i)JJ,BIANCO '-XILROS&> I I 11 itn ili I i Ml tiltiii• Inglesi a Maastricht Il peso del «dopo Thatcher» e osa pensano veramente gli inglesi dell'Europa comunitaria? È quel che ci si chiede spesso a Bruxelles, ma è anche quello che, da qualche tempo a questa parte vorrebbe sapere il primo ministro Major, che si prepara a presentarsi alla Conferenza di Maastricht col pensiero rivolto alle vicine elezioni politiche, previste in Gran Bretagna per l'anno prossimo. L' «Europa» comunitaria è terreno minato e sdrucciolevole per i politici inglesi: fu proprio l'intransigente isolazionismo della Thatcher a far cadere il governo della «signora di ferro», portando alla guida della nazione !'astutamente moderato Major. Tocca ora a Major giocare bene le sue carte; mediare non solo a Maastricht, tra gli entusiasti delle iniziative federali e le diffidenti cautele britanniche, ma mediare innanzitutto a Londra, nel suo governo e tra i membri del partito conservatore, che oggi più che mai dissentono sulla linea da seguire. Il recente Convegno del partito conservatore, tenutosi a Blackpool, ha fatto emergere in maniera lampante le differenze e le divergenze in seno al partito sull'atteggiamento da assumere rispetto all'aumento di poteri di Bruxelles: non sono mancati accenti di nazionalismo estremo e entusiasmi per vie alternative a quella europea, quale il rilancio di un nuovo e più dinamico Commonwealth. I dissapori emersi in questa sede in forma attutita, sono emersi, a livello di governo nelle settimane successive, quando le opzioni presentate sulla posizione da assumere a Maastricht si sono moltiplicate, a detrimento della immagine del partito, in un clima che sà già di campagna preelettorale. Per Major è scattata la febbrile operazione della mediazione tra gli oppodi Marcella Pellegrino Sutcliffe sti, presso i più intransigenti e filothatcheriani membri del suo governo e tra gli entusiasti europeisti degli altri paesi membri; il risultato da ottenere è innanzitutto uno, cioè vincere le prossime elezioni, costi quel che costi: e il risultato potrebbe essere proprio fare «digerire» l'Europa ai conservatori più rigidi. L'obiettivo di Major è attualmente quello di giungere ad una posizione compromissoria su tutti i grandi temi europei che verranno affrontati: politica economica e monetaria, politica estera, politica della difesa e poteri futuri del Parlamento europeo. Le posizioni sono tuttora alquanto distanti, in specie tra gli anglosassoni ed entusiasti federalisti quali i tedeschi; si vedrà soltanto a Maastricht se il pragmatismo britannico vorrà finalmente accompagnarsi all'intransigenza di forma del governo o meno. Su alcune questioni almeno l'atteggiamento britannico è apparso conciliante e positivo. La Gran Bretagna si dichiara favorevole ad un aumento dei poteri di veto del Parlamento europeo sulle decisioni del Consiglio e della Commissione, e non a caso; l'assemblea di Strasburgo non attenterebbe comunque in alcun modo alla sovranità nazionale di Westminster ma, anzi, un'azione di veto del Parlamento europeo, accompagnata dal monitoraggio del bilancio della spesa della Commissione, riempirebbe un deficit democratico, rappresentando un freno allo strapotere della Commissione stessa. Trovare un accordo sulla comune politica estera europea non è invece cosa semplice. Il voto unanime degli stati comunitari per ogni decisione e la sua implementazione appare ai britannici una garanzia che va mantenuta. La distinzione che alcuni hanno voluto sottolineare 61 - "W' - --- - ,_ - - _ _., tra la presa delle decisioni e la loro implementazione stessa appare al ministro degli Esteri Hurd una sottigliezza che potrebbe rivelarsi ingannevole e dunque anche la proposta di votare le sole decisioni all'unanimità e la loro implementazione a maggioranza qualificata non sembra totalmente convincere Londra. L'atteggiamento britannico rispetto al trattato riguardante l'unione economica monetaria europea rimane senza dubbio a tutt'oggi uno dei più oscuri e imprevedibili. All'ala del partito conservatore guidata da Norman Tebbit, che ha subito dichiarato guerra a tale iniziativa, si è contrapposta la posizione più conciliante di Major, sostenuto dallo Scacchiere (ministro delle Finanze) Norman Lamont, che prevede l'approvazione di un periodo di transizione iniziale dei governi nazionali in direzione dell'unione monetaria, da distinguersi da una fase successiva di implementazione dell'unione monetaria europea. Quest'ultima proposta, piuttosto articolata e confusa, rischia però di scontentare tutti, e forse proprio per questo piace poco. Gli equilibrismi di Major sono dunque forse soltanto all'inizio; ma saranno necessari questi ed altri sforzi per salvare, se non la Conferenza di Maastricht e l'Europa, almeno il governo britannico. Con il governo di Major infatti, il partito conservatore non può più permettersi di guardar sdegnosamente all'Europa: a Major, cautamente moderato ma risoluto ad essere rieletto, converrà tenere stretta la carta europea e giocarla con cautela. Scartandola correrebbe il rischio che siano i laburisti a raccoglierla e che siano loro a giocarla al momento giusto.
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