Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

.i).tJ, BIANCO l.X.ILR~ •ilkliilll Pensioni: Marini così così. A quando la vera riforma? di Massimo Paci D irò subito che nei confronti del Progetto Marini ho sentimenti opposti. Da un lato, mi sono chiari alcuni suoi aspetti positivi non trascurabili. Dall'altro mi è chiara anche la distanza che separa questo progetto da una effettiva riforma del sistema e ritengo che si potrebbe e si dovrebbe fare di più, soprattutto a proposito dei rapporti tra Previdenza e Assistenza. Sugli aspetti positivi dirò poche cose, perché forse - in questo momento - è più interessante concentrarsi su ciò che ci divide e «fa dibattito». Positiva è anzitutto l'intenzione di raggiungere la parificazione normativa tra i vari regimi previdenziali e in particolare tra dipendenti privati e dipendenti pubblici; poi la difesa dei diritti acquisiti e la promessa di non andare ad una riduzione delle prestazioni; per quanto riguarda in particolare le conseguenze dell'ampliamento del periodo base per il calcolo della pensione da 5 a 10anni, mi sembra positiva la promessa del Ministro di mettere a punto un meccanismo efficiente di rivalutazione delle retribuzioni pregresse; più in generale, mi sembra che sia da apprezzare la presa di distanza che il Ministro ha operato rispetto alle posizioni di Carli e della Confindustria e il rifiuto di un'ottica «ragionieristica», secondo cui la riforma diventa solo un mezzo per risanare i conti dello Stato. Ci sono poi due aspetti del progetto che condivido solo parzialmente: l'ampliamento del periodo di riferimento per il calcolo della pensione e l'innalzamento dell'età di pensionamento. Sono d'accordo infatti che si debba agire su questi due fronti, perché si devono aumentare le entrate e non ridurre le uscite del sistema pensionistico. Non sono d'accordo però sulle modalità con cui il Ministro propone di intervenire. Anch'io - come molti - penso che l'innalzamento dell'età di pensionamento debba essere incentivata, lasciando al lavoratore (o alla lavoratrice) di decidere quando andare in pensione. Per quanto riguarda poi l'ampliamento del periodo di riferimento per il calcolo della pensione, ritengo che, se questo deve servire a lottare contro l'evasione contributiva, allora sarebbe meglio ampliarlo a tutta la vita lavorativa (come hanno proposto la Spi-Cgil e il Cnel). Questi due punti sono legati tra loro. Vogliamo veramente convincere i lavoratori a ritardare l'età di pensionamento e contemporaneamente vogliamo eliminare l'evasione contributiva? Ebbene, allora bisogna recuperare un effettivo collegamento tra la contribuzione versata dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa e il livello finale della sua pensione. Oggi questo collegamento è del tutto casuale. Oggi ci sono lavoratori che ottengono più di quello che dovrebbero in base alla loro contribuzione ed altri che ottengono meno. Il lavoratore invece deve poter vedere con chiarezza che c'è un rapporto tra contribuzione e pensione e che questo rapporto è lo stesso per tutte le categorie. Solo ampliando il periodo di riferimento a tutta la vita lavorativa e introducendo un minimo di incentivi per favorire le lunghe carriere contributive, noi possiamo ottenere entrambe le cose: e cioè, da un lato combattere l'evasione e dall'altro incentivare l'innalzamento spontaneo della età di pensionamento. Ma la colpa principale che mi sento di addossare al progetto del Ministro è una colpa di omissione. Mi sembra, cioè, un grave errore la rinuncia ad ogni intervento di riforma sui due terreni più scottanti e forse decisivi: la questione della previdenza integrativa e quella dei rapporti tra previdenza e assistenza (o meglio della revisione del sistema attuale di garanzia del reddito minimo pensionistico per i lavoratori e i cittadini). Su questi due terreni si gioca forse il futuro finanziario del nostro sistema pensionistico. Perché dico questo? Perché è ormai evidente che il finanziamento contributivo, per quanto lo si possa «strizzare», non è più sufficiente. All'in-

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