Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

.P.lL BIANCO '-XILROSSO ■lilii•II Negoziadtii giugno: unapiattaformda rifare di Rino Caviglioli E così il negoziato di giugno s'è trasformato ... nel negoziato di giugno. E un accordo privo di conseguenze significative ha suggellato gli atteggiamenti incerti, ambigui, contraddittori tenuti in questi mesi dal Governo e dalle parti sociali. Le posizioni di partenza Le organizzazioni imprenditoriali e, per tutte loro, la Confindustria, hanno puntato ossessivamente ad un solo risultato: rallentare la dinamica del costo del lavoro. La Confindustria è parsa perfino indifferente agli strumenti da utilizzare per ottenere quel risultato. Nell'incertezza, ha chiesto tutto: eliminazione della scala mobile, blocco della contrattazione aziendale, fiscalizzazione degli oneri sociali, compresi quelli sanitari. Di contro, s'è quasi messa da parte nell'aspro dibattito sul governo delle retribuzioni e della produttività del lavoro dei pubblici dipendenti, e sull'intera partita tributaria s'è limitata ad operare come una forte ed intelligente lobby. Le organizzazioni sindacali hanno lasciato vedere una sostanziosa divaricazione tra le dichiarazioni di intenti e la pratica negoziale. Anche nei loro intenti c'era tutto: un sistema fiscale finalmente giusto, un governo equo delle retribuzioni attraverso una esplicita e strutturata politica dei redditi, la riforma della scala mobile e del sistema contrattuale. Intenti condivisibili, trasformatisi in pretese prive di un solido fondamento, almeno per due ordini di motivi. Per quanto attiene il suo specifico, il sindacato continua a rifiutare una verifica critica sulla struttura contrattuale vigente e sui suoi rapporti con le indicizzazioni. L'altro ordine di motivi travalica nettamente le responsabilità delle parti sociali e coinvolge quelle del Governo. Il quale s'è presentato a questo negoziato apparentemente con molte disponibilità, BibliotecaGino Bianco 7 ma privo di una sua posizione di merito. Il negoziato Sentendosi in qualche modo protetto dalla rete gettata con le scelte operate nella legge finanziaria, il Governo s'è mostrato ondivago nel corso del negoziato. I rapporti tra le parti sono stati sistematicamente disturbati e ridimensionati dalle turbolenze del quadro politico: e quando è apparso chiaro che l'instabilità prevaleva, s'è cercato solo di chiudere alla meglio. Forse un linguaggio comune e intenti omogenei tra le parti sociali avrebbero potuto indurre comportamenti diversi. Forse le grandi manifestazioni sindacali potevano pesare di più sul negoziato se non fossero state stemperate nei loro contenuti più propriamente politici. Forse non si doveva lasciar credere al tavolo del negoziato ciò che poi si é contestato al primo stormire d'opposizione. Forse. Fatto sta che ci ritroviamo ora con un «accordo ponte» utile per una sola questione di rilievo: quella che attiene ai criteri per regolare i contenuti salariali dei contratti nazionali del settore pubblico. Ma anche questa importante indicazione rischia il naufragio se abbandonata a sè stessa. Il futuro negoziato di giugno Speriamo che la prossima chiamata elettorale ci consegni un quadro politico stabile e rinnovato, finalmente desideroso di misurarsi sulle grandi dimensioni del degrado istituzionale, economico, civile. In tal caso si verificherebbe la prima, decisiva condizione per dare vigore al negoziato. Ma ne mancherebbe una seconda, che riguarda le parti sociali. Le organizzazioni imprenditoriali - tutte, nessuna esclusa - dovrebbero proporsi come una rappresentanza dei ceti produttivi, tesa a rivendi-

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