~!LBIANCO l.XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Eppusrimuov.e. . di Pierre Carniti - 1vertice di Maastricht dei capi di Stato I e di governo che ha varato il nuovo trattato dell'Unione Europea ha suscitato grande soddisfazione, molta retorica, qualche bugia. Ma sopratutto ha determinato un diffuso sollievo perché, con - indiscutibili progressi, si è portato a termine l'esercizio di revisione del Trattato di Roma che, nell'ultimo anno, aveva assorbito la maggior parte delle energie comunitarie. Oltre tutto se il vertice di Maastricht fosse fallito avrebbe potuto portare alla disintegrazione della Cee. Invece la Cee (anzi, d'ora in poi, l'Unione Europea) ha resistito alle polemiche, ai contrasti, agli opposti interessi ed oggi, malgrado i 24 ANNO III0 • GENNAIO 1992 • L. 3.500 BibliotecaGino Bianco
IN QUESTONUMERO llnikUiJli•I Eppur si muove ... , di Pierre Camiti pag. 1 Mil•li••d E se Psi e Pds .... Per una strategia realista, ma prima che sia troppo tardi, di Fabrizio Cicchitto pag. 4 Unità a Sinistra? Sì. ma con respiro europeo, di Giorgio Napolitano pag. 6 Negoziati di giugno: una piattaforma da rifare, di Rino Caviglioli pag. 7 Contratti: Avanti adagio, quasi indietro, di Gian Primo Cella pag. 9 Pappone non c'è più. E don Camillo non cambia? di G.G. pag. 11 Cattolici e Politica. Un nuovo collateralismo? di Giovanni Gennari pag. 12 Sinodo: l'amara sorpresa di un'Europa scristianizzata, di Domenico Del Rio pag. 18 Acli: Un ritorno ... Ma per andare dove?, di Luigi Borroni pag. 21 ■ iihS'1h11 Democrazia europea: Economia. industria. mercato, partecipazione. E poi? Democrazia industriale: per esempio cominciamo così ... , di Gianni Italia pag. 22 Dopo il protocollo lri qualche sviluppo concreto, di Walter Galbusera pag. 24 Democrazia economica e riforma della politica, di Anna Carli pag. 25 Quale democrazia economica? (Il mercato globale e le forze in campo), di Luigi Vertemati pag. 26 Sindacato, partecipazione. democrazia industriale, di Guido Baglioni pag. 28 Per una ridefinizione della democrazia economica, di Mimmo Carrieri pag. 31 Europa e partecipazione: le nuove urgenze concrete, di Tiziano Treu pag. 33 1111RUilli i Mitili t•i Maastricht: un'Europa zoppa e senza respiro solidale, di Anna Catasta pag. 37 Il Consiglio di Maastricht e la metafora del sociale, di Franco Chittolina pag. 40 Il Mediterraneo da mosaico a regione, di Bruno Amoroso pag·. 41 ihiil\lAO Sul nostro riformismo. Lettera aperta a ReS, di Gigi Biondi pag. 47 Etica e riforme, di Fabio Zanatta pag. 48 liiUIIUMlii Saluto e monito alla Dc in tre parabole eloquenti, di Carlo Maria Martini pag. 52 Verso un'Europa unita?, di Carlo Maria Martini pag. 54 Cliiiil■ Welfare o no? Una predica utile, di Ivan Cavicchi pag. 57 Libri ricevuti pag. 58 D•P11ihMWHilfit■MI Etica laica ed etica cattolica a confronto, di G.G. pag. 59 Europa e democrazia economica. Forum nazionale di ReS (Milano 3/12/91), di Renato Vallini pag. 60 Democrazia. riforma, referendum Convegno ReS di Monza (3/12/91), di Vito Orlando pag. 61 Le conclusioni del direttivo di ReS (Roma 7/1/92) pag. 62 Immagini: Marino Marini (Per concessione dell'Editore "Il Saggiatore") BibliotecaGinoBianco
i.>.lLBIANCO l.XltROSSO I M n I kUA ii Mi compromessi e la Gran Bretagna che si è collocata in «aspettativa», è un po' più forte, un po' più unita, un po' più pronta a fronteggiare i problemi di un mondo più instabile e quindi più insicuro. C'è chi ha deplorato l'eccessiva propensione al compromesso. Ma il compromesso è la sola maniera civile di fare l'Europa. L'altro metodo è quello della maniera forte. Quella che hanno utilizzato, ciascuno nel suo secolo, Napoleone ed Hitler. Tutti sanno, però, quel che ha prodotto. Non bisogna dunque stupirsi che la numerosa e disparata famiglia che è questa Unione (in costante costruzione da quattro decenni) sia in balìa, in ciascuno dei suoi tumultuosi reincontri, di mercanteggiamenti o di minacce di rottura. C'è, semmai, da rallegrarsi che, alla fin fine, come è avvenuto anche a Maastricht, essa sappia sempre doppiare i passaggi difficili. D'altra parte in ognuno di questi negoziati si mette in gioco un equilibrio che è ogni volta da reinventare, tra interessi nazionali da difendere ed un destino comune da prospettare ai popoli che compongono la Comunità. Può darsi che, anche grazie a Maastricht, gli europei possano convincersi che l'Europa delle istituzioni tende a collegarsi con quella della gente. C'è una circostanza che deve far riflettere. Proprio nello stesso giorno in cui l'Unione Europea faceva un passo avanti, veniva dato l'annuncio del definitivo dissolvimento dell'Unione Sovietica. Questa coincidenza esprime una contraddizione significativa per le due parti dell'Europa e per il mondo in generale. È un fatto importante che in un quadro internazionale dominato da i_ncertezze, da rigurgiti nazionalistici ed etnici, gli Stati membri della Comunità abbiano deciso di dare forma ad una nuova Unione attribuendogli parte della propria sovranità. Proseguendo con perseveranza nel lavoro avviato dai padri fondatori dell'Europa, senza risultati particolarmente spettacolari e palingenetici, ma sempre nella direzione dell'affermazione dell'interesse reciproco, a Maastricht undici Stati membri hanno confermato la loro fidueia nel fatto che il lento lavoro di costruzione comunitaria è possibile che l'integrazione europea può progredire e porterà cambiamenti positivi anche nella nostra vita quotidiana. È un segnale rassicurante in un momento in cui si addensano nuvole basse nelle vicinanze. Peccato che la buona notizia non sia stata data con parole più ispirate e suggestive. Nessuno riuBibliotecaGino Bianco 3 scirà a far scattare in piedi le assemblee con discorsi elaborati in base alla prosa del nuovo Trattato. È, infatti, un testo in eurocratese creato da tecnocrati che devono trovare formule da rendere in nove lingue e che quindi non hanno un significa - to vigoroso e profetico in nessuna di esse. Ad esempio, a proposito dei «diritti degli Stati membri», la bozza di Trattatorecita: «Nellearee che non rientrano nella sua esclusiva giurisdizione la Comunità agirà conformemente al principio di sussidiarietà solo e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione proposta non possano essere realizzati in maniera sufficiente dagli Stati Membri». Esistono non poche clausole anche peggiori. Ancora più ermetiche. In generale, comunque, non c'è niente che tocchi l'animo, che susciti brividi di entusiasmo. A qualcuno può far venire in mente la Torre di Babele che, come dice la Genesi, digli di Noè tentarono di costruire per scalare il cielo. Ma il proposito fallì ed il loro orgoglio fu punito dal Signore con la confusione delle lingue. Forse, più semplicemente la prosa contorta e senza slanci del nuovo Trattato dell'Unione riflette solo un rassicurante nuovo realismo. Questa Unione che si sta realizzando con grande impegno e non poche difficoltà, passo dopo passo, non ha pretese di universalità ed immortalità. Non è una verità perenne, senza tempo. Ma forse, anche per questo, si sta dimostrando più stabile ed affidabile. È in parte un antidoto alle distruttive esplosioni di nazionalismo e, comunque, un loro contenimento. Per questo, alla prova dei fatti, si dimostra più solida di tanti progetti astrattamente immaginati. La rapidità del cambiamento ad Est lascia senza fiato. Il cambiamento ad Ovest suscita scarso entusiasmo, ma produce un mutamento del modo di vivere della gente. Forse con lentezza, ma anche con continuità. Sempre con l'opportunità di adattarsi, di migliorarsi. Il termine «federale», tabù per il Primo ministro inglese Major, non è stato scritto nel Trattato come obiettivo esplicito. È stato sostituito con l'impegno a «creare un'Unione sempre più stretta fra i popoli d'Europa in cui si prendano decisioni quanto più possibile vicine ai cittadini». Si tratta certamente di una formulazione piuttosto approssimativa, ma almeno si parla della gente. E questo fa ben sperare per il lungo cammino che le istituzioni europee devono ancora percorrere.
