.PJLBIANCO l.XltROSSO Mii•liiid partecipati e condivisi, pensati e sperimentati per strategie diverse da quelle della promozione. Serve, forse, immaginare e promuovere nuovi spazi organizzativi, aree di solidarietà, dentro le aziende, dove sia possibile rendere compatibili, solidali, gli obiettivi delle donne con quelli delle aziende. Strutture nelle quali le aziende hanno convenienza a rendere trasparenti i propri programmi e le proprie politiche, dove le donne hanno interesse ad esprimere i propri obiettivi, valutarne la compatibilità con quelli aziendali e decidere quale scambio vogliono e possono realizzare. In alcuni casi le prime azioni positive potranno essereproprio azioni tese a delineare modi e tempi con cui dare vita ad una struttura di solidarietà organizzativa. Questo suggerimento nasce da una pratica di formazione in azienda e da esperienze di formazione all'orientamento, più esattamente alla autopromozione di donne che cercano o vogliono cambiare occupazione. Le azioni positive potranno essere realmente promozionali se si vorrà e si riuscirà ad attivare nelle donne, occupate o no, il meccanismo della autopromozione; che significa autoconoscenza, autovalutazione, ·capacità di definire i propri obiettivi, consapevolezza e controllo degli scambi che si vogliono realizzare. Per le donne esterne al mondo del lavoro aziendale l'avvio verso il lavoro autonomo e imprenditoriale deve passare necessariamente attraverso azioni autopromozionali, che diventano azioni positive prioritarie per qualsiasi inserimento occupativo. In assenza di questo processo le donne saranno ancora e sempre oggetto di illuminate o lottizzate ingegnerie istituzionali. Il ruolo delle Istituzioni è particolarmente esaltato dalla legge, ma con quanta ambiguità e con quanti pericoli! La parte del leone la fanno i Consiglieri di parità, che diventano titolari di molti poteri, che hanno diritto di voto in tutte le commissioni di cui fanno parte, che possono autonomamente adottare azioni positive, che sono moltiplicati e diffusi in tutte le Istituzioni nazionali e locali. Se si considera che poche persone possiedono oggigiorno esperienza tecnico professionale in questo campo, al fatto che non esistono ancora le sedi per formare specificamente queste competenze, si può temere che il consiglieredi parità diventi una figura sopportata dalle aziende e staccata dalle realtà di - - - 35 ambiti esterni al rapporto di lavoro, come sono quelli della promozione della occupazione, quelli della creazione di impresa, quello della organizzazione del lavoro familiare, ambiti cruciali nei quali si gioca la politica al femminile. Volendo cogliere le potenzialità della figura del consigliere di parità possiamo invece immaginarla e quindi anche prepararla perché essa sia una sorta di avvocato per le donne, di pubblico ministero per l'occupazione femminile, per il quale perciò torna comprensibile e opportuno che abbia facoltà di azione in giudizio cosiccome la legge prevede. Nell'ottica di una legge per le donne, è possibile interpretare e gestire senza drammi l'art. 4 della legge delle azioni in giudizio che prevede l'onere della prova (di non aver discriminato) a carico di chi offre lavoro. Più che di una inversione dell'onere della prova si propone una diversa distribuzione dell'onere della prova. Sarà un meccanismo efficace in tutti quei casi in cui le aziende assumono esclusivamente lavoratori, sebbene ci siano donne che offrono lavoro altrettanto qualificato; non servirà a scatenare donne discriminate nelle carriere alte, ma a risarcire di qualifiche e salari ingiustamente tolti e solo in quei luoghi in cui non esiste dialogo dalle parti sociali. Quindi, anche per questo aspetto così criticato dalla 125 si può dire che essa afferma un riequilibrio dell'onere della prova, a vantaggio di soggetti più deboli come sono tuttora le donne. Per concludere questa legge per le donne ha bisogno della solidarietà di tutte le donne per essere realizzata. C'è il pericolo che le donne occupate, cresciute nella cultura sindacale si chiudano nella gestione della parte «aziendale» e non trasferiscano la loro esperienza associativa e la loro capacità di elaborazione collettiva a servizio delle donne non associate, non sindacalizzate, ma figure chiave nel mercato del lavoro dei prossimi anni. C'è il pericolo che le donne che hanno prevalentemente svolto lavoro familiare si chiudano in atteggiamenti risarcitori e non colgano la possibilità di socializzare le proprie esigenze... C'è il pericolo che le donne, molte donne, aspettino anche questa volta che siano gli altri, «l'esterno», i padri, i mariti, i capi, le aziende, i Consiglieri, i governi a premiarle e si adagino nell'attesa di un principe azzurro e... positivo!.
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