ISS1120-7930- SPED.ABB.POST. - GR. mnoo/o ~lLBIANCO lXILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Perunasinistra di governo di PlerreCarniti on esiste in Europa alcun altro N paese che abbia tanti gruppi politici quanti ne contava il nostro Parlamento nella legislatura che è appena finita. Nella prossima, la frantumazione si preannuncia addirittura maggiore. Le Leghe nascono come i funghi. Dopo quella di Bossi, avremo quella dei pensionati, delle casalinghe, dei cacciatori, dei pescatori e, probabilmente, di non poche altre confraternite che si considerano trascurate. Avremo, inoltre, la Rete, il partito dell'Amore, forse il par25 ANNO III0 • FEBBRAIO1992 • L. 3.500 BibliotecaGino Bianco
IN QUESTONUMERO EDITORIALE Pierre Carnitl Per una sinistra di governo pag. l ATTUALITÀ Ettore Rotelll Riforme e alternanza: il Pds ancora nella nebbia pag. 8 E se Psi e Pds... Luigi Ruggiu «Unità socialista»: una costituente per la sinistra pag. 11 Anna Catasta Per l'unità: riforme, programmi, trasparenza pag. 14 Pippo Morelll Per un progetto della sinistra pag. 16 Lulgl Vertemati Psi e Pds: la storia, la paura, le possibilità pag. 18 Giuliano Cazzola Finanziaria e tagli alla Sanità: un circolo vizioso senza fine pag. 20 Ermanno Gorrieri Quando bianco e rosso dicevano armi e sangue pag. 21 Mario Bertin Fondi pensione: in compagnia di chi? pag. 24 Giovanni Gennari Peppone non c'è più e don Camillo non cambia? Partiti «altri» e mondo cattolico: che fare? pag. 26 DOSSIER Solidarietà. volontariato. welfare state pag. 37 Pietro Rescigno Leggi, cooperazione, volontariato. I rischi e le opportunità pag. 38 Ivo Colozzi Nuova legge: dallo stato sociale alla società solidale pag. 40 Ugo Ascoli Legge quadro e ruolo del volontariato sociale pag. 41 Carlo Borzaga Cooperazione, lavoro e stato sociale dopo la legge quadro pag. 43 Nadia Sgaramella Azione volontaria e governo locale pag. 44 Matteo Dell'Olio Volontariato e cooperative tra solidarietà e lavoro pag. 46 Mariapaola Colombo Svevo Cooperative sociali la nuova «legge quadro» pag. 47 Luciano Tavazza Cooperazione e volontariato: due universi a confronto pag. 49 Daniele Marini Politiche sociali e volontariato una integrazione necessaria pag. 50 Franco Bentivogli Volontariato e mondo del lavoro pag. 52 Maria Vittoria Magli Il volontariato e la società opulenta pag. 55 Giuseppe Lumia Il volontariato e le «emergenze» dei prossimi anni pag. 57 Felice Scalvini Cooperazione sociale e sfide della nuova solidarietà pag. 58 Luca Josi Giovani socialisti e cultura della solidarietà pag. 60 Franco Iacono Criminalità e Meridione idee per una lotta nuova pag. 61 Annalisa Quaglia Nota bibliografica pag. 6Z L'EUROPAE ILMONDO Franjo Stiblar La disintegrazione della Jugoslavia. Cause e conseguenze per l'Europa pag. 65 INTERVENTI Erminia Gianfelice. Donatella Urbani Asili nido: l'urgenza di nuove strade pag. 74 SCAFFALE L.P. Pianeta immigrazione. Primo: conoscere pag. 75 Immagini: disegni di Ugo Attardi BibliotecaGinoBian~.-------------••-•
.PJJ, BIANCO '-Xli.ROSSO ll•HdJAlill tito dei Referendum e molte formazioni locali, tutte con aspirazioni e, non poche, con possibilità di inviare qualche loro rappresentante alla Camera dei Deputati. Se nel precedente Parlamento le cose non andavano bene, nel prossimo, verosimilmente, andranno peggio. La prima conseguenza da trarre è che per coltivare qualche residua possibilità di restare in Europa non possiamo più rimandare una radicale modifica delle istituzioni e del sistema elettorale. L'attuale sistema politico è ormai in decomposizione e perciò non è più rinviabile una rifondazione della Repubblica. A questo scopo, non sono di alcuna utilità talune stravaganze che sono state prospettate nella concitata fase finale della legislatura. Che fortunatamente, però, non hanno avuto seguito. Mi riferisco, in primo luogo, agli inviti, provenienti per lo più dallo schieramento politico di opposizione, a superare le etichette tradizionali, con quel che significano di vecchio e di paralizzante ed a costituire il «fronte degli onesti». Partito trasversale per eccellenza il quale avrebbe dovuto darsi come unico e fondamentale obiettivo di conquistare il governo e risanare il paese. Nessuno dubita, ovviamente, che di onestà e risanamento, in Italia, ci sia assoluto bisogno. Ma riconoscerlo non significa ritenere utili e politicamente sensati simili inviti. L'onestà esprime un requisito morale e personale indispensabile, ma non costituisce né un contenuto, né un comune denominatore politico di alcun valore. Possiamo infatti essere tutti onesti, onestissimi, ed avere idee opposte ed inconciliabili: su coBibliotecaGino Bianco 3 me cambiare le istituzioni politiche; su come combattere la mafia; su come contrastare il razzismo; su come far pagare le tasse; su come far funzionare i servizi pubblici; su come rendere più vivibili le nostre città. Da sinistra a destra, in tutte le formazioni politiche, ci sono uomini di indiscutibile, specchiata onestà. Ma se formassero uno schieramento comune la sua credibilità politica, in termini di coerenza e di capacità operativa, sarebbe uguale a zero. Nè ha maggior significato e credibilità l'invito, proveniente per lo più dal Pds, a costruire una sorta di «frontedel cambiamento». In sostanza, un fronte contro la Dc o, come si usa dire, contro il «sistema di potere Dc». Ora, Dio solo sa quanto ci sia bisogno di cambiamento nella politica italiana. Se, però, manca una proposta, se non si precisa un disegno convergente, l'evocazione indiscriminata di un cambiamento purchessia diventa una fuga dalla politica. Una alleanza fondata su ragioni indefinite verrebbe giustamente percepita dagli elettori, più che come la forza di una alternativa, come l'insidia di una congiura. Sono personalmente convinto che siano assai estesi e non immotivati i dubbi, che serpeggiano nell'opinione pubblica, circa la capacità dell'attuale classe politica (ed in particolare della Dc che nel governo del paese ha avuto un ininterrotto ruolo preminente) a curare i guasti che essa stessa ha prodotto. Scontiamo certamente le conseguenze di governi inadeguati, ma soprattutto di istituzioni decrepite che si sarebbero dovute riformare da anni. Ma --~ - -~--.l ·-:---..,,