~JtBIANCO l.XILROSSO Mii•lillll Ese Psie Pds... Nei numeri precedenti «Il Bianco & il Rosso» ha aperto un dibattito sul futuro di Psi e Pds, con un articolo provocatorio di Piero Borghini, allora presidente del Consiglio regionale lombardo e deputato Pds. Ora Borghini è candidato del Psi per la successione a Paolo Pillitteri come sindaco di Milano: ha realizzato in proprio, e in fretta, un cammino di unità che era solo in prospettiva. Chissà? Dopo Borghini, sul tema controverso dell'unità a sinistra, sono intervenuti Giulio Di Donato e Gerardo Chiaromonte, poi Giuseppe Tamburrano e Giulia Rodano. In questo numero pubblichiamo gli interventi di Fabrizio Cicchitto e Giorgio Napolitano. Perunastrategiraealista, maprimache siatroppotardi di Fabrizio Cicchitto u no dei pochi elementi chiari dell'attuale confusa e convulsa situazione politica è il fatto che nessuna «operazione politica» è destinata a durare poco più dello spazio di un mattino, anche se si presenta con l'ambizione di essere «storica». Così è purtroppo durato pochissimo anche il miglioramento dei rapporti fra Psi e il Pds. Non si tratta di una grande novità. Il sottoscritto sta da tempo lavorando ad una sorta di «storia delle occasioni mancate» da parte dei partiti della sinistra italiana (dall'unità nazionale del '44-'47, al centrosinistra, alla nuova unità nazionale dal '76-'78, alla situazione attuale). Ebbene quello che a mio avviso emerge in modo evidente è che, nella sostanza, il Psi e il Pci non sono mai stati alternativi alla Dc, ma invece sono stati sempre alternativi l'uno all'altro. La sinistra italiana è totalmente anomala e atipica in Europa... Per ragioni che qui è inutile stare ad analizzare e anche ad elencare è parzialmente riuscita nel 1944-47l'operazione togliattiana volta a dare vita ad un «partito comunista nuovo» insieme stalinista e nazionale, massimalista e riformista, caratterizzato da un legame di ferro con l'Urss e anche capace di aderire a molte delle pieghe della società italiana. Proprio il successo di questa operazione ha però reso impraticabile l'alterBibliotecaGinoBianco 4 nativa ed ha comunque creato una insopprimibile dialettica nella sinistra fra questo partito e il partito socialista. Fra i due partiti si è aperta e sviluppata una irrisolta dialettica. Il problema non è stato risolto nemmeno con la trasformazione del Pci in Pds. A mio avviso l'eterogeneità profonda che è presente nel Pds e anche la stessa profondità del dibattito politico sviluppatosi prima nel Pci e poi nel Pds hanno impedito che il Pds, in questi ultimi due anni, cogliesse al volo due delle ipotesi lanciate dal Psi: la repubblica presidenziale e l'unità socialista. Il Pds si è lasciato ipnotizzare da una grottesca campagna che ha demonizzato l'ipotesi della repubblica presidenziale non rendendosi conto che essa caso mai tendeva piuttosto a destrutturare il sistema di potere e di consenso costruito dalla Dc senza distruggere il sistema dei partiti e che avrebbe costituito, se fosse stata realizzata, un'occasione per consentire ai due partiti della sinistra di unire il loro voto. Infatti se i due partiti della sinistra non trovano un'occasione, una sede istituzionale per avere un interesse elettorale comune o convergente, ad ogni vigilia elettorale la conflittualità è destinata ad aumentare invece che a ridursi. Un'altra occasione non utilizzata è stata l'ipote-
~JLBIANCO lXttROSSO Mii•liiid si dell'unità socialista. L'unità socialista era ed è il modo per dare alla stessa nascita del Pds uno sbocco politico e ideale, cioè quello del riformismo, della socialdemocrazia europea. Nel momento in cui entrambe queste ipotesi non sono state «afferrate» si è creato una sorta di vuoto che è stato se non riempito certamente occupato da ben altre iniziative. Non c'è dubbio che esiste una crisi di questo sistema politico e dei partiti tradizionali. Nel momento in cui da sinistra non sono venute «idee forti» quali potevano essere la repubblica presidenziale e l'unità socialista, ecco che il campo è stato occupato dalle leghe e dalle iniziative referendarie. C'è poco da farsi illusioni: entrambe le iniziative tendono a destrutturare totalmente l'attuale sistema dei partiti per sostituirgli non si sa bene ancora cosa. Una conseguenza sarà certamente quella di una «presa»molto maggiore dei grandi gruppi industriali ed editoriali che si sentono più «liberi» in seguito alla fine del comunismo. Il Pds non ha aderito alle ipotesi della repubblica presidenziale e dell'unità socialista, ma invece si è gettato a corpo morto sui referendum e anche ha paradossalmente provato a togliere una castagna dal fuoco alla Dc con la richiesta di impeachment di Cossiga. A mio avviso il Pds si fa delle illusioni sui referendum: i referendum sono agitati ed usati da forze che vogliono spazzar via i partiti ed arrivare all'uninominale e alla legge elettorale maggioritaria; in questa situazione così'.confusa il segretario del Psi ha voluto sostalzialmente attestarsi sui valori della governabilità possibile e concreta attraBibliotecaGino Bianco 5 verso la proposta contenuta nella nota intervista a l'Indipendente. Nessuno può sapere se «l'alternativa di centro» del Pri, la lotta contro i partiti delle leghe, la scelta dell' «opposizionissima» da parte del Pds riusciranno o meno ad impedire al quadripartito