Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

~JLBIANCO l.XILROSSO liii@OMII I tre referendum del Corid • • econom1c1 D ei tre referendum presentati alla tornata referendaria del 9.6.1991 dal Core! (Comitato per la riforma elettorale), presieduto dall'on. prof. Mario Segni, la Corte costituzionale ne aveva ammesso solo uno, ritenendo che gli altri due fossero «propositivi» e non «abrogativi», come invece richiesto dalla legge. li solo referendum ammesso fu votato in senso positivo da oltre 1'800Jo degli elettori. Il fatto che i grandi partiti maggioritari avessero assunto posizione contraria, e anzi si fossero pronunziati nel senso di non votare, conferì alla votazione referendaria un significato politico preciso, di protesta contro l'invadenza partitica, talché il punto che nella presentazione dei tre referendum aveva avuto semplice valore motivatorio, cioè una maggiore limitazione dei poteri dei partiti politici, e la restituzione all'elettore di più ampia possibilità di esprimere la propria libertà, finì col divenire oggetto di una presa di posizione popolare contro l'invadenza partitica. Sulla scia di questo risultato si è posto il Corid, sulla base della considerazione che fosse opportuno investire di consultazione referendaria argomenti non solo di diritto elettorale, ma anche di diritto sostanziale; vi sono state delle analisi ampie, in quanto il referendum presenta delle limitazioni oggettive, costituite dai fatti di dover consistere in una domanda chiara, dal dover investire o un istituto giuridico nella sua interezza (quindi anche se regolato da più leggi) o in singole norme determinate di una legge, dal non poter avere, nel primo caso, un valore propositivo (nel secondo è solo indiretto). È stato così che a seguito d'analisi, si sono dovuti escludere referendum sugli appalti pubblici, i contratti di concessione, le opere pubdi Massimo Severo Giannini bliche, l'assegnazione di servizi pubblici, e così via, in quanto materie rette da parecchie leggi eterogenee. L'attenzione ha finito col concentrarsi sui tre temi, poi proposti: le nomine bancarie, il Ministero per le Partecipazioni Statali, la normativa sulle strutture amministrative per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. Dei tre temi si passa brevemente a dire. Nomine bancarie: si tratta in realtà delle nomine dei presidenti e vicepresidenti degli enti di credito locali, tipo Casse di risparmio, che con la L. 1938 n. 204 fu trasferita totalmente al Governo (dapprima Capo del Governo sentito l'Ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito, poi Ministro del tesoro). Fu uno dei tanti atti con cui il Governo fascista si appropriò di poteri di comando della vita pubblica. Nel secondo dopoguerra ha funzionato come strumento di lottizzazione partitica di primaria rilevanza, come spartizione e distribuzione di cariche come premio di fedeltà, come merce di scambio, come eliminazione di concorrenti fastidiosi, e simili, salvo rari casi afferenti alle Casse di maggior importanza. Il Parlamento ha cercato poi, negli anni '70, di avocare a sé il potere di controllo, ma con il risultato di aggravare la situazione, tanto che, pubblicata una direttiva Cee, nel 1977, sulle nomine pubbliche, per ben otto anni la si è tenuta non recepita. li fatto è che oggi nomine governative ad enti bancari locali veramente non hanno più senso alcuno, e costituiscono una sopraffazione centrale di interessi puramente locali. La proposta di referendum ha per oggetto l'abrogazione della norma del 1938, e permette agli enti bancari locali di tornare ciascuno al proprio statuto originario; e se questo non c'è più, si ridarà una propria norma statutaria, per provvedere responsabilmente alla scelta dei propri dirigenti. Ministero delle Partecipazioni Statali: che il Ministero non serva più a niente è mostrato dal fatto che lo stesso Consiglio dei ministri, apparsa la proprosta di referendum abrogativo, ne ha proposta la soppressione. Ancor però il progetto di legge in proposito non è apparso, e siccome il Consiglio dei ministri non è organo affidabile, la proposta si tiene in vita, salvo suo ritiro se appaia un progetto adeguato e il Parlamento approvi. La proposta di referendum attiene alla L. 22.12.1956 n. 1589, che istituiva il Ministero, invero tardivamente: si era infatti da tempo posta la questione della direzione degli enti di gestione, che allora erano l'lri, esistente dal 1933, e l'Eni, esistente dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica. Si aggiunse poi l'Efim, nato dalla dissoluzione della Breda. Si pensava che il Ministero avrebbe dovuto guidare tutte le nazionalizzazioni esistenti e future, e gli enti di gestione come l'lri. Senonché di nazionalizzazioni non ve ne furono più, e nuovi enti di gestione non se ne costituirono. Sicché il Ministero è rimasto nella quasi inerzia, ha finito con l'occuparsi di questioni solo marginali, alle quali potrebbe provvedere un semplice ufficio del Ministero dell'industria, tra l'altro con molto maggior coordinamento con le direttive generali. Tutto ciò anche a prescindere dal massimo rendimento delle imprese gestite dalle società degli enti di gestione per pubblici servizi, quali il servizio telefonico, le autostrade, le forniture di gas, ecc. È evidente che il problema della gestione di tali imprese è indipendente da

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