Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

.{).l.t BIAI\CO lXltROSSO iliiiliiill che rischio». - Per quanto riguarda la compresenza di maschi e femmine, come vi comportate, nella vostra esperienza? «Finora la maggioranza delle nostre case famiglia ha soltanto ragazzi, o ragazzi in maggioranza quasi totale. Ciò è dovuto anche al fatto che nel mondo dei minori a rischio le proporzioni sono del 96% di ragazzi. Mancano ragazze, per esempio, in tutti i reati che invece per i ragazzi sono molto frequenti, come piccoli furti di motorini, di auto, e altro. Le ragazze sono a rischio solo per droga e prostituzione, e anche in carcere sono una piccola minoranza. Vaanche considerato, però, il fatto che quando a subire violenza, o a trovarsi in gravi difficoltà, sono le ragazze, c'è la tendenza a non renderepubblica la cosa, a occultare, a non denunciare». «Eppure noi, dopo la nostra esperienza di parecchi anni, ci siamo convinti che sarà necessario avere case famiglia e piccole comunità miste. C'è da parte dei giudici, una certa riluttanza ad affidarci insieme maschi e femmine. Ci dicono che possono sorgere delle difficoltà. È vero, ma siamo qui per questo, e tutto il nostro lavoro deve affrontare delle difficoltà. Dopo riflessione matura, anche con il consiglio deglipsicologi e dei pedagogisti che conoscono bene la nostra esperienza, ci stiamo orientando su piccoli gruppi misti, proprio come in una famiglia normale. E questo vale anche per i gruppi dei minori più piccoli. Del resto in ogni gruppo ci sono educatori maschi ed educatrici femmine, e i ragazzi hanno modalità diverse, come giusto e naturale, di rapportarsi con essi. Ma questo non vuol dire, ci tengo a sottolinearlo, che i ragazzi siano da noi aiutati a cancellare le figure genitoriali vere. Anzi, fino dove è possibile, i ragazzi vengono aiutati a recuperare in positivo la presenza, magari da lontano, dei veri genitori, e fin dove possibile, ad apprezzare il loro ruolo e la loro figura». «Non siamo i genitori, e questo i ragazzi debbono capirlo bene: non è consentito giocare il falso in queste cose delicatissime per l'equilibrio presente efuturo dellepersone. Talora,per esempio, qualcuno dei ragazzi mi ha detto: tu potresti essere mio papà! In questi casi occorre gestire molto bene il discorso, e aiutare con calma a liberarsi da false figure sostitutive. Ho dovuto, in qualche caso, anche essere duro con qualcuno, anche diventato grande, che continuava a trattarmi come un padre, e a deresponsabilizzarsi proprio per questo. Mi è costato, essere duro, anche di fronte a situazioni tragiche, ma era necessario per il futuro degli stessi ragazzi. L'obiettivo di tutta la nostra azione deve essere laprogressiva autonomia dellapersona». - Quanto conta, nel vostro lavoro, e non solo nel caso della lotta alla droga, ma in genere, per il problema dei minori a rischio, un elemento come la scuola, sia per la prevenzione che per l'inserimento dei ragazzi nella vita sociale? «La scuola sarebbe un elemento molto importante. Penso soprattutto alla scuola de/l'obbligo, un punto di passaggio per tutti, e invecepurtroppo occorre dire che essa è completamente assente. Forse perché c'è ancora, al suo interno, per gli insegnanti, una specie di paura di essere coinvolti in situazioni problematiche su cui ci si sente, o davvero non si èpreparati. C'è, inoltre, certo, anche l'insegnante che a casa ha problemi di droga con il figlio e quindi tende ancora più a sfuggire l'argomento». «Non si fa niente, dunque, anche se credo che si possa far molto. Sono nel Comitato provincia/e nominato dal Provveditore per la prevenzione della droga e non abbiamo fatto niente. È singolare che la stessa legge 162, sulla droga, parla di prevenzine in ambito scolastico, e che qui da noi siano stati stanziati 360 milioni, per questo, e invece niente si muove. Chiuque può constatare che a distanza di un anno dall'ingresso in vigore non è ancora stato fatto nulla. L'impressione in vigore non è ancora stato fatto nulla. L'impressione non malevola è che alle autorità scolastiche il problema non interessi per niente. E credo che Cagliari non sia fuori dal mondo, ma rispecchi quanto accade anche in tanti altri posti d'Italia, purtroppo». «È chiaro che noi, come Comunità, avremmo davvero bisogno di qualcosa del genere, e allora abbiamo l'impegno, retribuito, di alcuni insegnanti, che seguono i ragazzi proprio per assicurare ciò che nella scuola non si realizza, nonostante sia prescritto dalla legge. Resta il dato, sconsolante, che la prevenzione seria, nella scuola, è tutta da fare, ancora». - E che ruolo gioca, nella vostra opera, l'elemento lavoro, come prospettiva di futuro, e come reale strumento di reinserimento sociale e di recupero del senso della responsabilità personale? «Il problema del lavoro èfondamentale, perché è decisivo per il buon inserimento del ragazza nella vita. Il ragazzo che hafatto lascuola, il corso professionale, ha bisogno di lavoro. E il problema non è facile. E tuttavia noi abbiamo trovato un rimedio. Quando qualcuno ci chiede come può aiutarci non chiediamo mai

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