di avere nella prossima legislatura i numeri per governare. Il sottoscritto, malgrado la sua valutazione molto pessimista e negativa sui rapporti a sinistra nel corso di tutti questi anni, continua a ritenere e ad auspicare che, dopo il durissimo scontro elettorale che si profila, sia possibile riannodare le fila di un rapporto a sinistra. Anche qui, però, bisognerà intendersi sui termini di una sinistra possibile. Non mi sembra che con la deriva di destra che c'è nel mondo e in Italia sia ipotizzabile nel breve periodo l'alternativa. Sono ipotizzabili piuttosto l'unità socialista, intesa come rapporto preferenziale e federativo fra i due partiti della sinistra, e il «governissimo» per fare alcune riforme istituzionali e risanare l'economia italiana. È possibile e praticabile un «sogno» di questo tipo? Non ne siamo affatto sicuri anche perché vediamo all'opera dei robusti «spiriti animali» che sia nel Pds che nel Psi spingono in altre direzioni. L'augurio un po' sconsolato che voglio fare è quello di auspicare che l'unità fra le forze di sinistra non intervenga troppo tardi, quando cioè l'operazione di destabilizzazione totale nel sistema dei partiti sarà arrivato a compimento. Brillanti o aggressivi sostenitori nel Pds dell' «opposizionissima» si troveranno con un po' di mosche in mano e con un mucchio di macerie intorno.
~.ti-BIANCO l.XltROS.SO Miii•i••d Unitàa sinistra? Sì, I maconrespiroeuropeo di Giorgio Napolitano e prospettive della sinistra europea appaiono condizionate, in questa fase, da un dupli- L ce ordine di difficoltà. Da un lato, i limiti, le insufficienze, le contraddizioni che in diversi paesi insidiano un rilancio delle forze di sinistra sul piano nazionale. Dall'altro lato, i problemi tuttora irrisolti che presenta il processo di caratterizzazione della sinistra come schieramento europeo. Non possono non preoccupare il pesante travaglio che sta vivendo il partito socialista in Francia, la sconfitta subìta dal partito socialdemocratico in Svezia, i risultati elettorali che in altri paesi europei hanno visto successi della destra conservatrice come in Portogallo o affermazioni dell'estrema destra più aggressiva come in Austria. E tuttora complessa risulta la situazione in Germania, nonostante l'esito positivo del Congresso di Brema della Spd e l'alto grado di unità raggiuntosi nella scelta del nuovo presidente; tuttora incerta resta la prospettiva del confronto elettorale del prossimo anno in Inghilterra, nonostante i molti segni di affermazione e consolidamento del partito laburista. Ciò conduce alla necessità di una più attenta riflessione sulla natura e sulla portata delle spinte di destra che in varie forme attraversano l'Europa, e anche su quel che presentano di comune le difficoltà di partiti di sinistra pur operanti in condizioni così diverse. Ovviamente, tocca a ciascun partito fare i conti con i problemi del paese che governa o che aspira a governare e magari con i propri problemi interni, di organizzazione e di unità politica. Ma non può sfuggire il peso determinante che ha ormai assunto il quadro europeo, e dunque l'importanza del superamento dei motivi di contraddizione e dei limiti che emergono nell'azione della sinistra al livello europeo. Anche se il vertice di Maastricht ha sancito in linea di principio la nascita di partiti europei come soggetti della vita politica democratica del nuoBibliotecaGino Bianco 6 vo contesto istituzionale dell'Unione, nella pratica si è ancora molto lontani da questo modello. Gli stessi gruppi che si confrontano nel Parlamento di Strasburgo sono fortemente segnati - forse oggi più di ieri, e per effetto delle prove così impegnative che sono insorte per la Comunità negli ultimi due anni, delle scadenze e delle scelte che ormai l'incalzano - da differenziazioni e tensioni in cui si riflettono le diverse condizioni e posizioni dei principali Stati membri della Comunità. Comunque i gruppi parlamentari europei rappresentano anche per la sinistra il maggiore sforzo di omogeneizzazione e coesione finora compiuto per superare particolarismi e chiusure nazionali. Difficoltà di gran lunga più serie si incontrano per avvicinare in senso più generale le politiche dei singoli partiti di sinistra, quali sono e continuano ad agire paese per paese. Occorre porre con serietà e determinazione la questione di un serio e conseguente spostamento dell'azione di tutte le forze di sinistra sul terreno di una comune visione e strategia europeistica; sta diventando questa una delle condizioni essenziali anche al fine di condurre meglio la battaglia di questa fase politica in ciascun paese. In quanto alla sinistra italiana, essa è investita dallo stesso ordine di questioni e di esigenze, e porta inoltre sulle sue spalle il carico di antiche, profonde divisioni non cancellate neppure da mutazioni straordinarie come quella che ha portato dal Pci al Pds e che ha visto il Pds partecipare come osservatore al Consiglio Generale dell'Internazionale Socialista in attesa di diventarne un membro a pieno titolo. Resto convinto, tuttavia, che l'esperienza della sempre più stretta collaborazione, nel Parlamento europeo tra i gruppi in cui sono collocati il Psi e il Pds, possa rappresentare uno dei principali punti di riferimento per la ricerca di convergenze e di intese tra i due partiti anche in Italia.
