Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

Per questo mi tremò l'anima sotto l'accorata dichiarazione di quel povero uomo, nella cui voce, più che la soddisfazione di ritrovarci sempre gli stessi, c'era la pena di un'altra speranza che crollava, di un nuovo filo di luce che si spegneva. Che potevo rispondere alla passione di quest'uomo, che è la passione di migliaia e migliaia di delusi, di perseguitati? - La Chiesa non è il partito: i cristiani non sono i popolari. - Buona sera, signor Parroco. Egli non accettava la discussione. Vi sono ragionamenti che non penetrano in certe teste: se corrono via lisci e persuasivi per chi ha una disciplina mentale, per i semplici sono un non-senso. La nostra gente, la quale ha una religione di autorità, cioè di persone e una dottrina che è storia, cioè episodi, non capirà mai certe distinzioni. Non per cattiva volontà, ma perché non può capire. Come pretendere che essa discerna delle cose che pur teoricamente sono co- ~-lLBIANCO \XILROS.SO l 1111 kl)1Mltl sì imbrogliate e che in pratica gli stessi uomini indifferentemente compiono? - La Chiesa non è il partito. - Sta bene, ed io mi auguro che non si lasci sfuggire una così bella occasione per dimostrare questa profonda e necessaria verità. Chi ha degli interessi può avere delle ottime ragioni per cambiare ilpasso: chi non ha una parola eterna e tremendamente chiara come quella del Vangelo, chi non ha una tradizione millenaria di martirio, può e deve transigere per vivere. I capilega, i sindaci, i prefetti, i presidenti dei consigli, hanno diritto di avere domani un'opinione diversa di quella oggi professata. L'occhiello alla giacca lo devono portare per qualche cosa. Le loro bandiere hanno dei colori e i colori sono di natura cangianti. Il Crocifisso, no. Il Crocifisso è una verità senza colore: è la resistenza dell'amore contro il male, qualunque male, fino alla morte. Queste cose pensavo tra me e me dopo il commiato, mentre rifacevo stancamente la viottola che mena alla Chiesa. Sui fianchi e sulla facciata di essa gli anonimi cronacai vi hanno segnato notte per notte i loro commenti. L'anno scorso, quando è venuto il Vescovo per la visita pastorale, si è dovuto far dare una sbiancata di calce sui fianchi. Si voltava pagina. Incominciava la cronaca fascista. Adesso, su quel bianco si stanno scrivendo con mano fantasiosa i geroglifici della nuova istoria, la quale se la deducessi di qui, non sarebbe certo molto promettente. Presto, quando tornerà il Vescovo, ci butteremo su un'altra manata di calce... Ma codesti intonachi non fanno pensare ai sepolcri imbiancati? ... Non starebbe bene, una volta tanto, far riapparire il rosso vivo della pietra primitiva? Come fare? lo credo fermamente che la Chiesa, madre di santi e di martiri, abbia conservato la chiave di certi segreti. P. MAZZOLARI, «Diario e Lettere», a cura di A. BERGAMASCHI,Dehoniane, Bologna, 1974, pp. 713-717. Al cardinale G.B. Montini, Milano Bozzolo, 21 gennaio 1959 Eminenza, prima d'avviare un discorso alquanto difficile, sento il bisogno di ringraziarvi della benedizione che mi avete mandato da Roma nei giorni fausti della Vostra elevazione a cardinale. Essa mi è giunta tanto più cara quanto meno attesa e meritata. Certe benevolenze vanno diritte al cuore e vi lasciano consolazioni e compensi inestimabili. La scorsa settimana, trovandomi a Milano presso i Carmelitani del Corpus Domini, mi diedi premura di chiedervi udienza, memore di un Vostro desiderio comunicatomi per lettera qualche mese fa, e confermato da parte mia da un vivo bisogno di intrattenervi su motivi che, a volte, Vi possono mettere in apprensione circa la mia devozione alla Chiesa e la mia maniera di servirla. Vi mancò il tempo di ascoltarmi, essendo presa Vostra Eminenza dalla Conferenza dei Vostri eccellentissimi suffraganei, dove avrete avuto modo di raccogliere qualche lagnanza su di me, aumentando così e di non poco le Vostre apprensioni. Posso scriverlo senza forzare l'immaginazione o l'invenzione, poiché S.E. il Vescovodi Mantova, allarmato da un tentativo d'inchiesta sull'Azione cattolica in diocesi da parte di un gruppo di giovani dietro l'esempio di Brescia, credendomi il loro suggeritore, va ripetendo da tempo che urge richiudere la bocca a don Mazzolari. È forse mia la colpa, se tutti i suoi parroci urbani, uno escluso, si sono espressi come si sono espressi? Ed è forse un mio demerito aver pregato il direttore di «Adesso» di non farne parola sul giornale per non aggravare la sorte di alcuni venerandi sacerdoti redarguiti dal loro Vescovo come seminaristi per avere aperto incautamente il loro animo? Trovo naturale che mons. Poma si sia appellato al suo Metropolita, il quale, per cancellare la «realtà» della Parrocchia e dell'Azione cattolica, dovrebbe punire un vecchio parroco, presunto portavoce se non proprio l'inventore di una crisi che nessuno può onestamente negare. «Adesso» fa quello che può, potrà anche farlo poco bene, poiché non è un mestiere facile far l'uomo libero e il cattolico fedele in questo clima; ma il dar colpa a me della sua libertà cristiana perché l'ho fondato e non posso non volergli bene nonostante le sue filiali incontinenze, mi sembra più comodo che giusto. Chi mi può accusare d'aver predicato contro l'Azione cattolica o denigrato la Parrocchia, che da quarant'anni è la mia famiglia? Quello che poi ho scritto sulla Parrocchia porta l'imprimatur, e non mi pare una maldicenza; se mai, una grossa pena, da cui molti sono dispensati. Nel 1953mi fu tolta la parola e la penna per un «filocomunismo» che nessuno ha mai potuto provare, perché smentito dai fatti. Fui condannato senza essere interrogato né prima né poi, sottobanco e senza termine. Se non fosse intervenuto Vostra Eminenza, con una

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