.{).tJ, BIAM:O '-Xli. R()s._',() IIU•kHAlill ai problemi veri non si possono dare soluzioni finte. Il punto del quale si deve prendere atto e dal quale si deve partire è che all'inarrestabile decomposizione del nostro sistema politico bisogna opporre le riforme necessarie per promuovere la «democrazia dell'alternanza». Che è anche il modo vero per ottenere più ricambio e quindi più moralità nella vita politica. Questo è, quindi, il compito prioritario che sta davanti alla prossima legislatura. Ma sta, soprattutto, davanti alla sinistra. Penso infatti, senza alcuna esagerazione, che esso costituisca il vero banco di prova per la realizzazione di una sinistra di governo in questo paese. Il problema riguarda naturalmente tutta la sinistra, compresi i cattolici progressisti, ma riguarda in primo luogo il Pds ed il Psi che sono chiamati ad una ineludibile assunzione di responsabilità. La fine del comunismo ha sprigionato fermenti liberatori. Ma la verifica storica di un fallimento non è, di per sé, sufficiente a proteggere dal surrogato di un manierismo ideologico indotto dalla riluttanza ad accettare e vivere positivamente quello che c'è dopo la fine delle ideologie. Nel «male oscuro» del Pds pesa il fatto che la trasformazione dell'ex area comunista è apparsa più imposta che decisa. Tardiva e spesso oscillante tra retoricissime quanto assolutorie autocritiche e continuismi, opportunismi, trasformismi.Zavorrata,non tanto da vecchie fedi, quanto da tentazioni radicali e movimentiste.Nella dissennata convinzione che la politica si riduca ad una contesa spettacolare. Nella disperata lusinga verso umori o interessi considerati utili a mantenere il consenso. A sua volta il Psi lascia la diffusa e non esaltante impressione di limitarsi a presidiare il suo ruolo negli obbligati equilibri politici attuali e nel governo del paese, aspettando la miracolosa, quanto improbabile, trasformazione del naufragio altrui nel successo proprio. I due partiti dovrebbero, invece, cominciare a prendere atto che l'anomalia del caso italiano deriva, non solo dal fatto che la storia della sinistra è soprattutto una storia di divisioni e di scissioni, ma anche da un duplice limite. Quello che si è espresso nella pretesa del Pci (e che continua a sopravvivere nel Pds) di rappresentare, al tempo stesso, il superamento e l'inveramento della tradizione riformista. E quello che si manifesta nell'illusione del Psi di tracciare una relazione lineare tra crollo dell'ideologia comunista, fine del Pci, risarcimento della storia nei propri confronti come conBibliotecaGinoBianco 4 dizione per la ricomposizione della sinistra. Il risultato di questo stato di cose è che, né prima né dopo il collasso dell'impero sovietico, non si è mai riusciti a porre convincentemente all'ordine del giorno il problema, vitale per la rifondazione della Repubblica, di una sinistra di governo in Italia. Al di là di occasionali incontri tra i segretari dei due partiti, non si è mai trovato un modo serio ed un impegno sistematico per tentare uno sforzo di analisi e di ricerca comune (tra tutte le forze della sinistra riformista) per definire come, con quali regole trasformare, amministrare, gestire la macchina dello Stato Sociale. Come, con quale distribuzione dei costi dell'aggiustamento, risanare la finanza pubblica. Come rispondere alla crisi sempre più drammatica dei modelli occidentali di «modernizzazione» che sta coinvolgendo ormai quasi tutti i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. Come rispondere ai fenomeni di razzismo e xenofobia che, malgrado le marce di protesta, le condanne morali, le deplorazioni appassionate, stanno crescendo in modo allarmante. Infine, come, con quali idee, con quali iniziative promuovere il nuovo assetto della Repubblica, che è l'unico modo per parlare, fuori dalle nebbie ed in maniera non fumosa, di politica. Perché un impegno simile possa prendere corpo e soprattutto arrivare a risultati positivi, credo sia innanzitutto necessario, più che discettare in modo fuorviante dei possibili approdi organizzativi, scongiurare un duplice errore. Si tratta, tanto l'idea che si possano risolvere i problemi nuovi con una cultura vecchia, quanto dell'illusione che si possa dar vita ad una sinistra capace di governare e, comunque, nell'immediato di condizionare efficacemente il programma e gli equilibri di governo, sulla base di un ben dosato e paralizzante equilibrio delle tradizioni e delle posizioni che si sono espresse, o si esprimono, nel variegato mondo della sinistra italiana. Creare un minimo comun denominatore su queste basi, inventare faticosi quanto improbabili assemblaggi, spostare vecchie e polverose scartoffie da una stanza ad un'altra, inseguire quelle vie di mezzo che assommano solo i vizi comuni, più che una fatica inutile sarebbe una scelta disastrosa. Sarebbe una sorta di pietra tombale che seppellirebbe definitivamente la possibilità di costruire anche in Italia, come nel resto dell'Europa, una forte sinistra di governo. Ciò di cui invece c'è urgente bisogno è che si
i.)_f.l, BIAN<n '-Xli.ROSSO ll•HkUAlill imbocchi esplicitamente, con chiarezza, senza inconcludenti tortuosità, la strada della realizzazione di una forza socialista e democratica con un robusto radicamento sociale, ma che rifiuti arcaiche suggestioni assistenzialistiche. La strada di una forza liberal-democratica, intransigentemente a difesa dello Stato di diritto e perciò intransigente avversaria di ogni prassi consociativa, di ogni pretesa di diritto di veto, di ogni garantismo corporativo. La strada di una forza viva e moderna capace di interpretare, selezionare e di dare rappresentanza alle domande sempre nuove che si esprimono in una società sviluppata e complessa. È una strada che, in sostanza, porta a escludere nettamente che sia possibile realizzare una sinistra come un indistinto contenitore in cui possano «coesistere pacificamente» il movimentismo e credibili politiche di risanamento e di sviluppo. Il massiBibliotecaGino Bianco 5 malismo rivendicativo e la politica dei redditi. La democrazia dell'alternanza ed il consociativismo. La riforma delle istituzioni e l'imbalsamazione di quelle esistenti. L'impresa non è certo facile, ma ciò che conta è che sia finalmente avviata. So bene che i regimi politici chiusi come il nostro tendono piuttosto a produrre frammentazione e trasformismo, che innovazione. Penso, tuttavia, che non dovrebbe essere ignorata la circostanza che la prossima legislatura potrebbe riservarci, oltre ad una scriteriata proliferazione di gruppi politici, anche un Parlamento nel quale l'opposizione più consistente siederà probabilmente a destra. Se questa è la prospettiva, per la sinistra democratica e riformista aprire una fase nuova nella vita politica non è più solo una sua necessità. È anche un dovere verso il paese. ,- !\_Jr i ; ~ I I
INPSp la certificazio perlO di lavorator Comodame tutta la storia d Da oggi per tutti gli artigiani, coltivatoridirettie commercianti,andare in pensionesarà più facile. Con la nuovacertificazionea domiciliodei lavoratoriautonomi. E' un altro segno dell' INPS che cambia. Comodamente, da casa, 1Omilioni di italiani potranno controllare la loro posizione contributiva. Biblioteca Gino Bianco Come funziona la certificazione a domicilio. I lavoratori autonomi riceverannoa casa una busta contenente un riassunto dei contributi versati fino al 31 dicembre 1989. Chi non è interessato. Non riceveranno la certificazione gli uomini e le donne con età superiore rispettivamente a 64 o a 59 anni, ai quali
........... 00TT8CH• Low• resenta ne a domicilio milioni i autonomi. nte, a casa, el vostro lavoro. sarà inviata la documentazione prevista per "Pensione Subito". Errori anagrafici e contributi mancanti. Eventuali errori anagrafici vanno corretti con il modulo allegato alla certificazione. Gli errori che riguardano i Biblioteca Gino Bianco contributi, vanno invece segnalati agli sportelli dell'ufficio INPS di zona. Assistenza dei patronati. Chi non può recarsi all' INPS può rivolgersi ai patronati che forniranno gratuitamen- .. ~ te l'assistenza necessaria.
