Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

i.>-l.L BIANCO '-XltROSSO Milili•id tri diurni. La prima comunità, quella sorta in via Tevere, èper ragazzi tra i 14 e i 18 anni sottoposti aprovvedimenti dall'Autorità giudiziaria. Attualmente ha otto ragazzi, con cinque educatori, maschi e femmine, e una cuoca tuttofare. La seconda comunità, a Quartu, è strutturata con gli stessi criteri ed ha le stesse caratteristiche. La terza, sorta nel 1989, è per ragazzipiù piccoli, dai 10 ai 14 anni, inviati dal Tribunale, o dal Servizio sociale, in base alla legge184sull'affido. Ragazzi che soffrono momentaneamente di carenze educative di sostegno daparte dei genitoripossono essereaffidati o ad una fa miglia o ad una comunità tipo famiglia». «C'è una differenza: nelle prime due comunità si accolgono ragazzi che hanno avuto di persona provvedimenti penali ed amministrativi. Nella terza comunità, invece, si sono avuti provvedimenti di carattere civile, o penale, nei confronti dei genitori, che hanno abbandonato i loro compiti educativi». «Diversi sono gli altri due Centri, che sono di aggregazione, diurni: uno per i bambini dai 6 ai 14 anni, e l'altro per giovani dai 15 ai 25. L'esperienza maturata nelle Comunità di recupero haportato allaconsapevolezza che occorre puntare sulla prevenzione. Del resto il recupero è molto difficile e costoso. Ci pare fondamentale arrivare prima che il ragazzo arrivi al delitto, o alla droga». «Nei Centri di animazione operano esperti professionali chef ormano gruppi di ragazzi di 10-12 unità, e che scelgono i settori di attività: laboratori di ceramica, cinema, musica, e altro... È anche chiaro che mentre nelle Comunità i ragazzi sono inviati dall'Autorità giudiziaria, nei Centri la loro presenza è del tutto volontaria e libera. Tocca a noi, pertanto, identificare dai comportamenti quelli che possono presentare qualche problema». «Su questo piano, tuttavia, occorre precisare che al Centro Giovani, per esempio, abbiamo sei operatori, e altrettanti nell'altro centro di animazione, tutti a tempo pieno. Non riusciamo ad assistere, in tutto, più di 80 ragazzi per centro, e c'è una lunga lista di attesa. Una goccia nel mare... » - Queste cifre dicono che il rapporto numerico, tra ragazzi e assistenti, è molto basso, cioè che servono molti operatori. Nel sistema istituzionale-assistenzialedel passato non era così. È un vero cambiamento. «Sì, ma non dimentichiamo che ci sono ancora 55.000 ragazzi negli Istituti, con tutte le carenze che sono evidenti. Solo ora si sta passando da una risposta ai soli bisogni materiali, - cibo, vestiti, ecc. - ad una risposta anche ai bisogni di carattere educativo, affettivo, e di identità». «È necessario dare ai ragazzi capacità di gestirsi, di autonomia, di responsabilità, e soprattutto veri rapporti interpersonali. Per questo occorre insistere tanto sulla professionalità degli operatori. E questo deve essere capito bene da certomondo cattolico tradizionale, che è abituato alla buona volontà, e basta. Il volontariatopuro, soprattutto in questo settore, diventa molto pericoloso. Quando si tratta di ragazzi al di sotto dei 18 anni sono necessari punti di riferimento stabili e professionalità accertata. Il lavoro con i ragazzi coinvolge emotivamente e affettivamente, e quindi ci vogliono corsi di formazione e di aggiornamento seri. Noi abbiamo corsi di tre anni di preparazione degli operatori, e dopo c'è un continuo lavoro di supervisione, per esempio per non andare incontro al rischio di eccedere nel rapporto affettivo, di diventare iperprotezionistici. L'educatore deve essere in grado di individuare i cambiamenti che si verificano nel ragazzo, durante la fase adolescenziale, di riflettere su di essie difar riflettere gli stessi ragazzi. Si tratta di una scelta che è quella di un vero e proprio lavoro, una professione nel senso pieno». - Occorre, dunque, sostituire una famiglia, senza scimmiottarla, ma anche senza cadere negli errori che si compiono negli Istituti, che non possono che produrre disastri. Bisogna sensibilizzare le istituzioni, innanzitutto. Le autorità civili e politiche, e anche quelle ecclesiastiche, cui tanti istituti sono affidati, di fatto, alla gestione ecclesiastica, hanno coscienza di questa inadeguatezza? «Bisogna dire, al di là della buona volontà dei singoli che dedicano la loro vita a questo lavoro, che proprio l'organizzazione dell'Istituto in quanto tale è pedagogicamente inidonea. Nell'Istituto il rapporto con i ragazzi non può esserepersonalizzato: il ragazza diventa un numero. Gli operatori sono sempre pochi, rispetto al numero dei ragazzi, e questo comporta effetti molto pesanti». « Un altro elemento che caratterizza gli Istituti è l'ubicazione della struttura, quasi sempre collocata fuori, rispetto alla città, e agli interessi dei ragazzi. E inoltre la vita interna d_ell'Istituto è regolata, di necessità, da una serie di norme che devono essere comunque rispettate, in quanto sono imposte d'autorità a/fine di poter mantenere effettivamente una discipli-

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