.{)JL BIANCO lXILROSSO ll•HkiUJliNI re il patrimonio pubblico, non per ridurre il debito, ma per finanziare la spesa corrente. Di diminuire l'assistenza sanitaria aggravando uno sfascio che allontana ulteriormente dagli standards europei. Ma le cose vanno così. Tra le forze politiche italiane il dibattito sull'Europa è pressoché inesistente e le differenze di opinioni sono insignificanti. L'Europa costituisce, al più, l'oggetto di inchini retorici. È un pennacchio, non una politica. Si spiega così, a pochi giorni dal vertice di Maastricht dove i capi di Stato e di governo dovrebbero varare l'unione economica e monetaria ed un nuovo Trattato, la sostanziale noncuranza della politica italiana per questi problemi. Colpisce questa indifferenza se confrontata all'asprezza della discussione che si svolge altrove. In particolare in Inghilterra il dibattito politico è letteralmente dominato dalla questione europea. Fino al punto che la signora Thatcher è stata deposta proprio a causa della sua politica verso l'Europa. L'imperturbabilità del ceto politico italiano deriva probabilmente dalla mancanza di informazioni, da un diffuso provincialismo e dalla deplorevole tendenza a concepire l'Europa semplicemente come una fuga dai problemi dell'Italia. Il risultato è, comunque, che l'opinione pubblica non sa e non capisce quali saranno gli effetti concreti del progetto di nuova Europa l , ' - che si discuterà al vertice di Maastricht sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, sul funzionamento delle istituzioni democratiche, sul lavoro, sulle condizioni di vita, sulla situazione sociale. L'idea di Europa piace. Pensiamo, non immotivatamente, che l'Europa costituisca il «futuro» ed un antidoto contro le tentazioni nazionalistiche, contro i pericoli di balcanizzazione che esse comportano. Insomma una garanzia di pace in un continente che, solo in questo secolo, ha conosciuto le indicibili sofferenze, le atrocità di due guerre distruttive. E questo sembra ci basti. Eppure, quanto più l'integrazione europea si avvicina, sarebbe indispensabile un dibattito pubblico sulle sue caratteristiche. Anche per evitare che decisioni cruciali per il nostro futuro vengano prese a «porte chiuse», con aggravamento del «deficit democratico» che produce a sua volta un «deficit sociale». Il pericolo c'è ed è serio. Non c'è dubbio infatti che l'assunto in base al quale si è messo in moto l'integrazione economica europea, la creazione del «grande mercato», debba essere riconsiderato criticamente perché rischia di produrre effetti tutt'altro che desiderabili. Infatti la convinzione che possa essere il mercato a «parificare nel progresso» le condizioni sociali nelle diverse aree comunitarie è senza fondamento. Testimonia soltanto una ingiustificata fiducia
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