Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

~JLBIANCO l.XILROSSO Kil•liiid stiani sono bravi e gli altri no, che quel partito deve ritenersi vicino alla chiesa ad esclusione degli altri. Niente di più sbagliato! Nell'ora, in cui sono cadute le ideologie, ciò risulterebbe aprioristico, un ragionare per ideologie. È vicino ai valori cristiani, chi mette in pratica tali valori e cerca di comporli nella maniera più progressista e più solidale gli interessi divergenti presenti nella società (e nel mondo). Rispetto a questo criterio oggettivo, le etichette poco contano. In vari paesi i cristiani neppure hanno un loro partito: del resto a livello di magistero è superata l'impostazione, per cui il comune radicamento nella fede dovrebbe comportare l'adesione ad una stessa aggregazione partitica: la fede è un assoluto, le scelte politiche sono opinabili e demandate alla responsabilità dei laici, a meno che non vengano pregiudicati valori irrinunciabili. Quanto poi avviene in un contesto concreto, in Italia e altrove, va giudicata con attenzione, tenendo conto dei vari elementi che entrano in campo e che, senza un opportuno discernimento, possono anche offuscare questa impostazione di principio. Per la sensibilità di chi è impegnato nel settore della solidariertà, l'Enciclica rappresenta un avallo per tutti quei politici che portano avanti programmi di solidarietà. È una gratificazione che prescinde dalle etichette e che può discriminare anche all'interno di uno stesso partito, a seconda delle sensibilità personali e dell'impegno concreto. Del resto il regno di Dio, come lo chiamiamo noi· cristiani, o la comunità degli uomini di buona volontà, come possono chiamarla i laici, ha frontiere molto ampie. Non si tratta di un'utopia del futuro, ma di una coesione possibile già ora. Alla Caritas lavorano tranquillamente numerosi «laici», molte persone lontane dalla pratica religiosa. Sostenere _,_, --- - - - - - 22 i più deboli è un gesto che dovrebbe appartenere a ogni uomo di buon senso, a ogni cittadino che non ha paura dell'altro e del diverso. Questi hanno capito che è un atto politico molto forte decidere di aiutare, senza alcun interesse, quella fetta di popolazione italiana, all'incirca un terzo, lontana dal benessere e dalla familiarità col potere, che si accontenta delle briciole lasciate dai due terzi più o meno ricchi. Dovrebbero comprenderlo anche i partiti: è una scelta di umanità, anche se non porta molti voti. Ecco perché, al di là delle diverse letture della nuova Enciclica, il mio auspicio è che i·politici considerino questo documento come un invito a non accettare le situazioni di ingiustizia. Cento anni fa anche Leone XIII, nell'Enciclica Rerum Novarum, lanciava in maniera pressante lo stesso invito alla solidarietà: questa è la continuità più profonda del magistero. Certamente partire da premesse giuste non vuol dire arrivare alle conclusioni desiderate: non è così facile scrivere la storia del progresso umano. È altrettanto certo, però, che a tali conclusioni non si perverrà mai se le premesse sono sbagliate. Molte volte pare che le premesse siano sbagliate, a riflettere sulla impostazione dei programmi di governo e di partito. Perciò non è ozioso ricordare che la Centesimus Annus è innanzitutto la condanna delle ingiustizie e la richiesta di una sensibilità di fondo alla solidarietà umana. Meditando sui suoi brani più significativi, si deve sottolineare che chiunque risponda a questo appello, non importa se persona singola, associazione, sindacato, partito, nazione o organismo internazionale, è oggettivamente, a prescindere dall'etichetta, vicino al messaggio di Cristo e alla comunità ecclesiale.

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