.{)_lJ, BIAl\CO lX.ltROSSO ilii•lil•II Riforme alternanza il Pdsancornaellanebbia di Ettore Rotelli e hi riteneva che tutti i principali problemi della società italiana, a cominciare dal deficit della finanza pubblica e dalla inefficienza dei servizi, ben lontani questi e quella dagli standard europei occidentali, dipendessero essenzialmente dal funzionamento del sistema politico, considerava la trasformazione del Pci soprattutto per quello che sarebbe stato il suo atteggiamento sulle riforme istituzionali. Se l'anomalia consisteva nel mancato funzionamento ad alternanza di due partiti o, meglio, di due schieramenti contrapposti, soltanto adeguate riforme istituzionali avrebbero potuto «indurre» tale bipolarismo, accelerando un processo che, magari alla lunga, nel prossimo secolo, si sarebbe verificato ugualmente per via politica spontanea, ma troppo tardi per una partecipazione italiana paritaria alla formazione della comunità europea e dello Stato federale. Siffattobipolarismo, d'altra parte, non era certo ipotizzabile come creazion~ improvvisa, fuori della storia politica, oltre che economico-sociale, dell'Italia e dell'Europa stessa. Se uno dei due «poli» avrebbe continuato a far capo inevitabilmente a un partito denominatosi «cristiano» (Dc), l'altro non poteva fare a meno della tradizione socialista e del1'unico suo partito che fosse in linea di continuità (cioè non da scissione) con quello fondato un secolo fa (Genova 1892) e non risultasse coinvolto, per la sua storia, dal crollo dell'esperienza comunista in Europa. Insomma, una sinistra non troppo dissimile, infine, quanto meno nei confronti del comunismo, dal laburismo britannico, dal socialismo francese e spagnolo, dalla socialdemocrazia tedesca e formata, naturalmente, col concorso delle altre componenti culturali laico-democr tiche progressiste, antiche o recenti, comunque vive e operanti. Poiché non si trattava, come nel Regno Unito, di «conservare» il bipolarismo esistente, bensì di BibliotecaGino Bianco 8 determinarlo, la riforma istituzionale più idonea allo scopo, l'unica sicura nell'effetto, era un regime di tipo presidenziale. Le ragioni, anche tecniche, tante volte illustrate, sono già scritte nella storia europea: in estrema sintesi, la necessità della contrapposizione finale di due soli candidati nella elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica. Questa soluzione, peraltro, è più funzionale di qualsiasi altra per la stabilità e la governabilità, per una centralità non formale del parlamento (non più espropriato di fatto, per esempio, della funzione legislativa con leggi e decreti-legge imposti dal governo a colpi di «fiducia»), per la costituzione di autonomie regionali incisive (improbabili e improponibili senza un esecutivo nazionale robusto), infine per la riduzione della partitocrazia (che è un prodotto della frammentazione e non a caso è ben minore nei sistemi bipolari ad alternanza). Viceversa una riforma puramente elettorale, che, vigendo la proporzionale, in ogni caso sarebbe stata in senso maggioritario, non avrebbe determinato il bipolarismo necessariamente (per la diversità dei due partiti maggiori nei singoli collegi elettorali), né conseguito, oltre tutto, i benefici istituzionali appena indicati. Semmai, al contrario, avrebbe fermato e impedito l'evoluzione naturale del sistema: non solo consentendo forse alla Dc di poter governare da sola, o quasi, ma anche, soprattutto, conservando la sinistra sotto l'egemonia comunista e quindi soccombente ancora a lungo nel confronto elettorale, cioè senza prospettiva di inizio del1' alternanza. Si attendeva l'atteggiamento del Pci (poi Pds) sulle riforme istituzionali perché nessuna organizzazione economica o sociale o politica promette o decide o attua una politica - per quanto corrispondente alla sua ragion d'essere - se essa non sia compatibile con la propria sussistenza (come organizzazione) e con la conservazione (almeno la conservazione) del suo ruolo: le ragioni dell'avven-
_p-tJ. BIAI\CO l.XltR~ Mii•li••d to della sinistra complessivamente intesa, cioè dell'alternanza, avrebbero dovuto spingere il Pci-Pds per il regime presidenziale, mentre quelle dell'autoconservazione lo avrebbero potuto indurre arifiutare tale regime e a propendere per la riforma elettorale. Nel gennaio 1992,all'inizio della campagna elettorale per la XI legislatura, a fronte di una Dc divisa fra collegio uninominale (M. Segni) e premio di maggioranza, ma tutta schierata in via pregiudiziale contro qualsiasi regime presidenziale, si sono pronunciati per quest'ultimo con o senza riforma elettorale connessa): il Psi; il Pli; da ultimo anche il Pri (G. La Malfa con interessantissima, non casuale, opzione per il sistema americano, più funzionale all'alternanza e più coerente sotto il profilo istituzionale); persino il Psdi, almeno sull'elezione popolare del capo dello Stato; nonché fuori dell'«arco costituzionale», ma non del parlamento, il Msi e la Lega. E il Pds? Sta con la Dc o la lascia isolata? Le «analisi e proposte per un programma di legislatura», redatte nel novembre 1991col titolo L'italia versoil 2000 (108pag.) e diffuse adesso come «materiale di discussione», si pronunciano, «anzitutto», per una riforma elettorale «che induca i partiti a presentare coalizioni di governo, eventualmente con una preliminare designazione esplicita del primo Ministro»; «la coalizione che riporta il maggior numero di voti ottiene un premio elettorale, che le consente la maggioranza assoluta in Parlamento, ma è obbligata ad attenersi alle forze poliBibliotecaGino Bianco 9 tiche che si sono esplicitamente coalizzate: una crisi della coalizione comporta la fine della legislatura»; così si «affida ai cittadini, e non ai partiti, la scelta di chi deve governare» (p. 29-30, nel paragrafo «I cittadini devono poter scegliere il governo»). Era difficile intrecciare più strettamente l'ambiguità politica, la confusione lessicale, la incultura costituzionale. Vediamo