Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

~.IL BIANCO l.XIL,ROSSO l 1111 i•~•Mkll Versoun'Europa unita? R iflettendo su quanto è accaduto in Europa in questi ultimi due anni vengono in mente le parole di san Paolo: «Egli è la nostra pace. Egli è colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo». E similmente le parole di Gesù: verranno dall'oriente e dall'occidente» (Mt. 8,8). Veramente sono stati abbattuti muri, e non solo di cemento, che dividevano l'Europa in due tronconi che si guardavano mutuamente con ostilità, sempre sul piede di guerra. Oggi dall'oriente e dall'occidente europeo ci si raduna insieme nello sforzo di costruire la casa comune. [...] La domanda fondamentale che sottostà a tutte le altre è la seguente: stiamo davvero andando verso un'Europa unita? sarà mai possibile raggiungere l'ideale dell'unità europea? [...] Cominciamo col richiamare brevemente i fattidell'Europa centrale e orientale che hanno dato inizio a questo processo storico. Il fattodominante è il crollo repentino del sistema comunista, dominante in questi paesi e il fallimento,proclamato dagli stessi responsabili, dell'ideologia che reggeva tale sistema. La crisi di tali regimi è dovuta anzitutto a ragioni di carattere economico e sociopolitico. Ma la testimonianza di questi popoli, ascoltata anche in questi giorni al Sinodo, ci dice che più in profondità vi sono anche motivazioni di carattere etico e antropologico. Da un'antropologia che riduceva l'uomo alla sola dimensione economica, negando la rilevanza di ogni dimensione trascendente e il primato della coscienza sono derivate un'economia e una politica insufficienti a reggere a lungo una società. I vescovi dell'Europa centro-orientale intervenuti al Sinodo hanno proclamato conBibliotecaGino Bianco di Carlo Maria Martini cordemenle che un importante significato di questi eventi è che il diritto alla libertà religiosa si è dimostrato come la radice degli altri diritti che configurano la dignità della persona umana. Come ha dello il Papa all'inizio dello scorso anno (Discorso al PontificioConsiglio per la Cultura, 12gennaio 1990, n. 1), grazie all'eroica testimonianza dei cristiani di questi paesi «ilmondo attuale riscopre che lungi dall'essere l'oppio dei popoli, la fede cristiana è la migliore garanzia e stimolo della libertà». Ciò mostra che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell'uomo e che la fede cristiana ha un'intrinseca connessione con la questione della libertà umana e con un umanesimo autentico. Tuttavia i Padri hanno anche ricordato che decenni di totalitarismo e di educazione atea hanno lasciato dietro di sé effetti funesti, come poca capacità ad assumere responsabilità per il proprio lavoro, individualismo esasperato, scetticismo, diffidenza reciproca, risentimenti e accuse tra individui e gruppi. Manca quella «capacità di iniziativa e di imprenditorialità» che l'Enciclica «Centesimus annus» riconosce come parte essenziale di un lavoro umano disciplinato e creativo (n. 32). Nello stesso tempo viene dall'occidente il miraggio di una società consumistica in cui molti sognano di poter appagare senza la dovuta fatica tutti i loro desideri immediati. Non c'è da stupirsi che in tale contesto anche le antiche diversità e rivalità etniche e culturali, sopite e calpestate ma non risolte durante il dominio comunista, risorgano ora con veemenza e anche con crudeli conflitti, come nella vicina Jugoslavia. Come è stato osservato nel recente Simposio ecumenico tenuto a Santiago di Compostella, i sentimenti di questi popoli erano stati per molti anni come ibernati: col 54 ritorno alla temperatura normale tutti i germi di divisione esistenti, mai affrontati né sanali, si son ora risvegliali con virulenza, mentre mancano la leadership, l'esperienza e l'ethos necessari per affrontare questi conflitti con razionalità. Letti alla luce del cammino verso l'unità europea tali eventi si rivelano dunque da una parte come una premessa necessaria per un'Europa libera e aperta ai genuini valori umani; dall'altra fanno però intravvedere un lungo cammino di transizione economica, di rieducazione al senso del lavoro e al coraggio imprenditoriale, di riconciliazione degli animi. I paesi dell'Europa centrale e orientale vivono infatti in questo momento uno stato di profonda delusione. Il motivo di questa delusione è triplice. Essi sono delusi del socialismo così come l'hanno conosciuto, sia come ideologia sia come socialismo reale. È probabile che per lungo tempo Polacchi, Ungheresi, Cecoslovacchi, Lituani ecc. saranno scettici di fronte a tutti quegli appelli a identità sociali che essi hanno imparato a leggere come paraventi per un sistema di potere. Sono delusi anche delle prime esperienze della democrazia e dell'economia di mercato. Le loro istituzioni democratiche sono state create con estrema rapidità e senza sufficiente esperienza, le riforme politiche non sono in parecchi paesi il frutto di una autentica maturazione avvenutanelle coscienze e nell'opinione pubblica. L'economia di mercato li trova per lo più impreparati. Per la gente semplice essasignifica oggi di fatto aumento dei prezzi, mancata garanzia di prezzi politici per i generi necessari, compresa l'abitazione, disoccupazione, inflazione. Sono delusi dell'aiuto dell'Occidente. Gli apporti finanziari ed economici della

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