Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

bontà di cui Vi sarò sempre riconoscente, chiamandomi alla Missione di Milano, nessuno, cominciando dal mio Vescovo, si sarebbe accorto che non si può condannare a vita un prete che ha sempre voluto bene alla Chiesa più che a se stesso. Dalle voci che mi arrivano da Cremona e da Mantova, dove si dà per scontata la mia condanna, ho la sensazione che siamo a una svolta eguale a quella del 1953 e davanti a un eguale procedimento. Non conosco il diritto canonico e non ho scuse e neppure voglia di fornire spiegazioni. E a chi presentarle se nessuno si benigna d'ascoltarmi? Mantova è a due passi da Bozzolo e mons. Poma sa quali servizi ho reso anche alla sua diocesi in tempi calamitosi, testimoniando con non lieve rischio sulle piazze più comuniste, difendendo principi, istituzioni e uomini nostri. Cosa gli sarebbe costato un atto di cortesia, prima di portare querela davanti ai Vescovi lombardi, i quali mi hanno sentito parlare più volte nelle loro cattedrali e sanno che non sono né un cretino né un ribelle? E comincio dal mio Vescovo che avrebbe potuto spendere una parola per un suo vecchio prete, almeno per la devozione e la sincerità con cui l'ho sempre onorato e onorata la diocesi. Il silenzio non mi spaventa, né mi spaventa il sine die poco umano. Ho la morte a due passi, la quale mi libererà da ogni limite e da ogni potere dell'uomo. Lassù, l'adorazione in spirito e verità è così larga da compensare ogni strettezza terrena. Avevo incominciato questa lettera per domandarvi la carità d'un colloquio, ma ora che da più parti si dà per certo il provvedimento, l'incontro sarebbe un accrescimento di reciproca pena, e non ho il cuore di procurarvela e di procurarmela. Non mi rimane che una supplica e ve la confido senza molto contarci, benché sia qualche cosa di legato alla persona umana. Al Signore domando la grazia di sapere obbedire in pace; ma a Vostra Eccellenza e agli eccellentissimi Vescovi lombardi domando la grazia di darmi l'obbedienza in una forma che rispetti davanti ai miei parrocchiani «di dentro» e «di fuori», se non l'uomo, l'ortodossia della mia fede e la dignità della mia vita sacerdotale. Nessuno inclina a credere che per giustificare un così grave provvedimento possano bastare dei mancati riconoscii)JLBIANCO lXILROSSO ■ •HX4•~, aw ,,, menti alla validità dell'attuale formula di Azione cattolica e la sfiducia in qualche dirigente laico della medesima. Dalla mia famiglia ho ricevuto un nome povero ma onorato, e dalla mia vocazione un impegno continuato di fedeltà; e l'uno e l'altro dono non voglio che siano sottoposti a continue insinuazioni. Così non voglio riprendere l'umiliazione quotidiana di dover rispondere con menzogne o con reticenze a coloro che mi domanderanno un discorso o uno scritto. Sono già stato troppo umiliato su questo punto; e se merito di nuovo il castigo mi venga daL _ _ _ _ _ __ 79 to nel rispetto dell'uomo e con franca dichiarazione. Della mia obbedienza e del mio silenzio, Vostra Eminenza non può dubitare, come io non dubito della Vostra paterna lealtà. Bacio la Mano che mi suggella la bocca con inalterata affettuosa venerazione. Don Primo Mazzo/ari L. BE0Esctt1, «Obbedientissimo in Cristo. Lettere di don Primo Mazzo/ari al suo vescovo 1917-1959», A. Mondadori, Milano, 1974, pp. 248-251. IL TI/O PAJRll/l

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