.P.lL BIANCO '-XILROSSO ■lilii•II Negoziadtii giugno: unapiattaformda rifare di Rino Caviglioli E così il negoziato di giugno s'è trasformato ... nel negoziato di giugno. E un accordo privo di conseguenze significative ha suggellato gli atteggiamenti incerti, ambigui, contraddittori tenuti in questi mesi dal Governo e dalle parti sociali. Le posizioni di partenza Le organizzazioni imprenditoriali e, per tutte loro, la Confindustria, hanno puntato ossessivamente ad un solo risultato: rallentare la dinamica del costo del lavoro. La Confindustria è parsa perfino indifferente agli strumenti da utilizzare per ottenere quel risultato. Nell'incertezza, ha chiesto tutto: eliminazione della scala mobile, blocco della contrattazione aziendale, fiscalizzazione degli oneri sociali, compresi quelli sanitari. Di contro, s'è quasi messa da parte nell'aspro dibattito sul governo delle retribuzioni e della produttività del lavoro dei pubblici dipendenti, e sull'intera partita tributaria s'è limitata ad operare come una forte ed intelligente lobby. Le organizzazioni sindacali hanno lasciato vedere una sostanziosa divaricazione tra le dichiarazioni di intenti e la pratica negoziale. Anche nei loro intenti c'era tutto: un sistema fiscale finalmente giusto, un governo equo delle retribuzioni attraverso una esplicita e strutturata politica dei redditi, la riforma della scala mobile e del sistema contrattuale. Intenti condivisibili, trasformatisi in pretese prive di un solido fondamento, almeno per due ordini di motivi. Per quanto attiene il suo specifico, il sindacato continua a rifiutare una verifica critica sulla struttura contrattuale vigente e sui suoi rapporti con le indicizzazioni. L'altro ordine di motivi travalica nettamente le responsabilità delle parti sociali e coinvolge quelle del Governo. Il quale s'è presentato a questo negoziato apparentemente con molte disponibilità, BibliotecaGino Bianco 7 ma privo di una sua posizione di merito. Il negoziato Sentendosi in qualche modo protetto dalla rete gettata con le scelte operate nella legge finanziaria, il Governo s'è mostrato ondivago nel corso del negoziato. I rapporti tra le parti sono stati sistematicamente disturbati e ridimensionati dalle turbolenze del quadro politico: e quando è apparso chiaro che l'instabilità prevaleva, s'è cercato solo di chiudere alla meglio. Forse un linguaggio comune e intenti omogenei tra le parti sociali avrebbero potuto indurre comportamenti diversi. Forse le grandi manifestazioni sindacali potevano pesare di più sul negoziato se non fossero state stemperate nei loro contenuti più propriamente politici. Forse non si doveva lasciar credere al tavolo del negoziato ciò che poi si é contestato al primo stormire d'opposizione. Forse. Fatto sta che ci ritroviamo ora con un «accordo ponte» utile per una sola questione di rilievo: quella che attiene ai criteri per regolare i contenuti salariali dei contratti nazionali del settore pubblico. Ma anche questa importante indicazione rischia il naufragio se abbandonata a sè stessa. Il futuro negoziato di giugno Speriamo che la prossima chiamata elettorale ci consegni un quadro politico stabile e rinnovato, finalmente desideroso di misurarsi sulle grandi dimensioni del degrado istituzionale, economico, civile. In tal caso si verificherebbe la prima, decisiva condizione per dare vigore al negoziato. Ma ne mancherebbe una seconda, che riguarda le parti sociali. Le organizzazioni imprenditoriali - tutte, nessuna esclusa - dovrebbero proporsi come una rappresentanza dei ceti produttivi, tesa a rivendi-
,P.lLBIANCO l.XILROS-SO Mil•li•III care peso e potere politico anche in nome di interessi generali, e capace di andare ben oltre l'azione di lobby. Il sindacato, da parte sua, deve scegliere. Deve riconoscere che questa struttura contrattuale: è figlia dei tempi dell'inflazione, quando c'era abbastanza salario nominale da distribuire; ha consentito le due velocità tra pubblico e privato ed ha contribuito così a creare la giungla salariale; non riesce ad articolarsi a sufficienza per aree territoriali, per dimensioni produttive, per fasce professionali e quindi induce sia evasioni contrattuali sia slittamento salariale. Insomma tutto spinge per una nuova struttura contrattuale poggiante sul contratto nazionale per il recupero del potere d'acquisto (utilizzando i parametri e le sedi della politica dei redditi), e su una contrattazione decentrata in ogni punto del sistema di lavoro dipendente attraverso politiche legate ad efficienza, produttività, qualità, redditività. Se così è, il sindacato deve rifare «la piattaforBibliotecaGino Bianco ( ' 8 ma», essere conseguente con le scelte relative alla concertazione, alla politica dei redditi, alle sedi e agli strumenti della partecipazione. Deve ridiscutere e cambiare l'accordo sulle rapprsentanze sindacali unitarie, che è semplicemente impraticabile. Forse va detto così: il sindacato deve smetterla di nascondersi. Come rischia di fare, ancora una volta, sulla scala mobile. La Confindustria è disponibile a mantenerla per i lavoratori non tutelati dalla contrattazione nazionale. Le tre Conf ederazioni, unitariamente, hanno proposto che, dai prossimi rinnovi contrattuali, gli aumenti retributivi siano comprensivi degli aumenti di contingenza (quella che dovrebbe essere ridefinita dal negoziato di giugno): in definitiva la dinamica della contingenza, in futuro, non avrà più alcun effetto sulle retribuzioni dei lavoratori tutelati dal contratto nazionale. Qualcuno è in grado di spiegare la grande differenza tra le due posizioni? / 11 51
