Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

.PJL BIANCO lXltROS.SO •ii•liiill stituzione o di trasformazione non erano mancate, e su talune di esse forse poteva essere trovato l'accordo se le parti sociali (imprenditori in primo luogo) ed il governo fossero stati più rispettosi delle esigenze del nostro sistema di relazioni industriali ed avessero mostrato più solide attitudini concertative. Un sistema che, specie in vista della costruzione dell'unità economica (e monetaria) dell'Europa non può privarsi di un qualche livello di regolazione centrale delle dinamiche salariali, valido per il settore privato come per il settore pubblico. Sugli altri contenuti preferisco non soffermarmi. Quello relativo alla fiscalizzazione, assume molti aspetti da partita da giro e, comunque sia, con la sua ricaduta sulla fiscalità diretta rivela una natura che è arduo ricomprendere nei contenuti tipici di questo genere di accordi di regolazione, anche se intesi nel senso più lato. L'impegno del governo a trasformare in tempi strettissimi la contrattazione nel pubblico impiego è senza dubbio di grande interesse, ma le perplessità già sorgono in merito al criterio previsto per il contenimento della dinamica salariale nel settore pubblico (l'aumento delle retribuzioni unitarie entro i tassi di inflazione programmati). Si sa, infatti, che la difficile programmabilità di questa dinamica è dovuta anche ad altri fattori. Prima fra tutti la mobilità fra i livelli di inquadramento. Comunque sia, vedremo. Sullo squilibrio delle utilità (o dei vantaggi) per le parti è presto detto. Le imprese hanno ottenuto, per finalità molteplici ed eterogenee, l'abbandono della scala mobile, e questo per i loro non ampi orizzonti di impegno associativo basta e avanza. Il governo, come dicevo, tampona e rinvia. Che si BibliotecaGinoBianco 10 vuole di più, coi tempi che corrono? E il sindacalismo confederale? Per questo attore, pur mettendomi nella migliore disposizione, non comprendo quali siano i vantaggi dell'intesa. Vantaggi difficilmente percepibili anche qualora si voglia ipotizzare l'apparizione di una pressante sensibilità per il «bene comune», rivolta alla salvaguardia degli equilibri economici e politici del paese. La scala mobile avrebbe comunque cessato i suoi effetti con la fine della vigenza della legge relativa. Perché sottoscrivere un semplice dato di fatto? La fretta, o la carenza di linee rivendicative appropriate e unitarie, hanno giocato un brutto scherzo persino alla professionalità negoziale dei sindacalisti. Se ne è andato così, senza l'onore delle armi, un istituto storico delle relazioni industriali italiane. Mi torna alla mente, a questo proposito, quanto mi raccontava un prestigioso dirigente sindacale, protagonista delle lottenegli anni sessanta e settanta in merito all'impegno rivendicativo nei confronti della nocività sui luoghi di lavoro. A delegati di fabbrica più impegnati, ed anche «arrabbiati», che solevano alzare il motto «la salute non si vende», usava rispondere che la stessa salute neanche si regala. Su questa linea potremmo dire che se i migliori sindacalisti non hanno mai detto «la scala mobile non si tocca», essi neanche hanno voluto intendere che la stessa scala mobile si potesse prendere e buttare senza alcuna compensazione. Possiamo sperare che nei prossimi mesi il sindacalismo confederale riacquisti le proprie capacità propositive e le proprie abilità negoziali. È certo che esso ha contribuito non poco a pregiudicare le proprie risorse. Francamente, non me l'aspettavo.

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