Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

.{)!L BIAI\CO '-XILROS&> Kii•lil•d <<Centesimusannus>> e frontieredella solidarietà di Luigi Di Liegro I punti di vista per accostarsi ad una enciclica sociale sono tanti. Il mio è quello tipico di un operatore pastorale impegnato nel settore della solidarietà, di uno cioè vicino alle esigenze della gente e specialmente di quelli che la società tende ad emarginare. È un punto di vista abbastanza dirompente: parte della scelta degli ultimi, decisa da Cristo, ribadita dal Magistero e fatta propria dai Vescovi italiani negli orientamenti pastorali. Impostando così la questione ci si pone spesso in contrasto con il mondo politico. Ho avuto il modo di dire, e mi sembra opportuno ripeterlo in questa occasione, che i partiti politici hanno contratto una malattia, che li ha colpiti tutti: sono diventati comitati di affari, semplici serbatoi di portaborse. Non rappresentano più il punto di riferimento dell'impegno comune, come un tempo. Se qualcuno vuole occuparsi degli altri, non ha altra scelta: deve rivolgersi al volontariato. I politici hanno perso il contatto con la gente, non parlano più il linguaggio comune. Non ho paura dei luoghi comuni se dico che dovrebbero tornare sugli autobus, per le strade. Come si fa a capire perché una zingarella deruba della pensione una povera donna anziana, standosene in un'auto blindata? Parlo di politica, perché politica è la causa delle sofferenze, politica è la classe che non ha saputo intepretare i bisogni e comprendere le disperazioni. L'attesa, con la quale è stata accolta l'Enciclica di Giovanni Paolo Il, in molti ha provocato sorpresa quando non addirittura astio. Perché per i valori si fa riferimento sempre più esclusivamente ad una autorità religiosa? Perché, pur essendo i valori propri di ogni uomo, altri livelli non sono in grado di proporli con altrettanta autorevolezza. Questo vale per i partiti e anche per il mondo laico. Il definirsi non religioso non equivale automaticamente all'affermazione di valori, anche se le frontiere della buona volontà e del proi 21 gresso non sono delimitate da etichette religiose formali, bensì da elaborazioni di ideali, soluzioni di problemi e comportamenti coerenti. Molto ci sarebbe da dire sull'occidente laico, sulla cultura dominante che ha promosso, sugli stili di vita che ne sono derivati, sugli inconvenienti - anche gravissimi - che si determinano nell'occidente stesso e ancor di più nei paesi del Terzo Mondo. Ha dato fastidio che il Papa non abbia canonizzato il capitalismo e che non abbia fatto equivalere la caduta del marxismo alla scomparsa del valore della solidarietà. È da scoraggiare la propensione che sia iniziata una sorta di grande orgia, in cui ciascuno è legittimato ad affermarsi ad ogni costo, sgomitando senza regola e sperando di farcela perché, altrimenti, sarà peggio per lui. Quanto ha detto il Papa, nella Enciclica come in altre occasioni, può urtare ma stigmatizza la posizione di quanti, cristiani e laici (si corre tutti lo stesso pericolo), non vogliono occuparsi degli altri e neppure vogliono avere la cattiva coscienza di non fare quanto devono. L'autorità religiosa come guastafeste: questo è il vero problema che si fa fatica a dirigere, tanto più quando si è laici. Strettamente connessa con questa causa di disagio è il fatto che il Pontefice non solo si propone come un'autorità morale, legittimata a parlare dei valori, ma viene anche accettato come tale. È forte il contrasto con il mondo politico, che abbiamo visto lontano dalla gente e privo di credibilità. Anziché aumentare la propria irritazione, sarebbe più proficuo riflettere sui motivi che rendono il Papa credibile, sui pellegrinaggi (spesso tutt'altro che facili) fatti per il mondo parlando di solidarietà e di fratellanza, sulle posizioni prese anche in solitudine, come è avvenuto recentemente durante la Guerra del Golfo, per rilevare le pecche (e gli interessi) di una guerra definita giusta. Detto questo, non voglio concludere che i cri-

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