.P.ll BIANCO l.XltR~ ili•kli••II Contratti:avantiadagio, quasindietro di Gian Primo Cella - 1documento ( «oprotocollo d'intesa») firmato nello scorso dicembre da governo e parti so- l ciali rappresenta un esempio significativo delle scarse capacità del nostro sistema di relazioni industriali di trasformarsi in modo adeguato alle nuove, dure esigenze della in- - tegrazione comunitaria. Se si pensa che proprio nello stesso giorno venivano varati i trattati europei di Maastricht, si può ancora una volta notare come l'orizzonte europeo non orienti di molto, al di là delle dichiarazioni retoriche o affettive, il comportamento di governo e parti sociali. Da cosa è giustificata una tale impressione negativa? Innanzitutto dalle carenze di metodo, e poi dalla inadeguatezza dei contenuti, per finire con l'evidente squilibrio dei costi e benefici per le parti sociali firmatarie dell'intesa. Forse solo il governo può ritenersi soddisfatto, coerente con le sue preoccupazioni di corto e cortissimo periodo: la sopravvivenza fino alle elezioni e il non sovraccarico di una già problematica Legge Finanziaria. Nel complesso è il sistema di relazioni industriali, inteso come strumento di regolazione delle tensioni rivendicative e delle dinamiche salariali fondato sul confronto negoziale degli attori sociali, ad uscirne indebolito. Sul metodo, anche se si tace sulla eccessiva informalità delle trattative (ritardi, rinvii, giostra di ministri, ecc.), si rimane colpiti per la assoluta assenza di certezze negoziali e di criteri interpretativi omogenei dell'accordo stesso. All'indomani della stipula, con la sorniona complicità del governo, la divaricazione dei giudizi fra le parti sociali è stata massima, addirittura sulla sopravvivenza o meno dell'istituto negoziale (la scala mobile) di cui l'accordo decretava la fine, più o meno temporanea. Si profilava sulla scena una nuova, ed aggravata, vicenda del genere «decimali» (legata all'accordo del lontano 1983). Talidesolanti prove di inefficienza delle relazioni BibliotecaGino Bianco 9 industriali identificano una incapacità della macchina negoziale nel «processare» adeguatamente le tensioni e i conflitti. Ce lo hanno bene insegnato i maestri del pluralismo britannico, con la loro immagine della negoziazione come di una macchina nella quale il conflitto in «uscita» deve essere necessariamente minore di quello in «entrata», a prezzo dell'inefficienza dell'intero sistema di relazioni industriali. Questo è quello che conta. Nelle relazioni negoziali, al di là degli atteggiamenti e degli opportunismi delle parti, sono il testo e le procedure interpretative ed applicative a mantenere in vita il rapporto, il sistema stesso. Probabilmente le dichiarazioni accese e sdegnate della Cgil (sul mantenimento del prossimo scatto di contingenza) erano prive di fondamento. E ce lo segnala fra l'altro la opportuna cautela della Cisl in proposito. Altrettanto probabilmente la Confindustria aveva buone ragioni per sostenere la tesi opposta. E tuttavia quello che conta, e che sorprende, è la possibilità che tali clamorosi dissensi si verifichino, denunciando sia insufficienze di metodo, sia non meno gravi instabilità o insicurezze degli attori. Sulla inadeguatezza dei contenuti è presto detto. Nel «protocollo» si dichiara, nei fatti, la fine del vigente sistema di scala mobile. Si è posta la parola fine, almeno per il momento, ad un istituto che aveva orientato, con onori ed anche con errori, la politica salariale italiana dagli anni dell'immediato dopoguerra. E ciò non è cosa di poco conto. Ma questo istituto non è sostituito con niente d'altro, semmai solo con una promessa di riprendere nel giugno prossimo (in un periodo che potrebbe essere dunque o elettorale o post) la trattativa in merito. E questo, nella logica delle relazioni negoziali, è francamente poco perché l'istitutodella scalamobile, pur con le sue arretratezze e forse anche con i suoi effetti perversi, svolgeva un ruolo effettivo nella nostra politica salariale. Le proposte di so-
.PJL BIANCO lXltROS.SO •ii•liiill stituzione o di trasformazione non erano mancate, e su talune di esse forse poteva essere trovato l'accordo se le parti sociali (imprenditori in primo luogo) ed il governo fossero stati più rispettosi delle esigenze del nostro sistema di relazioni industriali ed avessero mostrato più solide attitudini concertative. Un sistema che, specie in vista della costruzione dell'unità economica (e monetaria) dell'Europa non può privarsi di un qualche livello di regolazione centrale delle dinamiche salariali, valido per il settore privato come per il settore pubblico. Sugli altri contenuti preferisco non soffermarmi. Quello relativo alla fiscalizzazione, assume molti aspetti da partita da giro e, comunque sia, con la sua ricaduta sulla fiscalità diretta rivela una natura che è arduo ricomprendere nei contenuti tipici di questo genere di accordi di regolazione, anche se intesi nel senso più lato. L'impegno del governo a trasformare in tempi strettissimi la contrattazione nel pubblico impiego è senza dubbio di grande interesse, ma le perplessità già sorgono in merito al criterio previsto per il contenimento della dinamica salariale nel settore pubblico (l'aumento delle retribuzioni unitarie entro i tassi di inflazione programmati). Si sa, infatti, che la difficile programmabilità di questa dinamica è dovuta anche ad altri fattori. Prima fra tutti la mobilità fra i livelli di inquadramento. Comunque sia, vedremo. Sullo squilibrio delle utilità (o dei vantaggi) per le parti è presto detto. Le imprese hanno ottenuto, per finalità molteplici ed eterogenee, l'abbandono della scala mobile, e questo per i loro non ampi orizzonti di impegno associativo basta e avanza. Il governo, come dicevo, tampona e rinvia. Che si BibliotecaGinoBianco 10 vuole di più, coi tempi che corrono? E il sindacalismo confederale? Per questo attore, pur mettendomi nella migliore disposizione, non comprendo quali siano i vantaggi dell'intesa. Vantaggi difficilmente percepibili anche qualora si voglia ipotizzare l'apparizione di una pressante sensibilità per il «bene comune», rivolta alla salvaguardia degli equilibri economici e politici del paese. La scala mobile avrebbe comunque cessato i suoi effetti con la fine della vigenza della legge relativa. Perché sottoscrivere un semplice dato di fatto? La fretta, o la carenza di linee rivendicative appropriate e unitarie, hanno giocato un brutto scherzo persino alla professionalità negoziale dei sindacalisti. Se ne è andato così, senza l'onore delle armi, un istituto storico delle relazioni industriali italiane. Mi torna alla mente, a questo proposito, quanto mi raccontava un prestigioso dirigente sindacale, protagonista delle lottenegli anni sessanta e settanta in merito all'impegno rivendicativo nei confronti della nocività sui luoghi di lavoro. A delegati di fabbrica più impegnati, ed anche «arrabbiati», che solevano alzare il motto «la salute non si vende», usava rispondere che la stessa salute neanche si regala. Su questa linea potremmo dire che se i migliori sindacalisti non hanno mai detto «la scala mobile non si tocca», essi neanche hanno voluto intendere che la stessa scala mobile si potesse prendere e buttare senza alcuna compensazione. Possiamo sperare che nei prossimi mesi il sindacalismo confederale riacquisti le proprie capacità propositive e le proprie abilità negoziali. È certo che esso ha contribuito non poco a pregiudicare le proprie risorse. Francamente, non me l'aspettavo.
