Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

,{)JL BIA!\CO lXttHOSSO Kiiklilill l'azione collettiva. Da questo carattere sono derivati una sottovalutazione del tema dei diritti e delle prerogative sindacali, quasi una allergia per le regole e le procedure della democrazia diretta, una incomprensione o una diffidenza per le forme di presenza sindacale nel sistema economico o politico istituzionale costruite a partire dal riconoscimento, o dal potenziamento, di una logica associativa autonoma (in parole più semplici, più sensibilità al potere del lavoro che al potere del sindacato). È questo carattere a differenziare maggiormente l'esperienza della Cgil nel contesto del grande sindacalismo europeo. Nella cultura che possiamo trarre dai materiali preparatori del XII Congresso e dal dibattito in esso avvenuto, ritroviamo segni sensibili di questa continuità e di queste particolarità. E questo a dimostrare le capacità non comuni di una dirigenza nel rendere accettabili ad una tradizione consolidata, mutamenti clamorosi con le necessarie prese di coscienza: dalla fine non solo della centralità operaia ma anche della classe stessa, al fallimento di una speranza ed un riferimento di fondo (la possibilità della trasformazione socialista), all'abbandono, almeno per la componente comunista maggioritaria, del primato della lealtà verso il partito. La sorpresa, di cui parlavo all'inizio, riguarda i tratti ed i contenuti culturali con i quali è stata costruita la svolta. Chi avrebbe immaginato una così completa adesione alla cultura dei diritti individuali? Una così totale adesione alla via delle politiche dei redditi? Un così esplicito rifiuto di trasformazioni sociali costruite sulla base di valori collettivi? Un così convinto rifiuto di ogni «separatezza» di classe? Ma anche chi avrebbe potuto immaginare un congresso della Cgil che, nel momento della sua svolta più radicale e nella sua più decisa affermazione di autonomia dai partiti, si trasforma in una poderosa passerella per i dirigenti dei partiti della sinistra socialista ed ex-comunista, e non solo di questa? La sorpresa, comunque sia, si riduce se si rileva al di là di tutto il contingente, il sensibile legame con i tratti sopra esposti della cultura tradizionale della Confederazione. Un legame un poco paradossale, quasi stravolgente, eppure percepibile ad un osservatore che non resti solo interessato alle scelte di più spiccato effetto politico generale (lo sciogimento delle correnti, soprattutto). E non casualmente la svolta, anche in questo seguendo una tradizione ben collaudata, è stata interpretata e portata fino , 12 in fondo dalla più prestigiosa figura del vecchio gruppo dirigente. Forse la svolta sarebbe stata diversa se a guidarla fossero stati dirigenti della vecchia corrente socialista riformista, ma anche questo non è senza significato. Sullo scorso numero di questa rivista Fausto Vigevani ha scritto che per la Cgil si è trattato non tanto di «cambiare pagina», quanto di «cambiare libro». Può essere così, ma continuando la metafora si potrebbe aggiungere, che non è stato scelto il libro contiguo nella stessa collana (quello che portava scritto sul dorso «sindacalismo unionista-riformista europeo»). Un libro sul quale la grande esperienza della Cgil aveva pur scritto pagine significative. Si è preferito, o almeno così sembra, scegliere un libro o dei libri più lontani, quasi di un'altra collana, che portano scritto sul dorso «sindacalismo radicale di massa», con prestiti improvvisi dal liberalesimo progressista e fin dal solidarismo cristiano e personalista. Qualcosa di simile è capitato all'ex-Partito Comunista Italiano. E lo noto qui senza alcuna malizia, semplicemente per rilevare come le affinità culturali agiscano ben più profondamente dei legami o delle direttive politiche. I due timori, quello dei particolarismi e del distacco, e la ambizione-pretesa di non essere solo sindacato, possiamo ritrovarli all'interno della nuova cultura della svolta. In ispecie il secondo e la terza. Dei particolarismi e degli egoismi dei pochi, si ha sempre timore, ed il loro rifiuto permea una buona parte dei documenti, con accorati richiami alla solidarietà. Tuttavia, si prende atto in modo implicito che ad essi non sono più contrapponibili facilmente interessi e grandi mete collettivi. La strada scoperta è quella della grande valorizzazione dei diritti individuali. E questo, per un sindacato, è quanto meno singolare. Singolare ma comprensibile sulla base del timore del distacco, e dell'ambizione oltre il sindacato. La scelta, nella frammentazione degli interessi e nella perdita delle identità di classe, non è quella di rappresentare delle nuove e faticose, e mediate, identità collettive magari di natura associativa. È piuttosto quella di perseguire direttamente la strada della difesa dei diritti individuali, quasi una strada per minimizzare i costi del distacco legato a qualsiasi attività di rappresentanza. Lo stesso processo si verifica sul tema della concertazione e della politica dei redditi: piena accettazione come obiettivi ecome strumenti, ma nessuna considerazione del-

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