Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

democrazia economica. In tutta la riflessione socialdemocratica prima, ma anche dei partiti progressisti che si sono occupati di partecipazione e di democrazia economica, si è sempre avuto in mente lo stato come referente essenziale; lo stato doveva fare le leggi di sostegno alla partecipazione, e doveva in genere dare il quadro per le forme di democrazia economica nelle diverse varianti. L'ambito statale è sempre meno importante di fronte a una crescente internazionalizzazione della economia di cui non avvertiamo an - cora tutte le implicazioni. Molte difficoltà delle ipotesi anche più avanzate di democrazia economica, compresa quella svedese, e di teorizzazione socialdemocratica, dipendono da questo; le ipotesi devono essere ripensate perché il contenitore tipico in cui erano riversate, cioè lo stato sta perdendo importanza. Questo è un problema che riguarda non solo il sindacato ma anche i partiti. Sono convinto più in generale che la crisi del pensiero, oltre che dell'azione dei partiti socialdemocratici in Europa sta proprio qui; non solo o non tanto nel crollo dei regimi comunisti (dove di socialismo c'era poco) ma nel venir meno del luogo istituzionale, dove la socialdemocrazia è vissuta e prosperata, si è sviluppata: cioè lo Stato nazionale. Questo perché gli strumenti tipici dei partiti socialdemocratici e dei sindacati sono stati finora nazionali: aiuti finanziari dello stato; voto nello stato, territorio e.popolazioni dello stato. Adesso occorre immaginare una democrazia economica ed industriale transnazionale. Per questo secondo me la sfida alla partecipazione non viene tanto dalle teorie e pratiche della deregolazione che qualche anno fa erano di modama da fattori più complessi che si originanonell'internazionalizzazionedei sistemi produttivi e nella loro accresciuta variabilità e decentramento. Detto questo, la nostra riflessione ha diversi luoghi di verifica. L'impresaè più che mai un luogo essenzialeper le prospettive della partecipazione. Si tratta di un'impresa molto diversa da quellatradizionale fordistaecc.; un impresa che si muove molto al di là dei confini; un'impresamobile, che si internazionalizzapiùvelocemente di quanto non si internazionalizzi l sindacato, per ora. Quel che BibliotecaGino Bianco .P!J~ BIANCO lXll,ROSSO i•H@iilAi importa definire non sono tanto le forme della partecipazione, ma la capacità di esercitare un'incidenza effettiva su questa nuova impresa, moderna, veloce, articolata e sempre più internazionale. Anche questo aspetto del tema è sempre stato nazionale, l'Italia è l'unico grande paese europeo che non ha una legislazione sulla partecipazione nell'impresa e che ha anche poca esperienza pratica; da questo punto di vista siamo in ritardo rispetto all'Europa. L'orizzontedell'impresa europea «partecipata» è un orizzonte necessario; è maturo sia per il sindacato europeo, sia per le imprese «illuminate» europee. Dovrebbe esserlo anche per il sindacato e per le imprese italiane servirebbe una sperimentazione sistematica e diffusa di forme partecipative dell'impresa meglio se sostenute da una legge, ma al momento non è facile immaginare come lo schieramento governativo possa assumere all'ordine del giorno una legislazione di sostegno alla partecipazione dell'impresa. La nuova Europa, tanto più dopo Maastricht ha come obiettivo prioritario di dare una cornice comune alla partecipazione nelle imprese che, 35 già nell'impostazione della comunità è una cornice trasnazionale; non è un caso che le ultime versioni delle proposte di direttiva, hanno come oggetto principale e esclusivo le imprese transnazionali. Queste direttive sono di tipo nuovo, opportunamente flessibili, che lasciano aperte diverse opzioni alle parti. La proposta sulla società europea presenta un modello di statuto che comprende la partecipazione in forme che sono lasciate libere, entro certi limiti; la stessa scelta dello statuto europeo non è imposta ma solo incentivata. Una approvazione di tali proposte avrebbe un grande significato di stimolo, ma lascerebbe notevolimargini di libertà agli attori nazionali. Restano in ogni caso aperti almeno due problemi importanti: il primo è che esistono poche forme significative di rappresentanza dei lavoratori nelle aziende europee - con l'eccezione di qualche gruppo multinazionale. I lavoratori che dovrebbero essere gli attori principali della partecipazione nelle imprese europee sono ancora esclusivamente organizzati su base nazionale. Anche se la Ces, la confederazione europea dei sindacati, si è ultimamente rafforzata non poggia su una rete di sindacati e di consigli aziendali che vada oltre i confini statali. Se è vero che l'orizzonte della partecipazione nell'impresa è ormai sempre più multinazionale, un sindacato che vuole essere attore di partecipazione deve darsi una rete di strutture di base sovranazionali. Altrimenti è probabile che il bisogno oggettivo di partecipazione sia sfruttato dal management nazionale ed internazionale secondo i suoi criteri. Il management «partecipativo» dilaga in Europa; gli esperimenti più interessanti di partecipazione sono tutti gestiti dal management anche laddove questo chiede l'intervento del sindacato (come è il caso della Fiat in Italia), in Europa il sindacato è ancora sufficientemente forte per non essere completamente tagliato fuori dalla partecipazione nell'impresa. Però spesso è poco più che un invitato. La sfida per il sindacato è dunque di costruire una rete di strutture in tempi utili per non essere un mero invitato. Il secondo problema riguarda l'estensione e l'incidenza nelle forme partecipative. Anche le proposte di direttiva della Cee

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==