i.l.lL BIANCO lXILROSSO Mililiild Pepponenon c'è più. EdonCamillanoncambia? Cattolici e politica. Dopo l'intervento di fine estate del cardinale Ruini, che ha restituito attualità al dibattito sull'unità politica dei cattolici italiani, suscitando imbarazzo, compiacimenti interessati, proteste e discussioni, ed è parso dare ragione alle preoccupazioni del vicepresidente del Consiglio Claudio Martelli sul «neotemporalismo» ecclesiastico, ci sono state le parole di Giovanni Paolo II contro i «clericalismi» di ecclesiastici che vogliano imporre le loro scelte alle coscienze libere dei cittadini, e di laici che pretendano, in politica, di essere gli unici rappresentanti dei cattolici, o addirittura della chiesa. Il meno che si possa dire è che si è trattato di due interventi diversi, e chi ha provato a dire che non erano in contrasto non è stato poi capace di dimostrarlo. Con un articolo del numero scorso «Il Bianco & il Rosso» ha provato a ricostruire l'itinerario storico della presenza dei cattolici in politica, e il cammino per cui in Italia, dopo un primo periodo di «divieto» imposto dalla Chiesa di far politica in prima persona, si sia creata quella unità politica che ha dato origine al «Partito Popolare» prima e alla Dc dopo. Anche se sempre discussa e contrastata, all'interno stesso del mondo cattolico, l'unità dei cattolici nella Dc pare aver retto, sostanzialmente, per decenni. Essa, e le cifre lo hanno sempre detto, non è mai stata assoluta, ma pareva una necessità imposta dalla presenza di un Partito Comunista forte e legato ai regimi atei dell'Est. Ma Ruini ha parlato oggi, e dell'Italia di oggi. E il papa ha parlato oggi, e del mondo di oggi. Oggi ha parlato anche il cardinale Carlo Maria Martini, sia ai dirigenti Dc che si preparavano all'Assemblea organizzativa di novembre scorso, sia in S. Ambrogio sul problema dell'unità europea. Questi due testi ci sono parsi di estremo interesse, pur nella loro diversità, e li offriamo ai nostri lettori come Documento in questo stesso numero. Qui di seguito, invece, intendiamo continuare il discorso iniziato nel numero scorso, per analizzare le nuove posizioni del mondo cattolico e le articolazioni del cosiddetto «nuovo collateralismo» con cui la politica italiana si trova oggi a fare i conti. Nel prossimo numero prenderemo in considerazione, in forma conclusiva, le prospettive degli altripartiti, e soprattutto di quelli della sinistra, di fronte a questa realtà complessa e articolata. È superfluo aggiungere che il dibattito resta aperto ai nostri lettori, e che i loro contributi saranno benvenuti. (G.G.) 11 BibliotecaGino Bianco
~JLBIAM:O l.XIL HOS.SO •iikliiiil Cattolicie politica. Unnuovocollateralismo? di Giovanni Gennari 1. Tempi nuovi per tutti Dopo aver visto sommariamente nel primo articolo il cammino del rapporto storico tra cattolici e politica, complesso e contrastato, di fronte alle sollecitazioni della realtà di oggi la prima cosa da fare, credo, è prendere atto che il mondo è cambiato, e con esso è cambiata l'Italia, e sono cambiati i cattolici italiani. - Il mondo. Sul piano mondiale agli anni della guerra fredda ha fatto seguito l'ora della distensione, la fine del comunismo come sistema mondiale, lo smembramento ancora in atto del blocco sovietico e dell'Urss stessa, il crollo di ogni sogno di dominazione rossa e di ateismo ideologizzato ed imposto con le armi della propaganda e della violenza degli eserciti, e l'emergere della dialettica Nord/Sud al posto di quella Est/Ovest che aveva segnato mezzo secolo di storia. - L'Italia. E sul piano italiano i cambiamenti sono stati meno repentini, ma innegabilmente profondi. Cultura, ideologie e politica hanno subito grossi rivolgimenti. Non esiste più il pericolo del comunismo, neppure all'italiana. Non c'è più l'egemonia culturale di un marxismo italico mezzo Togliatti e mezzo Gramsci, che in realtà assegnava al cattolicesimo, e a quello politico in particolare, un ruolo molto secondario e transitorio, di utile alleato iniziale che poi si sarebbe suicidato per lasciare il posto al Principe che avrebbe dominato il mondo. Non c'è più, neppure, il fascino sottile delle virtù proletarie di un partito-chiesa sui cattolici scontenti della Dc e del connubio Chiesa-Dc. Essi sentivano parole come «liberazione», «austerità», «questione morale», - frequenti in bocca comunista-, come echi tradotti, ma non traditi, dei valori evangelici. Il Pci, ora Pds, ha a poco a poco cancellato tanta parte della sua asserita diversità filosofica e ideologica, e dei suoi legami con un BibliotecaGino Bianco 12 mondo dell'Est che non esiste più, e che si è rivelato un enorme fallimento e un inganno pluridecennale di proporzioni immense. È stata certo una dimostrazione di preveggenza, quella di Berlinguer prima, e di Occhetto poi, aver dichiarato «esauritala spinta propulsiva» della rivoluzione d'ottobre, e poi di soddisfare l'esigenza di cambiare nome e ragione sociale stessa al partito. Pur con decenni di ritardo su altri partiti il Pci ha avuto modo di non farsi sorprendere dagli eventi dell' « '89» nell'immobilità passiva e succube che non gli avevaconsentito di leggere il XX0 Congresso, il '56 ungherese, il '68 cecoslovacco e tanti altri eventi che lo riguardavano da vicino. La caduta degli dei dell'Est ha trovato il Pci già in via di cambiamento. Questo non è ancora completato, certo, ma l'importante è che sia davvero iniziato, e che, per quello che riguarda l'argomento qui trattato, un sostegno ecclesiastico alla Dc non ha più davvero giustificazioni, come invece ne ha avute in passato, come diga al comunismo ateo e sovvertitore dei valori di libertà. - Il mondo cattolico italiano. Anche quel complesso di realtà che è chiamato genericamente mondo cattolico è profondamente cambiato, anche per quanto riguarda il problema del rapporto con la politica e con i partiti. Una recente indagine Jspes, commissionata dalle due grandi riviste dei Paolini, «Famiglia Cristiana» (1.300.000 copie settimanali), e «Jesus» (250.000copie mensili), ha documentato ancora una volta la diffusione della convinzione sanamente «laica», nel senso della coscienza della libertà di voto e di convinzioni politiche, e del rifiuto esplicito di vincolare la fede ad appartenenze politico-partitiche. Il 48,3% del campione globale intervistato ha affermato che i cattolici debbono essere liberi di aderire ad ogni partito, ma tra i cattolici praticanti la percentuale è salita al 54,2%, e sempre tra i cattolici praticanti c'è un 23,1% di totale e secco rifiuto della stessa
