.P.ll BIANCO l.XltR~ ili•kli••II Contratti:avantiadagio, quasindietro di Gian Primo Cella - 1documento ( «oprotocollo d'intesa») firmato nello scorso dicembre da governo e parti so- l ciali rappresenta un esempio significativo delle scarse capacità del nostro sistema di relazioni industriali di trasformarsi in modo adeguato alle nuove, dure esigenze della in- - tegrazione comunitaria. Se si pensa che proprio nello stesso giorno venivano varati i trattati europei di Maastricht, si può ancora una volta notare come l'orizzonte europeo non orienti di molto, al di là delle dichiarazioni retoriche o affettive, il comportamento di governo e parti sociali. Da cosa è giustificata una tale impressione negativa? Innanzitutto dalle carenze di metodo, e poi dalla inadeguatezza dei contenuti, per finire con l'evidente squilibrio dei costi e benefici per le parti sociali firmatarie dell'intesa. Forse solo il governo può ritenersi soddisfatto, coerente con le sue preoccupazioni di corto e cortissimo periodo: la sopravvivenza fino alle elezioni e il non sovraccarico di una già problematica Legge Finanziaria. Nel complesso è il sistema di relazioni industriali, inteso come strumento di regolazione delle tensioni rivendicative e delle dinamiche salariali fondato sul confronto negoziale degli attori sociali, ad uscirne indebolito. Sul metodo, anche se si tace sulla eccessiva informalità delle trattative (ritardi, rinvii, giostra di ministri, ecc.), si rimane colpiti per la assoluta assenza di certezze negoziali e di criteri interpretativi omogenei dell'accordo stesso. All'indomani della stipula, con la sorniona complicità del governo, la divaricazione dei giudizi fra le parti sociali è stata massima, addirittura sulla sopravvivenza o meno dell'istituto negoziale (la scala mobile) di cui l'accordo decretava la fine, più o meno temporanea. Si profilava sulla scena una nuova, ed aggravata, vicenda del genere «decimali» (legata all'accordo del lontano 1983). Talidesolanti prove di inefficienza delle relazioni BibliotecaGino Bianco 9 industriali identificano una incapacità della macchina negoziale nel «processare» adeguatamente le tensioni e i conflitti. Ce lo hanno bene insegnato i maestri del pluralismo britannico, con la loro immagine della negoziazione come di una macchina nella quale il conflitto in «uscita» deve essere necessariamente minore di quello in «entrata», a prezzo dell'inefficienza dell'intero sistema di relazioni industriali. Questo è quello che conta. Nelle relazioni negoziali, al di là degli atteggiamenti e degli opportunismi delle parti, sono il testo e le procedure interpretative ed applicative a mantenere in vita il rapporto, il sistema stesso. Probabilmente le dichiarazioni accese e sdegnate della Cgil (sul mantenimento del prossimo scatto di contingenza) erano prive di fondamento. E ce lo segnala fra l'altro la opportuna cautela della Cisl in proposito. Altrettanto probabilmente la Confindustria aveva buone ragioni per sostenere la tesi opposta. E tuttavia quello che conta, e che sorprende, è la possibilità che tali clamorosi dissensi si verifichino, denunciando sia insufficienze di metodo, sia non meno gravi instabilità o insicurezze degli attori. Sulla inadeguatezza dei contenuti è presto detto. Nel «protocollo» si dichiara, nei fatti, la fine del vigente sistema di scala mobile. Si è posta la parola fine, almeno per il momento, ad un istituto che aveva orientato, con onori ed anche con errori, la politica salariale italiana dagli anni dell'immediato dopoguerra. E ciò non è cosa di poco conto. Ma questo istituto non è sostituito con niente d'altro, semmai solo con una promessa di riprendere nel giugno prossimo (in un periodo che potrebbe essere dunque o elettorale o post) la trattativa in merito. E questo, nella logica delle relazioni negoziali, è francamente poco perché l'istitutodella scalamobile, pur con le sue arretratezze e forse anche con i suoi effetti perversi, svolgeva un ruolo effettivo nella nostra politica salariale. Le proposte di so-
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