Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 25 - febbraio 1992

.{).tJ, BIAM:O '-Xli. R()s._',() IIU•kHAlill ai problemi veri non si possono dare soluzioni finte. Il punto del quale si deve prendere atto e dal quale si deve partire è che all'inarrestabile decomposizione del nostro sistema politico bisogna opporre le riforme necessarie per promuovere la «democrazia dell'alternanza». Che è anche il modo vero per ottenere più ricambio e quindi più moralità nella vita politica. Questo è, quindi, il compito prioritario che sta davanti alla prossima legislatura. Ma sta, soprattutto, davanti alla sinistra. Penso infatti, senza alcuna esagerazione, che esso costituisca il vero banco di prova per la realizzazione di una sinistra di governo in questo paese. Il problema riguarda naturalmente tutta la sinistra, compresi i cattolici progressisti, ma riguarda in primo luogo il Pds ed il Psi che sono chiamati ad una ineludibile assunzione di responsabilità. La fine del comunismo ha sprigionato fermenti liberatori. Ma la verifica storica di un fallimento non è, di per sé, sufficiente a proteggere dal surrogato di un manierismo ideologico indotto dalla riluttanza ad accettare e vivere positivamente quello che c'è dopo la fine delle ideologie. Nel «male oscuro» del Pds pesa il fatto che la trasformazione dell'ex area comunista è apparsa più imposta che decisa. Tardiva e spesso oscillante tra retoricissime quanto assolutorie autocritiche e continuismi, opportunismi, trasformismi.Zavorrata,non tanto da vecchie fedi, quanto da tentazioni radicali e movimentiste.Nella dissennata convinzione che la politica si riduca ad una contesa spettacolare. Nella disperata lusinga verso umori o interessi considerati utili a mantenere il consenso. A sua volta il Psi lascia la diffusa e non esaltante impressione di limitarsi a presidiare il suo ruolo negli obbligati equilibri politici attuali e nel governo del paese, aspettando la miracolosa, quanto improbabile, trasformazione del naufragio altrui nel successo proprio. I due partiti dovrebbero, invece, cominciare a prendere atto che l'anomalia del caso italiano deriva, non solo dal fatto che la storia della sinistra è soprattutto una storia di divisioni e di scissioni, ma anche da un duplice limite. Quello che si è espresso nella pretesa del Pci (e che continua a sopravvivere nel Pds) di rappresentare, al tempo stesso, il superamento e l'inveramento della tradizione riformista. E quello che si manifesta nell'illusione del Psi di tracciare una relazione lineare tra crollo dell'ideologia comunista, fine del Pci, risarcimento della storia nei propri confronti come conBibliotecaGinoBianco 4 dizione per la ricomposizione della sinistra. Il risultato di questo stato di cose è che, né prima né dopo il collasso dell'impero sovietico, non si è mai riusciti a porre convincentemente all'ordine del giorno il problema, vitale per la rifondazione della Repubblica, di una sinistra di governo in Italia. Al di là di occasionali incontri tra i segretari dei due partiti, non si è mai trovato un modo serio ed un impegno sistematico per tentare uno sforzo di analisi e di ricerca comune (tra tutte le forze della sinistra riformista) per definire come, con quali regole trasformare, amministrare, gestire la macchina dello Stato Sociale. Come, con quale distribuzione dei costi dell'aggiustamento, risanare la finanza pubblica. Come rispondere alla crisi sempre più drammatica dei modelli occidentali di «modernizzazione» che sta coinvolgendo ormai quasi tutti i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. Come rispondere ai fenomeni di razzismo e xenofobia che, malgrado le marce di protesta, le condanne morali, le deplorazioni appassionate, stanno crescendo in modo allarmante. Infine, come, con quali idee, con quali iniziative promuovere il nuovo assetto della Repubblica, che è l'unico modo per parlare, fuori dalle nebbie ed in maniera non fumosa, di politica. Perché un impegno simile possa prendere corpo e soprattutto arrivare a risultati positivi, credo sia innanzitutto necessario, più che discettare in modo fuorviante dei possibili approdi organizzativi, scongiurare un duplice errore. Si tratta, tanto l'idea che si possano risolvere i problemi nuovi con una cultura vecchia, quanto dell'illusione che si possa dar vita ad una sinistra capace di governare e, comunque, nell'immediato di condizionare efficacemente il programma e gli equilibri di governo, sulla base di un ben dosato e paralizzante equilibrio delle tradizioni e delle posizioni che si sono espresse, o si esprimono, nel variegato mondo della sinistra italiana. Creare un minimo comun denominatore su queste basi, inventare faticosi quanto improbabili assemblaggi, spostare vecchie e polverose scartoffie da una stanza ad un'altra, inseguire quelle vie di mezzo che assommano solo i vizi comuni, più che una fatica inutile sarebbe una scelta disastrosa. Sarebbe una sorta di pietra tombale che seppellirebbe definitivamente la possibilità di costruire anche in Italia, come nel resto dell'Europa, una forte sinistra di governo. Ciò di cui invece c'è urgente bisogno è che si

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