perché. Intanto il regime del Primo Ministro è sostanzialmente estraneo, in questi termini, alle grandi democrazie europee e occidentali che non conoscono se non regimi parlamentari (Regno Unito) o semi-parlamentari (Germania) o semi presidenziali (Francia) o presidenziali (Stati Uniti). Offre al Pds il vantaggio dialettico di collocarsi a metà strada e non scegliere tra il regime del Primo Ministro eletto dal Parlamento (Germania, cancelliere, ma su proposta iniziale del Capo dello Stato) e il regime presidenziale, cioè con elezione popolare (ma del Presidente della Repubblica). In sé, a tacer d'altro, è squilibrato, specie nel rapporto tra Capo dello Stato e capo del governo. Tuttavia, a ben vedere, dal Pds non è proposta una vera elezione popolare del Primo Ministro come tale e, dunque, una contrapposizione finale tra due candidati (come sarebbe in un regime presidenziale), bensì semplicemente una designazione preventiva fatta dei partiti quando si sono coalizzati per le elezioni. Per giunta, siffatta designazione è definita «eventuale». Che significa? Che il Pds non sa ancora se proporla? Oppure che i partiti coaliz- ---- '
it)JL BIAI\CO lXltROSSO -······• zati potrebbero anche non farla? E, in questo secondo caso, lucrerebbero lo stesso il premio elettorale di maggioranza, di cui perciò non sarebbe condizione necessaria il nome del Primo Ministro? Comunque sia, la (eventuale) designazione preventiva del Primo Ministro non è affatto elezione popolare del Primo Ministro, con annessa contrapposizione finale fra due candidati in quanto tali, ma soltanto (come sempre) scelta degli elettori fra una pluralità di partiti o di coalizioni o pseudocoalizioni di partiti con l'unica variante (peraltro eventuale) della loro preventiva conoscenza del nome del Primo Ministro a seconda della coalizione vincente. Senonché, a quanto pare, forse non è nemmeno così giacché, di seguito, il testo dice: «i cittadini scelgono il governo ed eventualmente il Primo Ministro, e non delegano i partiti a sceglierli». Il che è ben diverso: una cosa è l'elezione popolare di un Primo Ministro, che scelga liberamente i suoi ministri (come da molte parti si propone per un Primo Ministro eletto dal Parlamento) e un'altra è l'elezione popolare dell'intero governo, con o senza «eventualmente» il nome del Primo Ministro. La prima ipotesi è virtualmente contro la partitocrazia, mentre la seconda, che il Pds propone, è la sublimazione della partitocrazia. A riprova di simile propensione, che il Pds corrisponde alla strenua difesa di se stesso, anche a scapito della prospettiva dell'alternanza, vi è l'aspetto che più preme, cioè la riforma elettorale propugnata. A parte il fatto che si parla esclusivamente di coalizioni (ond'è da presumere che, ove non se ne formino, il discorso, come nelle tesi Dc, valga anche per i singoli partiti), è illuminante che, da un lato, si intenda accordare il premio elettorale a quella che «riporta il maggior numero dei voti», senza alcuna soglia minima (evidentemente), e, dall'altro, il premio sia tale «che le consente la maggioranza assoluta in Parlamento». In poche parole, alla lettera, col 20% dei voti si potrebbe ottenere almeno il 51% dei seggi. Al confronto l'analogo progetto Dc (in fondo, premio di soli 75 deputati su 630), pur sepolto a suo tempo da una valanga di critiche, risulterebbe una bazzeccola. Ma non è finita qui perché neppure il Pds ignora che qualsiasi maggioranza parlamentare, ancorché determinata grazie al premio di maggioranza, magari con un governo interamente preannunciatoe relativo Primo Ministro, può spaccarsi in qualsiasi momento sia fra partiti sia all'interno del BibliotecaGino Bianco 10 medesimo partito (vedi Brescia, Milano, ecc.). Nella esatta consapevolezza che l'istituto della sfiducia costruttiva, sostenuto nel progetto Dc, non è risolutivo (vedi appunto Brescia, Milano, ecc.), viene proposta una misura che vorrebbe essere decisiva: la maggioranza «è obbligata ad attenersi alle forze politiche che si sono esplicitamente coalizzate» per le elezioni e la pena comminata è che «una crisi della coalizione comporta la fine della legislatura», cioè nuove elezioni. Qui c'è, in primo luogo, una difficoltà tecnica nella verifica perché in Parlamento i voti si contano per testa e non per gruppi (o liste o partiti) e non è chiaro, quindi, quale sia precisamente la fattispecie della crisi della coalizione (a rigore e al limite la defezione di un solo deputato della maggioranza). C'è poi una implicazione negativa perché decidere formalmente anche nelle istituzioni secondo gruppi o partiti, anziché come singoli, vuol dire incrementare ulteriormente la partitocrazia. C'è, inoltre, probabilmente, la preoccupazione sottesa del Pds di evitare una successiva emarginazione, altrimenti possibile in qualsiasi circostanza. Ma c'è soprattutto che il meccanismo proposto costituirebbe un formidabile fattore di instabilità e ingovernabilità perché a determinare le elezioni anticipate basterebbe che un solo elemento della maggioranza (partito, corrente), nemmeno determinante, le trovasse convenienti in quel momento. Il fatto è che senza il regime presidenziale non si rende stabile l'esecutivo in un sistema politico frammentato come il nostro, non si determina la contrapposizione di due schieramenti, non si apre la prospettiva di una alternanza effettiva. Nel 1989, quando tale regime fu proposto (congresso Psi), il Pds non comprese o, meglio, non era nella condizione politico-organizzativa di poter comprendere. Dopo le elezioni del 1992,sarà di nuovo nella opportunità di scegliere fra il progetto antipresidenzialistico Dc e quello presidenzialistico Psi-Pri-Pli, restituendo al mittente le ingegnerie stravaganti, e barocche che i suoi costituzionalisti gli hanno propinato in questi anni per meritarne la fiducia. Ma il suo peso specifico sarà, allora, molto inferiore a quello previsto nel 1989. E forse non sarà sufficiente, politicamente, se non numericamente.
