vate o dell'organizzazione scientifica e dell'istruzione, tutto sembra rafforzare il giudizio sulla crescente marginalizzazione dei paesi mediterranei (di tutti i paesi mediterranei) in quelli che sono i settori di punta dello sviluppo tecnologico attuale e senza che nel contempo si sviluppino tecnologie «appropriate» (avanzate o arretrate che siano in confronto ai bisogni giapponesi o tedeschi) a far avanzare i processi di modernizzazione nell'area mediterranea. Affidare quindi lo sviluppo delle tecnologie avanzate alla imitazione dei processi di sviluppo vigenti nelle aree ricche del mondo significa legarsi ad un ruolo di dipendenza strutturale ai bisogni di queste economie, rispetto alle quali le possibilità di concorrenza sono illusorie, rinunciando nel contempo a canalizzare le proprie risorse verso altri settori tecnologici cruciali per lo sviluppo dei mercati esistenti sia nella regione mediterranea sia in altre importanti regioni e aree dell'economia mondiale. La fascia dello sviluppo globale triadico è stata già segnata sulla carta geografica d'Europa. In una indagine francese (Datar), basata sulla fusione di più di 20 parametri della concorrenza, emerge che lo sviluppo si concentrerà in Europa lungo un arco che va da Londra a Genova, passando per Amsterdam, Bruxelles, Colonia, Francoforte, Strasburgo, Monaco, Berna, Milano e Genova. Rispetto a questo sviluppo risultano perciò velleitarie le ambizi:oni di egemonia sia dei paesi del Nord d'Europa, sia dei paesi dell'Europa del Sud. (Invertire queste tendenze significa contrapporvi un disegno della nuova Europa, e del nuovo ordine mondiale, basato non sulla centralità delle aree più ricche dello sviluppo mondiale e della vecchia Europa, ma sullo sviluppo della specializzazione e cooperazione tra regioni europee). Passando all'analisi del cuore del sistema industriale, e cioè le strutture produttive e commerciali, si osserva che nè le «regioni» nè i «distretti industriali» più avanzati dei paesi dell'Europa del sud (la terza Italia, la Catalogna, ecc.) aggiungono molto al quadro sin qui delineato. Testimonianza del potenziale di sviluppo esistente nel Mediterraneo, queste iniziative si sono proiettate fuori del contesto regionale mediterraneo a cui appartengoBibliotecaGino Bianco .P.tt BIAI\CO lXILROS.SO I lii RUDI iilitiiiit•I no, legandosi al sistema dei consumi e delle tecnologie della globalizzazione, cioè dei paesi più ricchi, e avviando quel processo di sviluppo dipendente menzionato a proposito delle tecnologie. In tal modo hanno catturato le migliori energie e i capitali disponibili orientandoli verso la ricerca di interstizi produttivi all'interno dei grandi sistemi industriali del centro-nord-Europa di cui hanno plagiato sia le forme di consumo sia i metodi di organizzazione industriale e produttiva, anziché orientarsi verso uno sviluppo produttivo corrispondente ai bisogni e alle forti possibilità di crescita dei mercati mediterranei. Ne è così derivato un sistema di rapporti economici europei all'interno dei quali l'Europa del sud è subordinata ai mercati ricchi del nord Europa e il Mediterraneo in generale viene incluso in una rete di rapporti produttivo-commerciali che gli assegnano il ruolo di fornitore di materie prime e prodotti manufatti a basso costo (con un relativo basso rapporto di scambio) per i mercati ricchi, mentre si accresce proporzionalmente la loro dipendenza totale per l'importazione dei prodotti finiti, a tecnologia avanzata, sia industriale sia alimentare. Questo quadro della situazione, che riproduce visualmente un rapporto di dipendenza tra Mediterraneo e paesi ricchi europei di tipo classico,mostra un bacino mediterraneo dove nel gruppo più alto della classifica, si trovano in ordine decrescente i paesi dell'Europa del sud, e cioè Francia, Italia e Spagna. Tra i paesi a reddito medio-alto troviamola Grecia, Libia, il Portogallo e la Jugoslavia. Tra i paesi a reddito medio-basso tutti i paesi della sponda sud del Mediterraneo (meno la Libia). Va tuttavia osservato che nessuno dei paesi mediterranei si colloca nella fascia della povertà. La coopemzio e economica nel mediterraneo è nord-ovest e nord-sud, ma è pressoché assente la cooperazione sud-sud e, quindi, è praticamente inesistente un mercato interno per i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Esperienze vivaci di crescita a sud si sono avute in Egitto, Marocco, Tunisia, Turchia, Jugoslavia il che rivela, malgrado il quadro generale di dipendenza della regio44 ne, l'esistenza di vivacità e fermento imprenditoriale, sia questo di tipo «pubblico» o «privato». Resta infine da considerare il «ventre» dei moderni sistemi industriali, il sistema istituzionale come fase di rielaborazione e distribuzione delle risorse esistenti. Le debolezze istituzionali, cioè politicoamministrative dei singoli stati, sono ben note ma si sono aggravate per l'avanzare dei processi di globalizzazione e la destabilizzazione delle forme di capitalismo nazionale e di stato nazionale che questo comporta. Anche qui siamo in presenza di un processo che interessa tutti i paesi del Mediterraneo, sia quelli membri della Cee che i non membri. Se i paesi «forti» del Mediterraneo non ne sono consapevoli, ne sono coscienti gli altri. Di ciò si è fatto portavoce il giornalista Paul Johnson sul giornale inglese «Sunday Telegraph», che propone di spostare la costruzione del «muro» molto più a nord, all'incirca laddove si verifica la separazione tra protestantesimo e cattolicesimo.L'Europa meridionale (Italia, Francia e Spagna) viene collocata per intero nella «palude di corruzione» che secondo l'autore caratterizza l'intero Mediterraneo e per far fronte a questa situazione viene proposta la formazione di una «Lega del Nord», con al centro la Germania, l'Inghilterra, l'Olanda e la Danimarca. Insomma gli «onesti»a nord e i «disonesti» a sud e agli occhi di un inglese non c'è molta differenza tra la lega lombarda e la mafia siciliana. (Sunday Telegraph, 23 ott. 1991, citato da La Stampa, p. 1-2). A livello regionale la debolezza del Me-· diterraneo è anch'essa evidente. Rispettoai paesi del nord ad esempio, che da tempo hanno dato vita al Consiglio nordico, e già ora hanno lanciato l'idea di un Consiglio dei paesi del bacino baltico (la riscoperta della vecchia lega anseatica) composto sia dai paesi Cee sia da paesi extracomunitari, i paesi mediterranei rimangono passivi rispetto a tutto ciò, e si lasciano, singolarmente o a piccoli gruppi, coinvolgere in meccanismi di integrazione con altri paesi del nord o con la Cee, rispetto ai quali non hanno alcun potere di contrattazione e possibilità di ruolo autonomo. La politica degli accordi bilaterali, e gli interventi di assistenza allo sviluppo pro-
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