Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

.P.lLBIANCO lXILllOSSO l•ti~i:0111 Aboliamo pure le PP.SS., ma privatizzarenon è la via P er dire se il Ministero delle Partecipazioni Statali debba continuare ad esistere o meno, sono costretto a fare una lunga premessa. Perché l'impresa ha un proprietario? La domanda non è banale: l'impresa, infatti, se può benissimo funzionare senza specifici proprietari, non può esistere o riprodursi in assenza di proprietà. Da un lato deve esistere un mercato delle imprese, accanto al mercato di beni e servizi, perché tutto ciò che è economico deve essere caratterizzato da un prezzo. L'impresa è dunque una merce, sia pure singolare e, di volta in volta, diversa, e la merce presuppone che esistano soggetti che la domandano e la offrono. D'altro lato, senza un proprietario, il management dell'impresa perseguirebbe obiettivi personali (o di gruppo) che distruggono l'impresa-merce o, più semplicemente, che costituiscono il management come un proprietario. Del resto, un management senza proprietà non guarda all'impresa come un valore unitario, ma tende inevitabilmente a guardarla come somma di parti staccate, in altri termini, il management, in assenza di proprietà, fa attenzione al conto economico dell'impresa, ma non sa cosa farsene dello stato patrimoniale. L'impresa come bene patrimoniale, dunque, esiste negli occhi di chi se ne può appropriare per questo, essa è ricchezza diversa dalla somma dei valori d'acquisto o di vendita dei mezzi di produzione che la compongono. Le imprese a Partecipazioni Statali non difettano di proprietari, poiché accanto allo Stato possono partecipare alla proprietà anche i privati - là dove le azioni sono quotate. Tuttavia, poiché in Italia il controllo delle imprese è sempre rimasto nellemani dello Stato, e poiché lo Stato non si comporta come un di Paolo Leon privato, nel senso che non guarda all'impresa come merce, le imprese a Partecipazione Statale non sono effettivamente guidate come una merce; per lo Stato, il patrimonio rappresentato dalle imprese non ha valore, e il management è indirizzato verso obiettivi diversi da quelli volti a massimizzare il valore di mercato delle imprese. Se tuttavia lo Stato non esprime propri obiettivi sui quali misurare il management, come accade ormai da oltre un ventennio, allora il management è vincolato o dalla propria moralità - e ciò accade più spesso di quanto dicano i critici - o dal gruppo di interesse cui appartiene - e ciò, naturalmente, accade molto spesso. Il dilemma delle privatizzazioni è qui. Non è purtroppo in causa quale obiettivo dello Stato consiglierebbe di mantenere pubblica la proprietà delle imprese ché questo obiettivo non è stato reso esplicito da nessuno, nè una politica è stata elaborata su un tale obiettivo. In queste condizioni, privatizzare diventa corso consigliabile, non foss'altro per individuare un qualsiasi principio ordinatore delle imprese. Certo, è sempre possibile che emergano un obiettivo ed una politica dello Stato che consiglino di mantenergli la caratteristica di proprietario. Anzi, di fronte all'espansione recente dell'arca del mercato nel regolare i rapporti sociali - espansione recente dell'arca del mercato nel regolare i rapporti sociali - espansione interna alle economie di mercato, ma anche espansione geografica ai paesi ex-comunisti e in via di sviluppo - nulla sarebbe più desiderabile che provvedersi di strumenti capaci di ridurre gli effetti negativi del mercato (la concentrazione oligopolistica, la privatizzazione di beni collettivi, la mercificazione delle relazioni sociali, la distribuzione casuale del reddito e delI s1 la ricchezza); per restare in ambito europeo, nulla sarebbe più desiderabile che il sorgere del concetto dell'impresa pubblica europea, cui attribuire le imprese dei singoli stati nazionali, eliminando per questa via l'accusa che le imprese pubbliche rappresentano un mezzo per creare protezione non tariffaria da parte di ciascun paese membro. Oggi, però, il dibattito non è sugli obiettivi dello Stato-proprietario nè sull'impresa pubblica europea, bensì sulla privatizzazione come surrogato del consolidamento del debito pubblico. Si dà per scontato - nella Legge Finanziaria - che non vi sia più un interesse collettivo intorno alle Partecipazioni Statali; non si discute chi debba essere il proprietario privato più adeguato per massimizzare il patrimonio delle imprese da vendere, si auspica una vendita diffusa, ma si rende difficile la vendita del 51%. Ora, se lo scopo della privatizzazione è quello di massimizzare il ricavo dalla vendita per ridurre l'indebitamento, ne deriva: a. che se si mantiene il 51%, lo Stato resta proprietario, ma non si sa perché, se non per favorire il particolare gruppo di interesse che controlla appunto il 51 %; b. che se, invece, si può vendere oltre il 50%, non si vede perché non vendere il 100%, dato che ogni quota di minoranza mantenuta dallo Stato rappresenta una cessione gratuita a favore della maggioranza di controllo; c. che è indifferente vendere sul mercato dei capitali o a singoli compratori, all'estero o in Italia, dato che occorre appunto massimizzare il ricavo; d. che non si devono vendere necessariamente nè gli enti di gestione nè le imprese così come si confi-

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