~.lLBIANCO lXILROS.SO ctiillil■ «La Repubblica dei partiti» P iù aumenta la confusione del1'attuale «quadro politico» italiano, più si sente il bisogno di ricostruirene la storia, di capire come mai un sistema politico formatosi con le massime garanzie di libertà e di democrazia sia potuto degenerare in «partitocrazia». Questo bisogno di studiare il passato per capire il presente porta molti studiosi a proporci interpretazioni di sintesi: gli avvenimenti del passato vengono letti alla luce delle preoccupazioni dell'oggi, si costruiscono nuove chiavi di lettura. Il nodo della riflessione del nuovo libro di Scoppola, di oltre 400 pagine, ruota intorno al «passaggio dalla necessità della democrazia dei partiti alla sua crisi». I dieci capitoli riguardano: l'eredità del passato; dalla politica delle elite ai nuovi soggetti popolari; dalla collaborazione al conflitto politico e ideologico; repubblica e costituzione; per una storia del centrismo; la cultura politica fra ideologie e realtà dello sviluppo; sviluppo senza guida e secolarizzazione; speranze e contraddizioni del centro sinistra; conflitti sociali e solidarietà nazionale; la crisi della democrazia dei partiti. Per Scoppola, nella configurazione dell'assetto politico del dopoguerra, hanno avuto un ruolo centrale due grosse personalità: Alcide De Gasperi per la Dc e Palmiro Togliatti per il Pci. Entrambi cercano di dare uno sbocco democratico alle contraddittorie istanze presenti nei loro ambienti di provenienza. All'interno del variegato «mondo cattolico», soprattutto nelle alte sfere del Vaticano, forti erano le pressioni che andavano in senso autoritario, per una soluzione politica come quella attuata da Salazar in Portogallo e per restringere gli spazi di autonomia del partito di ispirazione cristiana. Basti citare, a tale riguardo, due episodi, avvenuti in di Salvatore Vento due periodi diversi, che sono davvero emblematici per capire la cultura politica di allora. In un drammatico colloquio del 12 novembre 1946 tra De Gasperi e Montini (sostituito della segreteria vaticana e futuro Papa Paolo VI) si rende noto che la collaborazione con i partiti anticlericali (cioè l'alleanza d'unità nazionale della Dc con i partiti laici e di sinistra) non è più ammessa. Ancora nel 1956, dopo le elezioni amministrative e l'alleanza a Venezia tra socialisti e democristiani, il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, condanna l'intesa e l'organo della Dc veneziana «Il popolo del Veneto» diretto da Wladimiro Dorigo è costretto a sospendere le pubblicazioni. In un altro libro, pubblicato nel 1977, nel periodo della «seconda unità nazionale», La proposta politica di De Gasperi, Scoppola scrive: « ... un retroterra cattolico per nulla maturo alle responsabilità nuove della democrazia e largamente orientato verso sbocchi conservatori della crisi politica aperta dalla caduta del fascismo. Continuità del regime autoritario senza più Mussolini ispirata in qualche modo ai modelli franchista o salazariano». Scoppola sostiene anche, e queste sono affermazioni particolarmente significative nel centenario della Rerum Novarum (con molte celebrazioni nel centenario ma con pochi approfondimenti), che sin dagli anni di Leone XIII esisteva una tradizionale indifferenza della dottrina sociale cattolica nei confronti della democrazia. Alcide De Gasperi riesce, perciò, secondo Scoppola a far accettare al mondo cattolico nel suo complesso le regole della democrazia occidentale: e in quei tempi non era affatto scontato che questa operazione potesse riuscire. Nel «mondo comunista» forti erano 81 le attese e le speranze di fare come in Russia; l'accettazione della democrazia veniva considerata da molti militanti come una scelta tattica, in attesa dell'ora X rivoluzionaria in cui le masse in rivolta avrebbero conquistato il potere e imposto un nuovo ordine: la dittatura del proletariato. Da tener presente che nel 1945 gli iscrittial Pci erano1.770.896. Fin dal suo rientro in Italia Togliatti, con la svolta di Salerno, nel 1944, enuncia la scelta dell'unità nazionale, consapevole di agire all'interno del blocco occidentale, controlla ogni spinta antisistema (anche dopo l'attentato del luglio 1948), contribuisce a non far diventare l'Italia un paese dell'Est. Rispetto al contesto storico del secondo dopoguerra l'incontro delle diverse culture politiche per l'elaborazione della Carta Costituzionale rappresentò un grande momento di elevazione democratica, la sintesi più avanzata che ci si potesse aspettare. Ma la Costituzione formale non corrispondeva, fin dalle origini, alla costituzione materiale: prevalse lo spirito del rinvio: alle solenni e importanti affermazioni di principio non çorrispondevano le scelte concrete, non corrispondevano le azioni politiche. Scrive il grande giurista Piero Calamandrei: «Era caduto il fascismo e la monarchia, ma non vi era stata una rivoluzione che avesse cominciato dal far tabula rasa di tutto l'ordinamento precedente, per poi mettersi a ricostruire con nuovi materiali su un terreno sgombro dalle macerie». («nella Repubblica italiana sopravvive il Regno d'Italia», non sono battute, basti pensare che solo ora è stata emanata la Legge 142 di riforma delle autonomie locali, ancora rette da leggi del 1915 e 1934). Queste posizioni che facevano riferimento all'area intellettuale del Partito d'Azione e che potremmo definire di si-
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