Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

gurano nell'universo a Partecipazioni Statali; si deve invece vendere ciò che interessa di più all'acquirente. Molto schematicamente, risultano più facilmente vendibili: a. le parti di impresa corrispondenti ad aree di mercato monopolistiche o di rendita: energia elettrica, telecomunicazioni, metano, trasporti aerei, autostrade, acciaio, trasporti ferroviari; b. la produzioni che consentono l'entrata in Italia è nella Cee di imprenditori internazionali: assicurazioni, banche, sistemi d'arma, chimica, meccanica. Mi sento di escludere che le grandi imprese italiane abbiano le risorse per acquistare altro che piccoli pezzi di questo patrimonio a prezzi di mercato; escludo che queste attività possano indurre i detentori dei titoli di Stato a scambiarli con azioni di minoranza nelle Partecipazioni Statali. Poiché escludo anche che i politici italiani abbiano il co- .i>.lL BIANCO l.XILROSSO 1 u,m, ii il raggio di vendere ai giapponesi e ai tedeschi, ne devo dedurre che l'intero disegno delle privatizzazioni è un nonevento. È però più facile, ora, decidere sul Ministero delle Partecipazioni Statali. Questo non è mai stato lo strumento che usa le Partecipazioni Statali in conseguenza di obiettivi e strategie di Stato; su questa base, anzi, poteva essere sciolto già da molto tempo. Non è stato nemmeno l'agente del proprietario delle Partecipazioni Statali, viste come merce, perché si è sempre disinteressato dello stato patrimoniale di enti ed imprese: e perciò non può essere, oggi, l'autorità che privatizza; e anche per questo potrebbe essere sciolta. Nè il Ministero si è interessato di difendere, nell'ambito Cee, le imprese a Partecipazioni Statali come un pezzo dell'impresa pubblica europea, ma ha sempre condotto una battaglia protezionista, a difesa delle Partecipazioni Statali italiane: dunque non serve a chi pensa che le imprese pubbliche siano necessarie. Lo scioglimento del Ministero è allora soluzione ovvia. Ma chi sarà responsabile del patrimonio degli enti ed imprese a Partecipazioni Statali? Sempre supponendo che non esista un obiettivo dello Stato in merito alle imprese pubbliche, diverso dalla massimalizzazione del ricavo della loro vendita, non potrà essere responsabile delle privatizzazioni il Ministero dell'Industria; non potrà esserlo il Ministero del Bilancio, che non ha una identità o obiettivi precisi. Non resta che il Ministero del Tesoro, e ciò fa sorgere una domanda: una volta che il Tesoro fosse il proprietario diretto delle imprese pubbliche, ne proporrebbe una vendita come quella descritta nella Legge Finanziaria? Penso proprio di no; ben altre procedure, ben altre attenzioni, ben altre riflessioni avrebbero preceduto l'attuale politica di privatizzazioni. Ma siamo ancora in tempo. Se passa il referendum, e la responsabilità delle imprese pubbliche passa al Tesoro, si potrà forse ottenere, per la prima volta in Italia, un disegno organico, pur orientato alla loro privatizzazione. Mezzogiorno:tre ragioni per il No I l referendum promosso dal Comitatato Giannini per abrogare alcuni articoli della legislazione sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno, rappresenta un segnale eloquente dello scadimento, del logorio che la politica meridionalista ha subìto nella coscienza pubblica: trenta o quarant'anni fa a nessuno, neppure ai critici più accesi dell'allora Cassa per il Mezzogiorno, sarebbe venuto in mente di proporre al corpo elettorale una consultazione di questo tipo. Se oggi c'è questa proposta di referendum, vuol dire che una parte dell'opinione pubblica - e non solo la parte più becera come gli esponenti della di Mariano D'Antonio Lega Lombarda ma gente qualificata, civilmente impegnata ed onesta come Giannini ed altri - dichiara che non ne può più di questo intervento straordinario e che perciò la politica rivolta al Mezzogiorno deve cambiare strada. Ma l'iniziativa referendaria rappresenta anche una mossa a mio avviso, sbagliata, che, se fosse alla fine coronata da successo, creerebbe più problemi di quanti i suoi promotori in buona fede dicono di voler risolvere. Le motivazioni addotte dai promotori del referendum sono che va abrogato l'intervento straordinario che finanzia le opere pubbliche, perché quest'intervento è il veicolo della corruzione e della commistione di interessi tra ceto politico e ceto imprenditoriale (gli imprenditori appunto del settore costruzioni ed opere pubbliche), nonché occasione di affari per la criminalità organizzata. Il professor Giannini ed i suoi compagni di strada nel referendum, vorrebbero invece salvare quella parte dell'intervento straordinario che assicura le agevolazioni finanziarie alle imprese ed anzi, se avesse successo la loro iniziativa, l'intervento straordinario si concentrerebbe - dicono - esclusivamente sugli incentivi alla produzione industriale. Personalmente non credo che, abrogando il grappolo di articoli della legge

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