iclll, BIANCO lXltROSSO ■il•li••II Ese Psie Pds... Nei numeri precedenti «Il Bianco & Il Rosso» ha aperto un dibattito sul futuro di Psi e Pds, con un articolo provocatorio di Piero Borghini, allora presidente del Consiglio regionale lombardo e deputato Pds. Ora Borghini sindaco di Milano per il Psi: ha realizzato in proprio, e in fretta, un cammino di unità che era solo in prospettiva. Chissà? Dopo Borghini, sul tema controverso dell'unità a sinistra, sono intervenuti Giulio Di Donato e Gerardo Chiaromonte, poi Giuseppe Tamburrano e Giulia Rodano, Fabrizio Cicchitto e Giorgio Napolitano in questo numero pubblichiamo i contributi di Luigi Ruggiu, Anna Catasta, Pippo Morelli e Luigi Vertemati. «UnitàSocialista» : unacostituenpte rla sinistra di Luigi Ruggiu rima che avvenisse il grande crollo dell'ottan- p tanove, negli altri Paesi del mediterraneo, non solo la Francia, ma anche la Grecia e la Spagna, spesso in condizioni molto più difficili e arretrate di quelle dell'Italia, le forze di sinistra riformiste sono andate al governo. Infine, sono crollati i comunismi, si sono dissolti i Paesi del socialismo reale, si è ·chiusa l'era di Yalta, ma in Italia apparentemente non è successo nulla. La democrazia cristiana continua ad essere l'asse del governo, il partito comunista si è dissolto nel Partito democratico della sinistra, senza tuttavia avanzare di un passo verso il riformismo, mentre il riformismo del Psi sembra appagato dai vantaggi inerenti all'essere minoranza di interdizione e di cerniera. In questa situazione, il Pds si avvia malinconicamente a nutrire come massima ambizione quella di porsi come naturale erede di se stesso come ex-Pci. A null'altro infatti, può aspirare l'accentuazione della propria politica di opposizione, tanto più subalterna, quanto più risulta oggi priva anche delle ragioni extra e anti-sistema del vecchio partito comunista. Ma le cose non sono soddisfacenti neppure per il Psi, che appare pago del ruolo di minoranza privilegiata di governo, piuttosto che ambire a costiBibliotecaGino Bianco 11 tuire il perno di maggioranza dello schieramento riformista. Nel mentre, si rischia che le serie ragioni della governabilità sempre più divengano sostitutive di quelle di una possibile alternanza. Una governabilità che non sia gestita in funzione della costruzione dell'alternanza, non rischia forse di promuovere le ragioni sostanziali dell'ingovernabilità, cioè le ragioni dell'immobilismo, della partitocrazia, dell'assenza di ricambio delle politiche e dei ceti dirigenti al potere nello stato e nella società civile? Non rischia cioè di autoalimentare se stessa, come politica di necessità permanente, e insieme e conseguentemente come ratifica della divisione della sinistra? Dunque, il risultato sembra essere infine un'opposizione senza cultura di governo, e una governabilità senza l'ambizione a costituirsi come forza e come progetto riformista di alternanza. E se la «grande trasformazione» del 1989e la fine dei comunismi ha dissolto altrove molte delle ragioni ideali della divisione, in Italia invece la sinistra storica rimane ancora e sempre più divisa, la sinistra sindacale appare smarrita e senza politica, mentre la sinistra sociale si frantuma in mille rivoli, senza più alcuna identità di riferimento, in termini di valori ideali, certo, ma anche senza un
.{).lJ, BIANCO lXII.ROSSO Miiili••II programma e finanche senza un approccio metodologico comune ai problemi. L'impressione resa sconsolata che se ne ricava è quella di un'eclissi totale dell'idea e persino della nozione stessa di «sinistra». Si converrà infatti sul fatto che non si può caratterizzare la sinistra italiana puramente e semplicemente come tutto ciò che non si identifica con la democrazia cristiana. Insomma, bisogna riconoscerlo: allo stato, «sinistra» è poco più che un «flatus vocis», che evoca il passato, ma nulla dice sul futuro. Esistono due grandi partiti storici della sinistra, ma non esiste una comune cultura riformista, fondata su un programma di governo della società post-industriale. E senza una sinistra, non si dà neppure la possibilità di una democrazia dell'alternanza; e senza l'alternanza, anche la democrazia è limitata e bloccata. Si deve inoltre costatare che la strategia delle due forze accentua piuttosto che diminuire la tendenza ad una divaricazione progressiva. Giacché il Pds non si allontana sempre più da una politica e da una cultura riformista, quando preferisce alla fatica del riformismo la scorciatoia delle forme di neo-radicalismo, di movimentismo di tipo referendario del tutto generico e inconcludente, quando non soggiaccia alla tentazione (alla sindrome) della «via di Fiuggi», cioè all'assemblaggio indistinto di forze disparate? E non suona alquanto grottesca la pretesa, dopo il crollo dei comunismi (!), di comminare la scomunica al partito socialista, di pretendere di collocarlo tra le forze conservatrici? E non è chiaro e inequivocabile sintomo di aberrazione quanto espresso in dichiarazioni recenti, dichiarazioni che individuano nel partito socialista, e noninella democrazia cristiana quale asse dello schieramento moderato, il vero nemico da battere nelle prossime elezioni? Eancora: il Pds non sembra prigioniero del proprio passato e dei propri apparati, custode geloso di una inesistente «diversità»di stampo berlingueriano, che non ha più nulla a che fare con la stagione del post-comunismo? E se non più comunista, certo, ma neppure riformista, ancora e sempre confusamente alla ricerca di una via che lo tenga separato e «altro»dall'unica via plausibile della sinistra, quella riformista, quale possibilità ha di frenare l'emorragia di voti e di iscritti, la dissociazione silenziosa o eclatante, di quanti ritengono che sia ormai matura l'ora per una coraggiosa e inequivocabile scelta riformista? E riflettono anBibliotecaGino