_i)JL BIA!\CO lXltROS.SO Kii•li•iil Per l'unità a sinistra • • • un <<nuovo1n1z10>> per tutti di Giulia Rodano e 'è qualcosa di diverso nel dibatto in corso in questi mesi tra il Psi e Pds, rispetto al confronto all'interno della sinistra, quale si è espresso, e anche consumato, tante volte nel passato? Di Donato risponde, nell'articolo pubblicato nel precedente fascicolo di questa rivista, che tale novità sarebbe costituita dalla dissoluzione del comunismo e quindi dalla «obbligata trasformazione del Pci». Certamente gli sconvolgimenti di questi ultimi due anni hanno cambiato le carte in tavola. Anche in Italia, trincea avanzata della guerra fredda, cade ogni giustificazione o pretesto alla sopravvivenza di un sistema politico, che per la mancanza del correttivo dell'alternanza, si è sempre più trasformato in regime. Non mi sembra cioè che, alla luce dei mutamenti del mondo, la necessità di ridefinire la propria collocazione e il proprio ruolo sia soltanto del Pci. Nella grande commedia degli equivoci, nella confusione trasformistica in cui sembra essere precipitata la politica italiana, credo si possa tuttavia ancora cogliere uno spartiacque: quello tra chi si interroga sui prezzi che la nostra democrazia, e con essa tutte le forze politiche, ha pagato alla guerra fredda, e sulla necessità di una battaglia per uscire dal progressivo degradare della democrazia zoppa e bloccata in occupazione dello stato, in sistema corrotto e corruttore di conquista del consenso; e chi, invece,pensa di poter gestire la crisi della guerra fredda e dell'equilibrio bipolare senza cambiare nulla, magari risolvendo tutto chiedendo abiure o innalzando lo stendardo della vittoria sul comunismo. Non penso insomma che la costruzione di una sinistra unita in Italia possa prescindere dalla definizione delle nuove regole della democrazia dell'alternanza, dalla modificazione dei meccanismi (la proporzionale, il voto di preferenza) attraverso i quali i partiti oggi conquistano il consenso, dalla messa in discussione di tutte le rendite di posizione di cui il sistema politico si è giovato. Altrimenti sento forte il rischio che il dialogo a sinistra finisca per consumarsi dentro la paralisi e lo stallo del vecchio sistema politico e appaia ai cittadini stanchi e delusi solo una variante del gioco che si svolge all'interno di un vecchio personale politico, sempre uguale a se stesso. Non credo che sia un caso che sul dialogo e sul rapporto unitario a sinistra aleggi sempre lo spettro della questione morale, del coinvolgimento nel sistema di potere, del condizionamento di tante scelte da parte di grandi e piccoli interessi. Perché un'alternativa possa affermarsi non può che essere anche alternativa al regime che oggi soffoca il paese, impedisce alla macchina pubblica di essere efficace, all'economia di svilupparsi. Oggi dunque rimanere legati all'assetto politico degli anni '80, alla maggioranza di quadripartito, guardare con sospetto a quanti nel Paese, a partire dal movimento referendario, cercano di sbloccare il sistema politico, non è più compiere una scelta di «governabilità» o di cosidetto «cambiamento possibile»; significa al contrario scegliere l'immobilismo, rischiare la decomposizione della democrazia italiana. Non è stata forse questa la preoccupazione espressa anche da autorevoli dirigenti del Psi al recente congresso di Bari? È più convincente ed è più realistico dunque cercare di costruire un «nuovo inizio» per la sinistra italiana, costruire le condizioni istituzionali e politiche per offrire al paese una sinistra è una alternativa che ancora in realtà non esistono. La storia che abbiamo alle spalle, le vicende italiane del periodo della guerra fredda ci fanno capire che è illusorio, o forse consolatorio, pensare che sia sufficiente ricondurre una sinistra pluralista e articolata ad una sola tradizio-
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