i.>-lL BIANCO l.XILROSSO MilkliMid idea di un «partito cattolico». Non basta: il 67% degli intervistati si è dichiarato nettamente contrario agli interventi diretti degli uomini di Chiesa sulle scelte politiche, mentre una grande maggioranza approva la presenza e gli interventi di organismi ecclesiali e religiosi nel campo sociale. E tuttavia c'è anche un altro dato, che deve far riflettere tutti, e soprattutto i politici, e cioè il fatto che per gli italiani l'ispirazione cristiana non deve restare estranea alla politica. Tuttaltro: il 61,6% del campione globale, e il 75,1% dei cattolici praticanti, afferma che l'ispirazione cristiana della politica può avere un senso positivo, e tuttavia ribadisce la contrarietà, quasi speculare, ai condizionamenti religiosi d'autorità sulla coscienza e sulle decisioni degli elettori. A questa realtà pare rispondere, anche se non in modo sempre netto e definito, e addirittura con aspetti che contraddicono apertamente la situazione rivelata dalle indagini suddette, una situazione nuova anche nella Chiesa e nei movimenti cattolici, che procediamo ad esaminare in sintesi. Poi occorrerà interrogarci sull'atteggiamento che chi vuole cambiare le cose attuali può o deve prendere per ottenere il cambiamento desiderato. 2. L'atteggiamento «nuovo»della Chiesa e dei movimenti cattolici. Un rinnovato «collateralismo». - La Chiesa, innanzitutto. Essa ha preso atto, esplicitamente, del fatto che l'appello all'unità politica nella Dc non può più essere fatto in nome delBibliotecaGino Bianco 13 la resistenza al pericolo comunista. Anche nel discorso di Ruini, da cui ha preso le mosse la polemica, c'era questo riconoscimento, e la motivazione esplicita della rinnovata raccomandazione all'unità politica, in pratica il richiamo al voto proDc, era argomentata in altri termini: i valori, la tutela della vita, la difesa della famiglia, la resistenza al secolarismo, all'edonismo, al consumismoecc. Il tutto si colloca in un contesto in cui la presenza esplicita di Chiesa nella società è diventata più vasta, più visibile, più articolata, più decisa. Organismi ecclesiali, associazioni, movimenti., gruppi ufficialmente riconosciuti dalla gerarchia sono attivi nella società .. Gran parte del mondo gigantesco del volontariato è fatto di realtà ufficialmente cattoliche. Sulla spinta dell'insegnamento del Papa al Convegno di Loreto (1986) la Chiesa cattolica italiana si è fatta «presenza» e «forza sociale». In queste circostanze, quindi, continua l'insistenza nella raccomandazione dell'unità politica dei cattolici come sostegno alla Dc che è vista meno sicura che in passato, e bisognosa forse di appoggio non solo spirituale. Il nuovo Concordato ha dato alla Chiesa cattolica, del resto, un riconoscimento ufficiale unico come partner dello Stato e delle istituzioni nella soluzione dei problemi dei cittadini, e non le ha assegnato alcun confine. È un fatto singolare: nel momento in cui Ruini ha ribadito il suo appello a favore della Dc i politici e i giornalisti che hanno creduto di poter invocare i Patti concordatari e sono andati a consultarli hanno scoperto, in ritardo, che il Concordato
i.>-l.L BIANCO l.XIL HOSSO Miiiliiid dell'84 non afferma in alcun modo che la Chiesa non deve intervenire nell'ambito politico, non contiene alcuna formula che possa essere invocata per richiamare al rispetto dell'autonomia della politica e dello Stato, lascia assolutamente aperto alla discrezione degli interlocutori, se c'è, il rispetto della rispettiva autonomia e sovranità. Nei fatti la gerarchia cattolica italiana continua a pensare che solo la Dc può assicurare senza problemi tutta la serie di posizioni di principio, ma anche di potere e di privilegio che sono garantite dal passato e dalla nuova regolamentazione concordataria, che non è certo stata una diminuzione del potere temporale ecclesiastico, e anzi lo ha rafforzato e rassicurato con ragioni moderne e più presentabili di quanto non avvenisse nella vecchia realtà, in cui tutto si reggeva sul fatto che il cattolicesimo era «lasola religione dello Stato italiano». Oggi questo non è più, ufficialmente, ma nulla è cambiato, sul piano dei privilegi veri, dei sostegni economici e finanziari, della possibilità di presenza e di influenza ecclesiastica nei centri della società italiana e delle sue istituzioni che pur ora si definiscono «laiche». Dopo la abrogazione del principio della religione cattolica come religione di Stato la Chiesa cattolica continua ad essere presente, come prima, nella cerimonie ufficiali, nella scuola di Stato, nei ruoli dell'esercito e di varie altre istituzioni, come ospedali e carceri, continua a ricevere, sia pur in forma diversa, finanziamenti di denaro pubblico per il sostentamento del clero, e anzi ne riceve di BibliotecaGino Bianco 14 più, continua a godere di esenzioni e privilegi fiscali giustificati in modo diverso. Questo non è un giudizio nel merito: è una constatazione della realtà. Certo, l'appoggio ecclesiastico alla Dc, a questa Dc, è moltomeno convinto che in passato, e basta a provarlo il fatto che esplicitamente si nega che l'appello di Ruini sia appello elettorale. Ci vorrebbe una rudezza di modi che non è più in voga. Anche il segretario della Conferenza episcopale ha creduto di dover precisare che l'appello era un richiamo ai valori, e non al voto, ma la sostanza ufficiale resta quella degli ultimi decenni, nascosta dietro la cortina dei valori, dei principi, delle enunciazioni programmatiche, che tuttavia contano pure qualcosa. E in questa linea le mosse ufficiali suonano tutte all'unisono: il discorso di Ruini, la «precisazione» del segretario della Cei, Tettamanzi, l'intervento ufficiale dell'inviato dei vescovialla Conferenza organizzativa della Dc ad Assago, il fatto che il quotidiano della Cei, «Avvenire», ha prima citato tranquillamente le parole del Papa in Brasile, quasi nascondendole, e senza ravvisare, unico tra i giornali italiani, la loro dissonanza almeno apparente dall'intervento di Ruini, e poi, esplosa la polemica, le ha ridimensionate a fatto locale, dedicando ad esse un'editoriale dal titolo esplicito: «L'unità dei cattolici non muore in Brasile». La trincea è diventataquella dei valori: la Dc viene dichiarata l'unico partito che programmaticamente difende i valori che stanno a cuore ai ve-
~JLBIANCO lXILROSSO Mi•kliiill scovi e alla Chiesa. Monsignor Giampaolo Crepaldi, all'assemblea di Assago, ha proclamato che la Dc, e si intendeva solo la Dc, «non ha mai disatteso le indicazioni e i richiami della Gei e dei singoli vescovi». Una specie di assoluzione e benedizione generale, che la Dc ha incassato, magari con un pensierino di rivalsa sulle parole severe che il cardinale Martini aveva indirizzato ai suoi dirigenti solo tre giorni prima, e che apparivano ben diverse, come si può vedere in questo stesso numero, nel «Documento» che pubblichiamo. Inutile stare a discutere che non basta proclamare i valori, la risposta è che gli altri partiti neppure li proclamano. e anzi programmaticamente li avversano. E in questo qualche ragione può aversi. In sostanza, come appare da molte parti, l'atteggiamento della Chiesa attuale, ufficialmente, è ancora quello di attenzione privilegiata alla Dc, pur riconoscendone i limiti di testimonianza e di coerenza. È una spinta al rinnovamento, un richiamo all'urgenza delle riforme istituzionali, una specie di scialuppa di salvataggio, di riconoscimento estremo della sua necessità, e dell'obbligo dei cattolici