Bianco 12 cora sul paradosso che, infine, la diversità storica del comunismo italiano sul terreno della democrazia occidentale, rispetto a quello internazionale, lungi dal favorire l'incontro riformista, viene utilizzata per costituire la barriera invalicabile che impedisce alla sinistra in Italia di incontrarsi nel riformismo e di ambire ad essere forza di governo? Certo, le ragioni razionali per disperare su una possibile sinistra riformista unita sono schiaccianti, a meno che non intervengano eventi «catastrofici», cioè rotture cosi profonde dell'attuale quadro politico, da costringere a quell'unità che le volontà politiche si sforzano di impedire a tutti i costi. Ma eventi di tale portata - ai quali la storia recente, peraltro, ci ha in qualche modo abituati -, sono al di fuori della portata di una previsione razionale. E dunque è giocoforza necessario fare i conti con gli strumenti, le volontà e le capacità conoscitive e previsionali di cui disponiamo. Magari sopperendo alla opacità della ragione, con l'ottimismo della volontà che deriva da una sorta di atto di fede politico, da un «credo quia absurdum», fondato sul fatto che senza una riunificazione della sinistra, in Italia una politica riformista e una democrazia compiuta sono impossibili. Dunque: contro gli apparati, contro l'inerzia dell'esistente, occorre osare l'insperabile. E se non esiste un unico asse sul quale sJjerare di poter far leva per operare il rovesciamento, occorre moltiplicare i punti di forza. Occorre, cioè, individuare un percorso in grado di far avanzare le ragioni dell'unità e del riformismo. Ora il primo percorso deve far leva sulle ragioni ideali, morali ed etiche, che sono proprie dell'idea di socialismo e di quella di riformismo, in una parola della idea della sinistra alle soglie del terzo millennio. Non è vero, infatti, che su questo terreno c'è accordo, mentre il disaccordo concerne le politiche. Esiste innanzitutto almeno confusione, se non genericismo e insignificanza su questo piano. Le strutture etico-ideali delle quali la sinistra si serve, infatti, sono ancora in gran parte, almeno sul terreno delle identità, quelle di stampo ottocentesco. Che sono sempre meno strumenti di conoscenza e di orientamento pratico nei confronti delle attuali realtà complesse interne ed internazionali del capitalismo avanzato e del postcapitalismo. Ora non è vero che il crollo dei comunismi ha significato anche la fine del socialismo democratico e liberale, come i già o gli ancora comunisti
.PJI, BIANCO l.XILROSSO Kil•■lill vorrebbero far credere; ma è vero che, sparito il comunismo, e in qualche modo generalizzatasi un certo livello minimo di cultura del Welfare, le ragioni della solidarietà e della giustizia sociale, non solo nell'accezione socialista, si sono attenuate. Dunque, è vero che è ormai inderogabile uno sforzo serio di messa a punto di ciò che ci ostiniamo a chiamare «socialismo». Che è cosa diversa dal generico neo-radicalismo democratico, certamente, ma anche da una forma di pragmatismo acritico e privo di valori che ha come fine primario quello di acconciarsi al meglio con l'esistente. E assieme a questo, non è forse necessario misurarsi con la messa a punto di un vero e proprio programma riformista, in grado di costituire la base politica discriminante delle forze di sinistra, sia, che queste siano costrette temporaneamente a collocarsi al governo piuttosto che all'opposizione? Detto in altri termini, se esistono chiari e inequivocabili programmi riformisti, questi potranno costituire il punto di mobilitazione qualificata della sinistra in Italia, il punto di incontro nel quale si coagula una cultura e quindi anche una politica riformista. Ora, qualche volta si ha l'impressione che è su questo terreno che viene meno la legittimazione della politica dell'unità della sinistra e quindi dell'alternanza. Insomma, se le ragioni della sinistra e dell'alternanza stanno nel programma che solo questa può costruire e realizzare, ebbene questo programma abbia il giusto riconoscimento prioritario. O non esistono discriminanti tra conservatori e progressisti in tema di politica del e per il Mezzogiorno, di stato sociale di politiche di giustizia e di solidarietà, di politiche fiscali, di svilupBibliotecaGinoBianco 13 po e democrazia industriale, di riforma della pubblica amministrazione, di riunificazione normativa e salariale di lavoro pubblico e privato? E su un serio programma di questo tipo, è ipotizzabile magari un sostegno esterno se non ad un governo a direzione socialista, almeno ad alcuni punti qualificanti di un programma politico, sia a livello nazionale come a livello locale? Infine, terreno privilegiato dovrà divenire il tema della riforma istituzionale, centrato per un verso sulla costruzione di una effettiva democrazia dell'alternanza, cioè su meccanismi elettorali a tutti i livelli in grado di promuovere la costruzione di netti schieramenti alternativi progressisti e conservatori, con meccanismi di elezione diretta, dai sindaci al presidente della repubblica, un ridimensionamento sostanziale della partitocrazia, esaltazione delle ragioni delle autonomie locali, meccanismi per una moderna democrazia industriale, per una valorizzazione dei nuovi diritti individuali e collettivi, scarsamente salvaguardati proprio sui terreni nuovi della moderna democrazia dell'informazione e dell'immagine; una formulazione più adeguata dell'intervento pubblico e un ruolo più definito del privato. Una sinistra che ha pretese di alternanza, non deve operare su questo piano per legittimare le proprie ambizioni con un progetto di rinnovamento serio dello stato e della democrazia, a partire dalla messa in opera di quei meccanismi che producono una effettiva alternanza? Non è forse ora che si esca dal genericismo ditalune proposte, per predisporre un progetto compiuto?
