t BIANCO '-Xli. ROS.SO IH•#iìltl Nuovalegge:dallostatosociale allasocietàsolidale on l'approvazione della e legge-quadro sul volontariato e della legge sulle cooperative sociali l'Italia sembra aver cominciato a prendere atto anche a livello normativo dei profondi cambiamenti intervenuti specialmente negli ultimi dieci anni nell'ambito di quello che si è ormai soliti definire come welfare state (stato del benessere) o come stato sociale. La nuova legislazione, infatti, riconosce e legittima la funzione ormai rilevante che le associazioni di volontariato e le cooperative di solidarietà sociale svolgono all'interno dei sistemi o reti, come qualcuno preferisce dire, di protezione sociale. Alcuni autorevoli studiosi hanno interpretato l'approvazione delle leggi in parola come l'avvio di una ridefinizione dello statosociale nel senso di una transizione del welfare state alla welfare society o addiritturaa, llawelfare community, con il significatoassiologico che il termine comunità può assumere in questo contesto. A me pare che, più realisticamente, le nuoveleggi, in particolare la prima, allontanino l'Italia dal modello di welfare state cui si era ispirata negli anni '70, cioè dal modelloscandinavo,per avvicinarla al modello continentale o europeo che era anche quellobritannico,primadell'era della signoraTatcher. Mirendocontoche per i veneratori del modelloscandinavo di welfare state quasitotalel'accostamento al sistemaitaliano, da semprenotoper le sue inefficienze, i suoi squilibrie le sue sperequazioni,può risultareparadossalee blasfemo. Credo, però, che l'accostamentosia corretto, nel senso che quelloscandinavo è stato il modellodi riferimento cui hannoguardato quelle forze politiche e sociali che più si sono batBibliotecaGino Bianco di Ivo Colozzi tute per l'attuazione anche in Italia di uno stato che riconoscesse ai propri cittadini anche i diritti sociali della cittadinanza, oltre a quelli politici e civili. Il modello scandinavo, che identificava la tutela dei diritti sociali con le prestazioni in moneta e in servizi garantite dal sistema pubblico, nonostante la sua efficienza non era l'unico modello europeo di welf are e nemmeno il modello centrale. Costituiva, piuttosto, un'anomalia dovuta a e legittimata da condizioni demografiche, culturali, economiche e politiche assolutamente peculiari. I modelli attuati dai paesi continentali, pur garantendo anch'essi i diritti sociali della cittadinanza in modi generalmente efficienti ed efficaci, prevedevano già una pluralità di organizzazioni pubbliche, private e di non-profit come erogatrici di prestazioni ed interventi, naturalmente secondo mix peculiari e diversi non solo da paese a paese ma anche da settore a settore all'interno di ciascun paese. Alla luce di questo quadro, tenderei ad interpretare la ridefinizione dello stato sociale che le recenti leggi hanno avviato come un avvicinamento dell'Italia al modello di stato sociale dell'Europa continentale o comunitaria, avvicinamento che valuto molto più positivamente di come vedrei l'avvio di una nuova utopia sociale, anche se nel segno della comunità. La ridefinizione del modello attraverso la sua complessificazione anche istituzionale comporta, evidentemente, delle conseguenze anche per il lavoro sociale, cioè per l'insieme delle azioni di aiuto alle persone in difficoltà che costituisce la funzione dei sistemi di welfare. Da questo punto di vista il discorso si potrebbe allargare molto, fino a comprendere il tema del lavoro svolto dalle reti informali di supporto, in particolare dalle fa40 miglie e, al loro interno dalle donne, e dei rapporti fra questo tipo di interventi e quelli attuati dai diversi soggetti istituzionali del sistema complessivo di protezione sociale. In questa sede mi limiterò ad accen· nare ad alcuni aspetti dell'impatto che potrà avere l'evoluzione delle associazioni di volontariato dal punto di vista del tipo di lavoro concretamente svolto dai volontari. Semplificando al massimo e senza tener conto delle distinzioni che si dovrebbero fare fra i vari settori di intervento, si può ipotizzare che l'evoluzione avvenga nei modi seguenti: a) l'azione volontaria tende sempre più ad integrare quella professionale, pubblica o privata, assumendosi quelle parti dell'intervento che nonrichiedono una specifica formazione professionale o che aggiungono alla dimensione tecnica quella umana/relazionale; b) l'azione volontaria tende progressivamente a professionalizzarsi e, conseguentemente, ad autonomizzarsidall'esigenza di ricorrere a professionisti esterni, appartenenti al sistema pubblico o a quello di mercato, sviluppando, però, delle modalitàpeculiari di intervento che mantengono l'originaria attenzione alla dimensione personale del bisogno; c) l'azione volontaria tende a specializzarsi nella raccolta di risorse (fund raising) che l'associazione destinaa gruppi di professionisti, appartenenti al sistema pubblico, a quello di mercato o al sistema non-profit,che si distinguono per le capacità con cui in· tervengono su un particolareproblema o per l'aver scelto di intervenire su un problema moltonuovoo molto complesso o molto sguarnito.

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