Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

i.>.lL BIANCO lX.ltROS.SO Kii•li••d <<Parità>>come risorsa dell'autopromozione Sulla legge 125 di Luisa Saba N el marzo di quest'anno il Parlamento Italiano ha approvato una legge in favore del lavoro femminile, la n. 125, che idealmente dà seguito alla norma del 1977 sulle parità nel lavoro tra uomini e donne e realizza a livello nazionale un quadro legislativo atto a sostenere le direttive della Cee tese a promuovere l'occupazione femminile. La norma 903 già quindici anni fa era nata priva di supporti istituzionali, tanto che nel 1983 il Ministero del Lavoro creò un Comitato Nazionale per la parità che doveva individuare modi e criteri che dessero efficacia alla legge. Nel 1987, dopo aver discusso a lungo, il Comitato, che non avevaalcun potere decisionale, si sciolse, ma i suoi lavori non furono inutili: alimentati da rappresentanti di associazioni femminili, esperte ed esperti di grande sensibilità, avevano messo in luce le carenze di fondo della concezione della parità «neutra» sottesa alla legge 903, parità che per non compiere discriminazioni giuridiche considerava le donne uguali agli uomini! Nacquero più problemi di quanti non se ne risolsero: se le donne erano pari agli uomini, perché dovevano evitare i turni e i lavori pesanti? Per la sua applicazione la legge di parità fu rinviata alla contrattazione aziendale e riuscì a strappare qualche risultato solo in quelle realtà dove la presenza femminile a diversi livelli di responsabilità sindacale riusciva a individuare sperequazioni palesi o riusciva a proporre una organizzazione del lavoro che non penalizzasse le donne (casi dell'ltaltel, della Sip, del settore tessile). Nonostante i deboli risultati conseguiti sul piano pratico, alla legge di parità vanno ascritti i due grandi meriti di aver posto le premesse per creare un sistema di uguaglianza formale tra JJ uomini e donne (avviando la critica ad un egualitarismo meccanico propugnato soprattutto dalle forze sindacali negli anni 70) e di aver posto le premesse per creare un sistema di rappresentanza pluralista dentro il mondo del lavoro (avviando l'elaborazione di criteri che prevedevano i coordinamenti delle donne, la comparsa delle «quote» ed altro come condizioni per la piena partecipazione delle donne e la coerente applicazione delle politiche in loro favore). Per la nuova legislazione le persone sono e restano diverse e le norme servono sia a rimuovere le conseguenze sfavorevoli e ingiuste che derivano dalle differenze di genere, sia a creare opportunità nuove a chi storicamente e culturalmente è sfavorita, sia ad intervenire in quelle concause, indagate soprattutto nei carichi familiari, che più profondamente incidono nelle condizioni di scelte di lavoro delle donne. Gli strumenti, nuovi per il nostro ordinamento, attraverso i quali si darà attuazione alle norme, sono chiamati azioni positive, e le destinatarie di suddette azioni sono tutte le donne, sia quelle che hanno un lavoro dipendente, sia quelle che ne vogliano intraprendere uno autonomo, sia occupate che quelle alla ricerca di occupazione, le studentesse e coloro che riprendono un percorso formativo in età adulta. La legge, così come è formulata, si rivolge a tutte le donne, non più alle occupate, e ciò facendo afferma un principio diverso, perché più ampio, di quello dell'uguaglianza sostanziale, il principio della valorizzazione della differenza, della promozione delle risorse di cui le donne sono portatrici per l'ampliamento, la crescita e il cambiamento del lavoro. Riporto e commento l'art. 1 della legge che ne indica le finalità «Le disposizioni contenute nella presente legge hanno lo scopo di favorire

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