ir)JI, BIANCO lXttROSSO Kil•li••II Sussiste ancora un momento primario nel quale è possibile operare mediante la messa a punto di politiche e di prassi riformiste, ed è quello sindacale. Non può non preoccupare l'eclissi del sindacato in una fase così delicata della politica italiana. Non si può non ravvisare con preoccupazione la ripresa di forme di neo-collateralismo, la caduta di una cultura e di una prassi propositiva dell'autonomia sindacale, nel momento nella quale essa sarebbe più necessaria. Su questo terreno, non si tratta di invocare forme di collateralismo asinistra, quanto si tratta di fare in modo che il sindacato svolga fino in fondo il proprio compito, che è compito riformista per eccellenza. Sulla base di queste grandi direzioni di marcia, si possono e si debbono costituire in tutte le situazioni possibili, sul terreno nazionale come su quello locale, dei «coordinamenti» o «laboratori» riformisti, ai quali partecipino associazioni, gruppi e movimenti, alla pari di esponenti dei partiti storici della sinistra, come centri di promozione di iniziative di incontro e di confronto, come strutture di elaborazione di programmi e di progetti, come momenti di presenza critica in grado di promuovere iniziative unitarie, a partire da quelle di formazione, a quelle di gestione, fino a quelle politico-elettorali. Si potrà obiettare che, in questa situazione, si tratta non di programma ovvio, ma di programma che può aggiungere rottura a rottura, scandalo a scandalo? Se è così, è bene mettere in conto la necessità dello scandalo e della rottura. PerYunità:riforme, programmi, trasparenza di Anna Catasta nche esercitando il maggiore ottimismopos- A sibile è difficile fare un bilancio positivo dei rapporti a sinistra in Italia. Non si tratta infatti solo di registrare ritardi e mancati progressi sulla strada, peraltro da tutti indicata come l'unica possibile, della unità delle sinistre, ma di prendere atto con realismo degli arretramenti che si sono verificati tanto più preoccupanti dopo le analisi compiute a seguito della crisi repentina e irreversibile dei paesi dell'Est. A quella crisi infatti si era reagito ipotizzando la possibilità di uno sblocco della situazione politica italiana, condizionata più fortemente di altre dalla presenza dei due blocchi, verso la liberazione di energie nuove di cui la sinistra poteva nelle sue diverse espressioni diventare riferimento così non è stato e bisogna capire perché. Certamente si sono presentati subito problemi e conflitti molto acuti (ricorre proprio in questi giorni il primo anniversario della Guerra del Golfo) che hanno messo alla prova le enunciazioni trionfalistiche della prima ora svelando la dramBibliotecaGino Bianco 14 maticità della crisi mondiale e la fragilità delle ottimistiche previsioni sul disarmo, la cooperazione tra le nazioni ecc. La crisi dei paesi dell'Est ha in qualche modo colpito direttamente tutte le forze della sinistra di governo e di opposizione lasciando sul campo non solo una forte spinta alla democrazia, ma anche frantumazione, particolarismi, armi nucleari e no, problemi economici gravissimi che investono tutti, lo sviluppo di movimenti di destra razzisti e violenti anche nei paesi europei. La sinistra in Europa sembra tentare una risposta cercando di superare gli immobilismi degli ultimi mesi; si interroga sul proprio futuro e sul proprio incerto presente elettorale, alla prova prossimamente in importanti scadenze in Inghilterra, in Francia, in Italia. Nella prima, importante riunione comune dei due gruppi al Parlamento europeo, socialistae della sinistra unitaria, le convergenze (molte) e le divergenze si sono iscritte in una coscienza diffusa dell'urgenza di una azione comune della sinistra e della necessità di passare dall'ottimismosulle sor-
i.)_ft BIANCO lXILROSSO •··•··• ti sicuramente progressive della stessa sinistra a una analisi più realistica della situazione. In Italia non è così e l'anomalia che contraddistingueva la situazione negli anni passati (rapporti buoni in Europa, pessimi a livello nazionale) non solo permane, ma ha perso la certezza di una evoluzione sicura e positiva nel quadro europeo, tanto che non è difficile ipotizzare che potrebbe accadere il contrario, cioè che i rapporti nazionali finiranno per condizionare negativamente quelli stabiliti in sede europea. Non si tratta solo, a mio parere, degli inevitabili nervosismi preelettorali, ma di qualcosa di più profondo da non sottovalutare; la crisi dei partiti e delle istituzioni può travolgere in modo irreversibile le prospettive della sinistra e dei rapporti a sinistra. La crescita elettorale della Lega induce una competitività tra le forze della sinistra che può potenzialmente minare profondamente la possibilità poi di riprendere il dialogo dopo le elezioni. La sinistra può essere solo governo, la sinistra può essere solo opposizione e riferimento della protesta; questo nuovo polarismo accompagnato dalla ricerca esasperata del consenso induce un dibattito astratto, avulso dalla realtà, intriso di tatticismi che rischiano di trasformarsi in strategie deteriori. Se la sinistra ha bisogno di energie nuove non sembra una strategia vincente quella ad esempio sperimentata a Milano di indurre miniscissioni nel Pds da parte del Psi o di aprire la caccia ai candidati che possono portare più voti. Dopo il voto con un risultato che prevedibilmente penalizzerà sia il Psi che il Pds sarà davvero possibile riprendere il confronto? Posto che esista un elettorato di sinistra stabile in Italia questo si troverà di fronte a liste frantumate e rissose che potranno indurre nuove astensioni e defezioni. BibliotecaGino Bianco 15 Che fare allora? Io sono francamente scettica circa le possibilità di riprendere il dialogo a sinistra solo sulla base di una intesa sulle riforme istituzionali. Certo questo è un passaggio necessario ma credo che siano ineludibili altri due terreni. Il primo è quello della convergenza programmatica per la prossima legislatura, sui problemi concreti riferiti alla situazione economica e occupazionale, alla riforma della Pubblica Amministrazione, alla lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, alla riduzione del deficit pubblico. È così difficile? Sicuramente non è più complicato dell'accordo possibile sulle riforme istituzionali ed è altrettanto necessario per fornire una possibilità di aggregazione anche di forze economiche e sociali. D'altra parte il sindacato che, nonostante le sue crisi e la Lega (che avanza politicamente ma fallisce sindacalmente) continua a essere un punto di riferimento per forze progressiste di diversa ispirazione e il dibattito acuto nelle organizzazioni imprenditoriali dimostrano l'esistenza di uno spazio possibile di azione. Il secondo è quello del rinnovamento della politica e del processo di autoriforma delle forze e dei partiti della sinistra. Il rapporto tra etica e politica dopo il crollo delle ideologie, la fine dell'identità politica dei cattolici, l'esigenza di cogliere in modo non astratto e autoreferenziale la domanda di partecipazione espressa in questi anni spingono a passi concreti in questa direzione peraltro presente nello stesso congresso di Bari. Ma a questo punto è lecito chiedersi se la sinistra, perlomeno come la abbiamo conosciuta finora, sia in grado di autoriformarsi o se, paradossalmente, è destinata, magari invocando l'alibi del rapporto con la Dc (dall'opposizione o dal governo), alla stessa sorte che ha colpito le forze più critiche e innovatrici nei paesi dell'Est.
