~.lLBIANCO l.XILROS&> Kii•ii••d soldi. Del resto non li chiediamo a nessuno: la legge ce li assegna tramite le istituzioni del Comune e della Provincia. Noi chiediamo posti di lavoro per i nostri ragazzi, utilizzando canali delle nostre conoscenze. È chiaro che altrimenti i nostri ragazzi incontrerebbero ancora più problemi degli altri, a fornire da soli certe garanzie di sicurezza e di affidamento. «Chi ci vuole aiutare sa come farlo, trovando posti di lavoro, anche per poco tempo, per i nostri ragazzi. E lavorando i ragazzi stessi si confrontano con gli altri, e trovano il loro posto dove non pareva loro possibile trovarlo. Ne consegue che spesso anche chi continua, in Comunità, ad avere qualche problema, sul lavoro risulta in genere esemplare. E il risultato del lavoro è il riconoscimento. Si sentono utili, e lo stipendio assume un carattere importante. Lo portano in Comunità, per regola, e viene versato sul loro libretto, ma hanno il diritto di fare qualche spesa straordinaria, di invitare qualcuno a cena, di festeggiare con gli altri il primo stipendio ... E quel denaro diventa per loro molto significativo. Ricordo una volta uno dei primi ragazzi, che di danaro ne aveva maneggiato davvero molto, con i furti e con lo spaccio, quando qualcuno guadagnò il primo milione lavorando venne da me e mi disse di metterlo da parte, dicendo che quel denaro non era davvero come l'altro, quello era davvero speciale. È stata una grande cosa». - Hai parlato spesso del rapporto della vostra Comunità con il pubblico, con le istituzini. Come si realizza, in pratica? Perché non ha detto nulla sui partiti? E anche del rapporto con la Chiesa non hai detto nulla: il tuo essere prete ufficialmente non appare. È una scelta? «Come Cooperativa abbiamo fatto la scelta di non aderire nè alla "Lega", né all"'Unione", né alle Cooperative laiche, e questi all'inizio ha creato anche difficoltà. Quando ci presentiamo in sede istituzionale ci chiedono: "con chi siete?", perché ci sono tot miliardi per gli uni e tot per gli altri. E noi rispondiamo: con nessuno». «Non chiediamo favori, ma rispetto dei diritti che ci vengono dalla legge. Ci riferiamo ad una certa etica politica, non di partito, che ufficialmente nessuno ha il coraggio di mettere in discussione. Debbo dire chef orse, dopo un primo momento di difficoltà, e pur pagando qualche prezzo di ritardi e di ostilità, anche qui è il segreto di un certo successo. E lo stesso discorso vale anche per il fatto che io sono ufficialmente, e realmente prete. Io non sono la Cooperativa: sono stato eletto e rispondo solo all'Assemblea, e dentro non ho il compito di fare il prete. Gli stessi ragazzi mi considerano un amico, e non fa ccio mai il prete, dentro la comunità. Per le esigenze religiose ci sono le parrocchie, per chi vuole e liberamente. Non mi vergogno certo di essere prete, ma dentro il lavoro la cosa non ha rilievo ufficiale, e neppure utilizzazione pedagogica particolare. Non abbiamo mai chiesto, né ricevuto, soldi da realtà ecclesiali, e siamo del tutto liberi. Con i preti ho un buon rapporto, e aiuto anche in varieparrocchie, dove necessario, ma so che qualcuno mi rimprovera perché non mi presento come prete, ufficialmente». «Qualcuno vorrebbe che del lavoro che facciamo ne venisse anche qualcosa all'immagine pubblica della Chiesa, e invece direttamente non è così: su di noi non vive la Chiesa d'immagine. Noi lavoriamo, e basta». «È una cosa voluta, e generale. Del resto non possediamo nulla, come Cooperativa: anche gli appartamenti e i mobili che usiamo, sono del Comune, e al Comune tornano il giorno in cui noi cessiamo di agire. Non abbiamo alcuna preoccupazione patrimoniale, né di immagine, né di diplomazia pubblica o privata: siamo solo al servizio dei ragazzi, e basta; finché siamo utili ci siamo, poi non esistiamo neppure. A noi, me e quelli che per ora mi hanno eletto responsabile della Cooperativa, va bene così». «Certo, la riuscita del nostro lavoro non dipende solo da noi. Sono tanti i fattori che entrano in gioco: la scuola, il mondo del lavoro, la famiglia di origine, l'ambiente che il ragazzo frequenta, le istituzioni. Noi dobbiamo dare una parte, che è quella del rapporto interpersonale, affettivo, della sfera dei valori, degli ideali, però sempre facendo i conti con la società intera. E con realismo occorre dire: oggi la società cosa fa con l'adolescente? L 'adolescente è uno che è soppresso, è emarginato, non conta, non è produttivo, lo si sfrutta soltanto, è tenuto ai margini della società stessa, e per vincere la battaglia contro questa realtà occorre la cooperazione di tutti quelli che ho richiamato sopra. Noi facciamo solo la nostra parte».
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