Il Bianco & il rosso - anno II - n. 23 - dicembre 1991

.i).IL BIA!\CO lXILROS&) Kil•lil•d ne storica. E questo non per rivendicare astrattamente la dignità e il valore di una bandiera, ma perché in realtà tutta la sinistra è di fronte a drammatiche questioni, per affrontare le quali è costretta a rivedere le proprie concezioni, a sviluppare nuove elaborazioni. Siamo certi che agli occhi di coloro che hanno oggi diciotto anni il riferimento alla tradizione socialista appaia immediatamente di sinistra e, per esempio, quello all'ispirazione cristiana immediatamente conservatore? Questa è la partita di fronte alla sinistra italiana. Semplificare non serve. CongressoCgil: molti diritti, poco sindacato di Gian Primo Cella A bbiamo deciso, abbiamo cominciato. Oramai siamo la nuova Cgil». Con il piglio dell'innovatore, e con l'orgoglio di una grande tradizione, così Bruno Trentin chiudeva il XII congresso della Confederazione. Un congresso per molti aspetti sorprendente, non solo per le decisioni assunte (prima fra tutte lo scioglimento delle correnti di origine politica), ma anche per il cambiamento introdotto nella tradizione culturale della Cgil, con modalità e tratti per i quali non sono però assenti imprevedili elementi di continuità. Le sorprese erano già state preannunciate dalla lettura di quel ponderoso, e talvolta pedante, documento contenente il «programma fondamentale» e le tesi sottoposte al dibattito congressuale, che aveva cominciato a circolare nella scorsa primavera. Tali sorprese possono essere meglio apprezzate, e forse non più considerate tali, se si leggono programma, tesi, relazioni congressuali, ovvero i principali documenti scritti della nuova cultura della Cgil, sullo sfondo delle continuità nella tradizione più che quarantennale della Confederazione. La mia impressione a questo proposito, è meglio esplicitarla subito, è che la rilevante dose di cambiamento introdotta non è estranea ad alcuni caratteri costanti della tradizione culturale della Cgil, proprio quei caratteri che l'avevano resa una esperienza sindacale atipica nel panorama del sindacalismo europeo unionista e riformista. Quali sono questi caratteri costanti, o meglio, alcuni di questi caratteri? Sono innanzitutto due preoccupazioni, o due timori, spesso in contrasto fra loro, nel senso che l'eccessivo rispetto della prima può non impedire il verificarsi degli effetti previsti dalla seconda. Il primo timore potremmo definirlo il timore dei particolarismi, ovvero la preoccupazione di evitare l'espressione di interessi di piccoli gruppi o «corporativi», in qualche modo vulneranti l'unità e l'unicità della classe, del lavoro, del popolo, del popolo lavoratore (come amava dire Di Vittorio). Il secondo richiama una sorta di timore del distacco, ovvero la preoccupazione di evitare fratture, o anche solo incomprensioni, con la propria base di classe o con il mondo del lavoro, ed anche la tendenza ad evitare scelte di rappresentanza o di politiche rivendicative che possano in qualche modo creare problemi con la propria base di riferimento. Una base, è bene ricordarlo, che nella storia della Cgil non sarà mai costituita dai semplici iscritti, o «associati» al sindacato. Sono evidenti i margini potenziali di contrasto fra questi due timori. Margini che si sono puntualmente presentati nella storia della Cgil, e che, attraverso l'operato delle dirigenze, non sono stati sempre superati con efficacia. Il primo timore prevale, ovviamente, negli anni del dopoguerra, nel periodo della Ricostruzione, e si traduce, da una parte, in quel significativo

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