~_tJ, BIAl\{;0 il..11,R~ Mii•lil•d Perun progettodellasinistra di Pippo Morelli i fronte all'accentuarsi del dibattito politico, ormai in clima di campagna elettorale, le po- D sizioni ufficiali di ReS, e gli stessi documenti appaiono inadeguati rispetto all'intenzione di «fare politica» e molto al di sotto delle discussioni avvenute nei convegni, nei forum e nella stessa rivista «Il Bianco & Il Rosso». Fare politica per ReS, che non è corrente di partito, vuol dire innanzitutto esprimersi sulle principali questioni politiche e sociali, sia interne che internazionali. Date le caratteristiche delle sue origini e pur nei limiti della sua rappresentatività, ReS potrebbe dar voce e spessore razionale alla diffusa ansia di moralizzazione della politica (i diversi dibattiti su etica e politica possono servire se si estendono a molti più interlocutori) ed insieme portare un contributo di analisi e di proposte all'impegno di «riprogettare la sinistra». Col crollo dei socialismi reali è finita per tutti l'era delle ideologie, ma d'altronde non basta il rifugio nel pragmatis~o, quando si riduce ad attivismo quotidiano, privo di prospettive ed anche di risultati. Le stesse esperienze socialdemocratiche europee che hanno avuto successo nel dopoguerra - anche per contrastare il pericolo comunista - hanno oggi perduto molto smalto. Liberismo e capitalismo hanno ripreso molto fiato non solo perché è venuto meno il maggior nemico, ma anche perché i governi democratici hanno sfuocato le capacità di controllo e di regolazione del mercato e le forze tradizionali della sinistra faticano oggi ad ottenere maggior consenso sociale. Fare politica vuol dire allora contrastare i disimpegni moralistici come i diffusi atteggiamenti di sfiducia nella politica ed insieme aprire il dialogo con quanti contestano la partitocrazia, l'incapacità di governare e di decidere, l'ingerenza delle forze politiche in ogni campo economico e sociale. BibliotecaGino Bianco 16 Sono impegni ai quali ReS può far fronte, con tutta modestia, se sa utilizzare meglio le idee e le proposte già emerse, nei mesi scorsi, nei dibattiti e nei dossier della rivista, come tanti elementi di una proposta per costruire - con molti altri - un progetto della sinistra. Sul piano internazionale occorre chiarire quale può essere il ruolo del nostro Paese. Le gravi questioni aperte nei paesi dell'Est vanno affrontate non solo con rapporti diplomatici, con la preoccupazione di stabilire nuovi equilibri di forze, bensì in termini di nuovi rapporti economici e sociali tra popoli diversi, nel quadro di un'Europa molto più ampia del mercato unico dei Dodici. Particolarmente per le nostre maggiori attenzioni, dobbiamo elaborare proposte relative alle previsioni di un mercato del lavoro europeo sempre più sconvolto da milioni di migranti, che stanno già determinando preoccupanti tensioni sociali ed etniche. Il suggerimento di Caselli (v. Il Bianco & Il Rosso n. 21/22) di riprendere ed aggiornare le proposte del compianto Tarantelli per una sorta di «scudo dei disoccupati», ovvero di un Fondo di risparmio ed investimento, alimentato anche dai lavoratori, per sostenere nuova occupazione nei Paesi dell'Est, come del Mediterraneo, in proporzione al tasso dei senza lavoro. Inoltre per avviare al superamento gli enormi squilibri Nord-Sud, oltre a sollecitare l'attuazione degli orientamenti del rapporto Craxi all'Onu relativo al debito estero dei Paesi in via di sviluppo, si potrebbe pensare ad una sorta di finanziamento ulteriore per lo sviluppo dei Paesi del TerzoMondo, attraverso una «fiscalità» dei paesi più sviluppati (ad es. sul prezzo del petrolio o di altri consumi da ridurre) finalizzata al riequilibrio ed alla cooperazione internazionale, come forma di concreta solidarietà popolare. Per passare al piano interno, la ormai scontata fine della legislatura ed il ricorso alle elezioni an-
-".li- BIANCO 0..ltROSSO Mii•lil•II ticipate potrebbe far uscire la politica italiana dalle attuali baroccaggini, a condizione che le forze politiche presentino con chiarezza i loro programmi, per ricostruire un legame di fiducia tra cittadini ed istituzioni. Non potrà certamente servire a questo un ipotetico patto di legislatura tra Psi e Dc, allo scopo di riportare Craxi alla Presidenza del Consiglio, mantenendo così per almeno altri cinque anni l'equivoco di un'alleanza di conservazione con l'attuale Dc e vanificando qualsiasi ipotesi di alternanza. Nè d'altro lato, l'accentuarsi delle polemiche quotidiane tra Psi e Pds - al di là delle scaramucce preelettorali - potrà tornare utile allo sviluppo di un dialogo più produttivo sulla sinistra, ed ancor meno ad ipotesi di impegni comuni. Eppure l'aggravarsi della situazione economica italiana chiede (come sostiene Camiti sul n. 20 de Il Bianco & Il Rosso) «un impegno solidale dei maggiori partiti per prendere le decisioni indispensabili al risanamento economico-finanziario del paese». Aggiungiamo che sarebbe altrettanto importante ripensare ad un patto tra governo e forz~ sociali, anche per contrastare quella «crescente frammentazione corporativa che acuisce la disgregazione sociale». Eppure anche qui il rinvio delle trattative con le parti sociali ha messo in luce non tanto le difficoltà di dialogo, quanto un fallimento delle impostazioni. Si richiede allora un ripensamento delle politiche economiche (anche da parte delle confederazioni sindacali) che affrontino più decisamente i nodi del deficit pubblico, dello squilibrio del Mezzogiorno, delle crescenti difficoltà dell'industria, dell'arretratezza ed esosità della pubblica amministrazione ed insieme della ripresa massiccia delle diseguaglianze di reddito tra gli italiani. Se, come riafferma costantemente Bobbio, le forze di sinistra si identificano nella ricerca e nella realizzazione della «eguaglianza», uno degli impegni prioritari che può porsi ReS è proprio quello BibliotecaGino Bianco 17 di contribuire ad aggiornare le idee ed i progetti della redistribuzione, dell'equità fiscale, dello stato sociale. Le Politiche sociali non possono oggi garantire a tutti i cittadini servizi e assistenze (peraltro sempre più costose) di ogni genere, bensì tener conto delle diversità reali, tutelare le fasce deboli e realizzare quell'intreccio tra pubblico e privato che potrebbe rivitalizzare ed estendere le varie forme di cooperazione, di volontariato e di solidarietà. In tale quadro entra anche la tematica dei «diritti civili»,non solo come affermazione di principi democratici e di agibilità civile per tutti - cittadini ed ospiti - quanto come possibilità concreta di vita dignitosa per tutti, di superamento dell'emarginazione per gruppi sociali sempre più vasti, di lotta alle violenze verso le donne, i bambini, gli anziani, di battaglia generale e più impegnata contro tutte le mafie e camorre del paese. In tale quadro ha senso rilanciare con forza la priorità delle riforme istituzionali, che sole potranno rendere possibile la governabilità ed il risanamento del paese. Ma su questo punto dobbiamo chiedere più chiarezza e decisione da parte dello stesso Psi. Su queste ed altre proposte credo che ReS possa dispiegare un notevole impegno: a partire da quello di mettere rapidamente insieme quegli intellettuali, politici ed economisti che già hanno collaborato nei mesi scorsi, per formulare ora una serie di proposte più compiute, sulle quali avviare un dialogo e confronto allargato, in particolare con quei gruppi, vecchi e nuovi, che si propongono un impegno per il cambiamento. Su tali proposte potrà svilupparsi l'iniziativa di alcuni gruppi territoriali di ReS, non solo per l'appoggio a qualche candidato, ma anche e soprattutto nell'avviare un più ampio dibattito politico, nell'intrecciare rapporti con altri gruppi e nell'aprire un dialogo con i giovani, che non sono oggi più distratti, bensì più disposti a seguire proposte concrete e credibili.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==