Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

missione. «La presente Enciclica mira a mettere in evidenza la fecondità dei principi... (che) impegnano l'autorità del Magistero, ma (anche) aproporre l'analisidi alcuni avvenimentidellastoriarecente; (in tal ambito) non intende dare giudizi definitivi, in quanto di per sé non rientra nell'ambito specifico del Magistero» (n. 3). In questa direzione le citazioni potrebbero diventare numerosissime e assolutamente probanti: la caratterizzazione teologica della dottrina sociale (n. 55), il criterio di giudizio antropologico più volte evocato (nn. 13, 36), l'affermazione netta e senza distinguo che «la Chiesa non ha modelli da proporre ... (ma) offre (un) indispensabile orientamento ideale ... a tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali (n. 43). Inutile proseguire: non vi sono più tracce nostalgiche di ipotetiche «terze vie», e contemporaneamente sussiste una consapevolezza molto vigorosa e autocontrollata del fine della dottrina sociale («la nuova evangelizzazione»: nn. 5 e 53) e del compito primario dei laici e di tutti gli uomini di buona volontà nel realizzare soluzioni adeguate ai principi proclamati. Su questo punto mi sembra si possa concludere, in modo un po' paradossale per certi «opinion leaders», che il magistero della chiesa cattolica è divenuto una garanzia di pluralismo «la verità cristiana ha come suo metodo il rispetto della libertà» (n. 46). Un secondo punto di riflessione può riguardare complessivamente tutto il capitolo quarto dell'Enciclica (la proprietà privata e l'universale destinazione dei beni), che per molti commentatori rappresenta il luogo della riconciliazione della Chiesa con il mondo moderno in genere ed il capitalismo in specie. Effettivamente si trovano in esso concetti e argomentazioni tratti dalle moderne scienze sociali, senza imbarazzi e perplessità: il libero mercato «strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere più efficacemente ai bisogni» (n. 34); il profitto «indicatore del buon andamento dell'azienda un regolatore della vita dell'azienda» (n. 35); ma quel che conta è che tutti gli istituti tipici del1'economia capitalistica (proprietà privata dei mezzi di produzione, libero ,P.lL BIANCO l.Xlt HOSSO i•ti@Olil lkllJ)• ill}lia.SIQD'tata coograttiana rasser,azn. uito il cmftrti amertani. haesalato r~tilOO respi'o, ••tantelietose anabased .-ll'Uffa. I 18APRILE1948 dianni5 Dhtie ~ti da tantaie,lta I datm I triste allUIZil la 1111h m craziaCristiana. mil ta d1814 nài d wa e i pi:cti •ta IP.S.D.L IP.R.L IP.L.1., cnumati dallkilre. La•azm tutta è iPJitata la tun■zn dellstinto clwl awà Q I 7GIUGNO 1953 flllelri ditta Fon:llttllli mercato, impresa, profitto, ecc.) sono ad un tempo legittimati e condizionati ad «un solido contesto giuridico che (li) metta al servizio della libertà umana integrale» (n. 42). Infatti è possibile che nell'impresa «i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati ed offesi nella loro dignità. Scopo dell'impresa ... è l'esistenza stessa dell'impresa come comunità di uomini» (n. 35). Come pure «la proprietà dei mezzi di produzione ... diventa illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà del mondo del lavoro» (n. 43). Inoltre a livello statuale viene chiarito quale sia quel contesto «istituzionale, giuridico e politico» che deve far da cornice vincolante al settore economico (n. 48): garantire la sicurezza, guidare l'esercizio dei diritti, svolgere in situazioni eccezionali funzioni di supplenza. Quello che comunque stupisce di più nel messaggio papale è la risonanza attuale (qualcuno potrebbe dire postmoderna, postindustriale) di messaggi religiosi sempre affermati: «la principale risorsa dell'uomo ... è l'uomo stesso»; dopo la terra e il capitale, «oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro». «Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e - quale parte essenziale di tale lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità» (n. 32). Complessivamente l'Enciclica suggerisce un criterio forte ed evocativo di orientamento dell'economia, sollecitando un impegno «per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica ecologia umana ... un'ecologia sociale del lavoro» (n. 38). In questa chiave risulta netta ed esplicita la condanna di «un'ideologia radicale di tipo capitalistico» che si rifiuti di affrontare i gravi problemi di «emarginazione, sfruttamento, alienazione, grande miseria materiale e morale» che permangono sia nel Terzo mondo che nei paesi più avanzati (n. 42). Il terzo ed ultimo punto su cui riflettere è, conseguentemente, il ruolo del sindacato. Ribadita la positività del conflitto sociale, quando esso si configura come lotta non violenta per la giustizia socia- : 66 - - - - -

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