Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

stono le strategie sovranazionali perché esse dipendono da «centri decisionali» non chiamati a rendere conto a controparti sociali, lo stessoazionariato diffuso è debole. Al di là del giudizio di merito sulla vicenda Pirelli: Continental (solo per citare l'ultima) a contare è stato il menagment delle aziende, le banche centrali e, per la Pirelli, Mediobanca; i sindacati e i lavoratori si devono occupare solo degli effetti negativi della vicenda anche perché non sono attrezzati a livello internazionale per diventare interlocutori autorevoli per operazioni di simile natura. La globalità in economia come in ecologia è già fatto reale in una fase di grandi trasformazioni che vedono in crisi i «modelli» che si sono confrontati in questi secoli. Il modellocomunista è fallitoe ha lasciato solo, sfacelo e paura. Il modello capitalista ha avuto la possibilità di svilupparsi, laddove è accompagnato dalla libertà e dalla democrazia, perché ha saputo o dovuto correggere la sua natura di «mercato senza regole» in quello di «mercato regolato» che, come ci ricorda Hans Kung, ha dato vita ad «economie sociali di mercato». Ciò significa che forme di democrazia economica, magari insufficiente, si sono realizzate in quegli stati e in quelle aree che sono state in grado di conciliare solidarietà con proprietà. Le dottrine sociali dell'Europa occidentale hanno prodotto realtà a stadi diversi di socialità a seconda dell'influenza della forza dei lavoratori che hanno accettato la logica riformistadi matrice socialistao cristiana. In ogni realtà lo Stato ha svolto il ruolo di «garante degli interessi generali» con il trasferimento di risorse a favore dei settori più deboli ed esposti della popolazione e del lavoro. Per questo non è possibile pensare allo sviluppo di una reale «DemocraziaEconomica» senza uno Stato (o Stati) impegnati ad intervenire nel LiberoMercato. Per rendere possibile un salto di qualità del ruolo degli stati sono necessarie «RegoleComuni» da definirsi a livello internazionale. La definizione delle ultime tappe per il Mercato Unico e per la Moneta Unica europea impongonoanaloghe politichesociali con l'indicazione dei soggetti chiamati a concorrere al!'attuazione di una DemoBibliotecaGinoBianco .P-11, BIANCO lXll,ROSSO l•Xi@OMil crazia Economica Europea. Se al Mercato Unico non corrisponde una politica sociale unica l'Europa non si farà. Così come alla «BorsaMondiale» se non corrisponderà un «controllo mondiale» garantito da regole comuni sarà difficile impedire l'aumento degli squilibri tra aree del mondo. Già oggi gli squilibri sono in aumento e se non verranno definite le nuove regole essi aumenteranno anche all'interno delle aree forti (Usa, Cee) con il risultato di emarginare forza lavoro e cittadini, aumentare i disagi e lo scontro sociale. Se l'unico regolatore sarà il profitto, sempre di più derivato dalle capacità finanziarie e tecnologiche considerando ininfluente il fattore lavoro e il fattore uomo; lo scontro sarà sicuro e i suoi effettidevastanti. Vediamo alcune situazioni concrete. In quella che era l'Urss e in tutti i paesi dell'Est, Jugoslavia in testa, la corsa alla libertà e alla democrazia è diventata un'avventura rischiosa perché, per dirla con un antico filosofo, «con la pancia vuota non si ragiona». Il rischio di involuzione antidemocratica, diventa effettivocon l'aggravante degli scontri nazionalistici in un'area «ricca» di armamenti di ogni tipo. Il passaggio al mercato senza regole e senza «ammortizzatori»,possibili solo con un accordo internazionale, può diventare suicidio. Anche nei confronti del TerzoMondo se non si è in grado di definire regole di New Dia!globale capace di innescare sviluppo e diffondere fiducia, lo scontro potrebbe essere di grandi dimensioni impedendo 28 ogni forma di democrazia economica anche nei paesi sviluppati. In Italia, per esempio, se non si introducono forme di controllo reale sulla Borsa che ogni lustro riesce a «tosare i risparmiatori», come diceva Ernesto Rossi già negli anni cinquanta, senza che nessuno venga chiamato a rendere conto in qualche modo, il rischio è di limitare le esperienze di democrazia economica agli aspetti aziendali, importanti, ma non decisivi per un reale sviluppo della democrazia. In buona sostanza i livelli di democrazia economica sono diversi e tutti importanti ma il più significativo, in un mondo sempre più integrato, è quello relativo alla definizione di «regole comuni» a livello internazionale. Insieme, quindi, alla democrazia industriale, alla definizione di politiche nazionali con contenuti sociali, è necessario organizzare un interlocutore sindacale con valenza sovranazionale (europea, mondiale) in grado di concorrere insieme agli imprenditori, ai finanzieri, agli Stati a definire queste regole. Occorre prendere atto della fine del!'esperienza del comunismo negatore non solo della libertà ma anche del progresso economico. Ma occorre, anche, prendere atto delle insufficenze del capitalismo che rischia di produrre solo per consumare senza pensare alle conseguenze. Da qui, anche per poter sviluppare una democrazia economica, è necessario tornare ai valori di fondo che fanno diverse le democrazie dagli altri regimi. Tornare ad un'etica del lavoro, ad un'etica del menager, ad un'etica del governare. Occorre lavorare perché nasca un'etica mondiale come ci suggeriscono gli eventi e come, in modo lucido, propone Hans Kung il quale dice: «senza una moràle, senza norme etiche universalivincolanti, anzi senza modelli globali le nazionicorrono il rischiodi sfasciarsi,mediantel'accumulazione dei problemi nel corsodei decenni, in una crisi che, alla fine, puo condurreal loro collasso,cioè allarovina economica, allo smantellamentosocialee alla catastrofepolitica». La democrazia economica richiederegole nuove e un'etica della responsabilità per la quale si devono sentire impegnati tutti gli uomini che amano la libertà, la democrazia e la giustizia sociale.

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