.{).lJ, BIANCO lXII.ROSSO Miiili••II programma e finanche senza un approccio metodologico comune ai problemi. L'impressione resa sconsolata che se ne ricava è quella di un'eclissi totale dell'idea e persino della nozione stessa di «sinistra». Si converrà infatti sul fatto che non si può caratterizzare la sinistra italiana puramente e semplicemente come tutto ciò che non si identifica con la democrazia cristiana. Insomma, bisogna riconoscerlo: allo stato, «sinistra» è poco più che un «flatus vocis», che evoca il passato, ma nulla dice sul futuro. Esistono due grandi partiti storici della sinistra, ma non esiste una comune cultura riformista, fondata su un programma di governo della società post-industriale. E senza una sinistra, non si dà neppure la possibilità di una democrazia dell'alternanza; e senza l'alternanza, anche la democrazia è limitata e bloccata. Si deve inoltre costatare che la strategia delle due forze accentua piuttosto che diminuire la tendenza ad una divaricazione progressiva. Giacché il Pds non si allontana sempre più da una politica e da una cultura riformista, quando preferisce alla fatica del riformismo la scorciatoia delle forme di neo-radicalismo, di movimentismo di tipo referendario del tutto generico e inconcludente, quando non soggiaccia alla tentazione (alla sindrome) della «via di Fiuggi», cioè all'assemblaggio indistinto di forze disparate? E non suona alquanto grottesca la pretesa, dopo il crollo dei comunismi (!), di comminare la scomunica al partito socialista, di pretendere di collocarlo tra le forze conservatrici? E non è chiaro e inequivocabile sintomo di aberrazione quanto espresso in dichiarazioni recenti, dichiarazioni che individuano nel partito socialista, e noninella democrazia cristiana quale asse dello schieramento moderato, il vero nemico da battere nelle prossime elezioni? Eancora: il Pds non sembra prigioniero del proprio passato e dei propri apparati, custode geloso di una inesistente «diversità»di stampo berlingueriano, che non ha più nulla a che fare con la stagione del post-comunismo? E se non più comunista, certo, ma neppure riformista, ancora e sempre confusamente alla ricerca di una via che lo tenga separato e «altro»dall'unica via plausibile della sinistra, quella riformista, quale possibilità ha di frenare l'emorragia di voti e di iscritti, la dissociazione silenziosa o eclatante, di quanti ritengono che sia ormai matura l'ora per una coraggiosa e inequivocabile scelta riformista? E riflettono anBibliotecaGino Bianco 12 cora sul paradosso che, infine, la diversità storica del comunismo italiano sul terreno della democrazia occidentale, rispetto a quello internazionale, lungi dal favorire l'incontro riformista, viene utilizzata per costituire la barriera invalicabile che impedisce alla sinistra in Italia di incontrarsi nel riformismo e di ambire ad essere forza di governo? Certo, le ragioni razionali per disperare su una possibile sinistra riformista unita sono schiaccianti, a meno che non intervengano eventi «catastrofici», cioè rotture cosi profonde dell'attuale quadro politico, da costringere a quell'unità che le volontà politiche si sforzano di impedire a tutti i costi. Ma eventi di tale portata - ai quali la storia recente, peraltro, ci ha in qualche modo abituati -, sono al di fuori della portata di una previsione razionale. E dunque è giocoforza necessario fare i conti con gli strumenti, le volontà e le capacità conoscitive e previsionali di cui disponiamo. Magari sopperendo alla opacità della ragione, con l'ottimismo della volontà che deriva da una sorta di atto di fede politico, da un «credo quia absurdum», fondato sul fatto che senza una riunificazione della sinistra, in Italia una politica riformista e una democrazia compiuta sono impossibili. Dunque: contro gli apparati, contro l'inerzia dell'esistente, occorre osare l'insperabile. E se non esiste un unico asse sul quale sJjerare di poter far leva per operare il rovesciamento, occorre moltiplicare i punti di forza. Occorre, cioè, individuare un percorso in grado di far avanzare le ragioni dell'unità e del riformismo. Ora il primo percorso deve far leva sulle ragioni ideali, morali ed etiche, che sono proprie dell'idea di socialismo e di quella di riformismo, in una parola della idea della sinistra alle soglie del terzo millennio. Non è vero, infatti, che su questo terreno c'è accordo, mentre il disaccordo concerne le politiche. Esiste innanzitutto almeno confusione, se non genericismo e insignificanza su questo piano. Le strutture etico-ideali delle quali la sinistra si serve, infatti, sono ancora in gran parte, almeno sul terreno delle identità, quelle di stampo ottocentesco. Che sono sempre meno strumenti di conoscenza e di orientamento pratico nei confronti delle attuali realtà complesse interne ed internazionali del capitalismo avanzato e del postcapitalismo. Ora non è vero che il crollo dei comunismi ha significato anche la fine del socialismo democratico e liberale, come i già o gli ancora comunisti
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