come tali di continuare a votarla. Che nei fatti questo non si realizzi, che di fronte ad una percentuale di credenti italiani che sfiora 1'85%, e di «scelta» della religione nella scuola che supera il 90%. la Dc abbia ormai tra il 30 e il 35% dei voti non cambia la posizione ufficiale. Lo vedevamo alla conclusione dell'articolo scorso. La Dc è al massimo rimandata, e talora è ancora promossa senza esami, come ad Assago, nonostante dubbi e critiche generali, ma non per questo gli altri partiti vengono promossi. Essi per l'ufficialità sono bocciati a priori, e non sono neppure ammessi agli esami. Come esemplare di questo atteggiamento, che è reale, e con cui occorre fare i conti, se si vuole che le cose cambino, prendo una citazione, un p6 lunga, ma necessaria, da «Studi Cattolici», la rivista vicina all'Opus Dei, che può incarnare bene le posizioni di certo mondo cattolico moderato. Nell'editoriale del numero di ottobre '91 il direttore, Cesare Cavalleri, espone con assoluta chiarezza la situazione, dal suo punto di vista, che non è solo il suo: «Se dal piano dei principi si passa alla concreta valutazione storica, bisogna domandarsi: «Quali sono i partiti che, oggi come oggi, promuovono i valori che i vescovi indicano come irrinunciabiBibliotecaGino Bianco 15 li?» La risposta è: «Nessuno».Infattiproprio di quei valori è carente la nostra società, che -contro la piena verità dell'uomo-ha legalizzato il divorzio e l'aborto, per citare solo i guasti più macroscopici. La domanda va allora riformulata in questi termini: «Quali sono i partiti politicamente significativi che, almeno programmaticamente, sono in linea con quei valori, e hanno storicamente compiuto qualche tentativo per difenderli?» (Ho detto «politicamente significativi» per lasciar fuori il Msi, attualmente allo sbando e con un'eredità ideologica neopagana, anche se strumentalmente ha in passato difeso alcuni di quei valori). La risposta dunque è: «laDemocrazia cristiana». Volesse il cielo che ci fossero altri partiti, ispirati ai valori indicati dai vescovi, sui quali potesse convergere l'impegno dei cattolici, ma qui e ora, purtroppo, non ce ne sono». Ci si può lamentare quanto si vuole, di questa situazione, ma non è certo con i lamenti che la si può cambiare. È tuttavia certo che non pare che gli altri partiti stiano facendo il possibile per superarla, né con la tattica né con la strategia, né con le buone né con le cattive, che pur sarebbero possibili ambedue, come vedremo nel prossimo articolo. - Le Associazioni cattoliche ufficiali. A questo proposito occorre prendere atto di un cambiamento notevole, che era iniziato da anni, probabilmente proprio dai tempi del Convegno di Loreto, che ha subito una accelerazione dopo le prese di posizione dei vescovi, e che ha segnato un riavvicinamento ufficiale delle associazioni cattoliche, pur in mezzo a mille distinguo, alla Dc. Inutile, qui, stare a ragionare sui motivi, che sono interni al mondo cattolico stesso, certo, ma anche dovuti a situazioni ad esso esterne. L'Azione cattolica italiana si è riavvicinata ufficialmente, dopo le parentesi polemiche degli scorsi anni, con la presidenza Monticone e la «scelta religiosa», che tanto avevano disturbato i vertici della Dc, e non solo quelli. Il riavvicinamento è stato realizzato apertamente, con incontri e dialoghi, inusuali da molti anni, con la Dc di questi giorni. Anche le Acli «sono tornate all'ovile», pur con ripetute affermazioni di non collateralismo. Capisco che l'espressione suoni dura, e qualcuno possa offendersi, ma non è colpa mia se gli attuali dirigenti si sono mossi come tutti abbiamo visto, ed hanno consentito senza repliche che l'incontro recentissimo con Giovanni Paolo II fosse presentato
i.>.tL BIANCO lXILROSSO Kiiiilillil dai media come una Canossa, con l'esplicita affermazione della sconfessione della scelta «socialista» del 1970. Venivabene a tutti che quel «socialista», che nel 1970significava qualcosa, oggi fosse inteso in modo diverso e più immediato, più strumentale, come un prologo alle vicine battaglie elettorali, in cui il voto più pericoloso, per la Dc e per il suo potere, sarà non certo quello per il Pds, ma quello per un Psi che dal suo rafforzamento potrebbe trarre motivi per scegliere la linea della alternativa alla eternità dell'alleanza con la Dc, che ormai dura da quasi trenta anni. Allora, nel 1970, quella «sceltasocialista» fu demonizzata in nome degli interessi della Dc, molto protetta dagli uomini di punta della Curia, ma significava la fine dell'obbligo dei cattolici italiani a votare Dc a qualsiasi costo, l'affermazione del diritto allo sviluppo dei popoli del Terzo Mondo, la scelta di poveri e delle loro attese, il rifiuto del connubio religione potere, la speranza per tanti giovani cattolici che vedevano a cosa fosse ridotta la Dc di allora. Volevadire che il cristiano come tale non può stare dalla parte del capitalismo selvaggio, che la proprietà dei beni deve avere una destinazione sociale, che lo squilibrio Nord/Sud era altrettanto importante dello scontro Est/Ovest. Nel nome dell'unità politica dei cattolici nella Dc quelle Acli furono sconfessate, emarginate, colpite con il pilotaggio curiale della scissione del Mcl, con il ritiro degli assistenti, con le pubbliche condanne...Eppure non si può dire che avessero scelto qualcosa che sia andato perduto, e oggi le stesse BibliotecaGino Bianco 16 posizioni della «CentesimusAnnus», per tanti aspetti, hanno ripreso alcune intuizioni che furono anche di Labor e Gabaglio. Perché, è la mia domanda amichevole, gli attuali dirigenti Acli hanno consentito che del loro gesto ecclesiale si desse una lettura tutta politica e strumentale? - La «galassia»cattolica. Lo stesso discorso, pur con opportuni distinguo e sfumature, va fatto per tante altre realtà cattoliche più o meno ufficiali, e per tanti movimenti e associazioni di volontariato e di presenza sociale, che magari delusi da certo mondo laico e da altri partiti incapaci di liberarsi dal pregiudizio che «cattolico è uguale Dc» si sono riaccostati al mondo ecclesiastico e di conseguenza al giro Dc, che appare attento come non mai alle richieste e ai desideri che possono venirgli dalla base cattolica. C'è così, innegabile, un risveglio dei movimenti religiosi e di volontariato cattolico che in realtà beneficia, - pur tra mille dubbi e mille incertezze, dovute soprattutto al sistema di potere che la Dc evidentemente rappresenta-, la Dc stessa. Gli altri partiti, infatti, e lo vedremo in seguito, continuano per forza di inerzia a considerare cattolico sinonimo di Dc, e laico sinonimo di non credente, o almeno di non cattolico, e quindi a dispensarsi da qualsiasi sforzo di analisi e di avvicinamento al co.siddetto mondo cattolico. Essi si sentono pieni della loro asserita «laicità», protestano magari quando la Chiesa scende in campo pro-Dc, ma non sembrano interrogarsi per niente sul fatto che anche il mondo cattolico più progressista, che pur
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