Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

i.l-lt RIAI\CO l.Xll,ROS.SO •h•IIUM•• La successiva «correzione», operata dal segretario della Cei nella conferenza stampa che ha presentato il comunicato finale della riunione, in cui si è detto che quelle parole erano un appello «alla coerenza», «all'unità sui valori e sugli ideali», ma senza mai dire direttamente che non erano un appello all'unità di voto pro-Dc, non ha cambiato la natura di quell'intervento: la Dc ha incassato, grata, e gli altri partiti, tutti, hanno protestato, invocando la laicità dello Stato, il nuovo Concordato, la libertà di coscienza e simili ... Ma i fatti sono fatti, e resta il dato che i cattolici italiani hanno una condizione pressoché unica al mondo: essi sono esortati pressantemente, e costantemente, nel nome stesso della loro appartenenza alla Chiesa cattolica, a stringersi in una sola formazione politico-partitica. 2. Qualche insegnamento della storia a) L'origine problematica. Questione chiara e definita, dunque, quella del voto dei cattolici italiani? Tuttaltro. I fatti dimostrano che i cattolici, che anagraficamente sono più del 900Jodegli italiani, non hanno mai preso troppo sul serio questa indicazione di voto. I dati elettorali sono lì a dimostrarlo. E anche la storia ha qualche lezione sorprendente. Il «partito dei cattolici», o anche solo «il partito di cattolici», come la tendenza meno integralistica ha sempre voluto che si dicesse, ha avuto vita difficile, in Italia. Il primo fondatore della Dc, don Romolo Murri, fu osteggiato e scomunicato, ai tempi di Leone XIII e Pio X, e il suo partito fu sconfessato e sciolto per volontà ecclesiastica. Il rifondatore, don Luigi Sturzo, ebbe parecchi problemi con l'autorità della Chiesa, e dopo la nascita del Partito Popolare fu sconfessato, all'inizio del fascismo, e allontanato dall'Italia fino a tempi propizi, che arrivarono solo nel 1947, dopo il referendum istituzionale su monarchia e repubblica, perché in Vaticano si temeva il suo ardore pro-repubblica, e si faceva il tifo per la monarchia. b) La parentesi «fascistofila» Era già il tempo, quello, della «benedizione» ufficiale ecclesiastica alla Dc di De Gasperi, che impedì l'instaurarsi, in Italia, di una democrazia alla cecoslovacca o all'ungherese, e di fatto salvò la giovane democrazia italiana uscita dal fascismo e dalla guerra. In mezzo c'era stato il fascismo, appunto, e la Chiesa cattolica lo aveva accettato; più o meno entusiasta, ma lo aveva accettato, come rimedio, forse, all'anarchia del primo dopoguerra, e aveva sacrificato, decisamente, e con tempestività sopraffina, la stessa realtà rappresentativa del Partito Popolare. C'è un documento, a questo proposito, che letto oggi appare anche troppo lucido e machiavellico. Si tratta di una «Lettera» che la Santa Sede inviò a tutti i vescovi italiani nel 1922. Ha il numero di Protocollo 8920 ed è datata 2 ottobre. Essa fu resa pubblica dai giornali, per esempio da «Il Giornale d'Italia» in data 20 ottobre, e fu usata subito dalla propaganda fascista per mettere in silenzio gli oppositori cattolici. Il testo è un po' lungo, ma vale la pena di riportarne i passi principali: «È noto alla Signoria Vostra illustrissimae reverendissima come negli ultimi tempi la Santa Sede sia stata fatta bersaglio di accuse e di attacchi da parte della stampa liberale sotto pretesto di accordi col Partito Popolare, quasi fosse un'emanazione della Santa Sede e l'esponente dei cattolici nel Parlamento e nel Paese. Contro tali insinuazioni assolutamente fa/se e calunniose la Santa Sede non ha mancato mai di protestare energicamente, dichiarando a più riprese che, fedele alprincipio di non lasciarsi trascinare nel gioco delle competizioni politiche, essa era rimasta sempre e intendeva rimanere totalmente estranea al Partito Popolare come ad ogni altro partito politico. pur riservandosi di assumere verso di esso, come verso altri partiti, un atteggiamento di riprovazione e di biasimo ove fosse venuto a mettersi in contrasto con i principi della religione e della morale cristiana... Certo non si può negare al vescovo e al parroco il diritto di avere come privati cittadini, le proprie opinioni e preferenze politiche, purché siano conformi ai dettami della retta coscienza ed agli interessi religiosi. Ma è del pari evidente che in quanto vescovi e parroci essi dovranno tenersi tutti alieni dalle lotte dei partiti al di sopra di ogni competizione meramente politica. È ben vero che nellapratica non è sempre agevole segnare con precisione il limite della distinzione accennata, né può quindi riuscire facile nella varietà dei casi particolari ... In questi casi dubbi, come tutti quelli in cui l'azione del vescovo e del parroco potrebbe nuocere agli interessi religiosi affidati alle loro cure e zelo illuminato del buon pastore di anime, non esiteràpunto ad astenersene. La Santa Sede è certa che i vescovi ed i parroci conformeranno sempre la loro condotta a tali direttive subordinando, se è del caso, anche le loro personali preferenze agli alti doveri e alle delicate esigenze del sublime loro mi-

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