Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

del profitto ma, rispetto ad esso, sia anche difesa (il che costituisce anzi obiettivo prioritario) la realizzazione di tutto le risorse umane derivanti dal lavoro e soprattutto l'universale destinazione dei beni in un'ottica solidaristica. E, anche se ci si può legittimamente domandare se l'economia di mercato possa superare la logica del profitto, subordinandola al bene comune e alla promozione dello sviluppo di tutti gli uomini, è fondamentale e meritevole di ulteriore riflessione ed elaborazione la prospettiva della centralità del lavoro che viene definito «forza attiva inerente alla persona», pertinente alla sua vocazione. È necessario superare la concezione del lavoro inteso come semplice fattore di produzione, e considerarlo invece strumento di sviluppo, di crescita dell'uomo. Nella relazione lavorativa devono affermarsi i valori della comunità e della solidarietà, e non quelli della competitività e del successo ad ogni costo. Molto importante è, a questo proposito, la funzione dei sindacati intesi non solo come strumenti di contrattazione, ma anche come «luoghi» di espressione della personalità dei lavoratori, come promotori di un'autentica cultura del lavoro, per aiutare i lavoratori a partecipare in modo pienamente umano alla vita dell'azienda (15). C'è l'auspicio di un grande movimen- ,.Ll-lt BIANCO lXILHOSSO I U•@J il ti to associativo dei lavoratori il cui obiettivo sia la liberazione e la promozione integrale della persona umana, nella consapevolezza che mediante il suo lavoro l'uomo si impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri (43). Ritengo che il nodo cruciale, la sfida epocale che tutta l'umanità, e in primo luogo tutti i governanti dei paesi ricchi dovranno affrontare nel terzo millennio sarà proprio quella di una giusta distribuzione dei beni, non solo all'interno di ciascun paese, ma soprattutto a livello mondiale. «Sono perciò necessari organismi internazionali di controllo e di guida che indirizzino effettivamente l'economia verso il bene comune» (58). A conclusione di questa riflessione sulla Centesimus Annus vorrei porre un interrogativo a proposito di quella che rimane, a mio parere, un'aporia dell'Enciclica stessa. Si tratta di questo: viene condannato il fondamentalismo religioso. Continuo è anche l'appello al confronto, al dialogo, alla collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Ma d'altro canto si dice, a più riprese, che la vera antropologia è solo quella cristiana (29), «che le scienze umane e la filosofia sono di aiuto per interpretare la centralità dell'uomo nella società, ma solo la fede gli rivela pienamente la sua identità vera e per questo la dottrina sociale è sia uno strumento di evangelizzazione che l'unica soluzione dei problemi dell'umanità» (54). Questo discorso e la convinzione su cui si fonda appaiono non privi di pericoli in quanto si considera una visione del1'uomo che ha il suo fondamento nella fede cristiana (visione che giustamente un Papa deve promuovere) come l'unica vera concezione dell'uomo. E allora, anche se si parla di dialogo, il rischio è che il dialogo non sia fra pari, ma fra chi conosce e possiede la verità e chi non la conosce, ed è quindi inferiore. Forse nel generale smarrimento e crisi di valori di oggi c'è bisogno di·questo? A proposito poi nel drammatico problema del sottosviluppo del Terzo Mondo, come si può non tener conto di quanto le scienze umane, e tanti uomini, credenti e non, ritengono fondamentale, proprio per contribuire alla soluzione del problema stesso e cioè di una corretta impostazione del problema della procreazione responsabile? Non dovrebbe anch'essa far parte di quella rivoluzione etica e culturale che il Papa auspica, che deve mettere al centro la formazione della coscienza e, di conseguenza, la libertà e la responsabilità del1'uomo in tutto, anche nella procreazione di un altro essere umano? Qui la visione wojtyliana della verità e della Chiesa che ne è depositaria appare risentire troppo di un certo trionfalismo e prefigurare, forse, una possibile nuova teocrazia. Un messaggio positivo che tocca tutti P enso che l'invito della rivista a sviluppare il dibattito sulla Centesimus Annus, a qualche mese di distanza dalla sua diffusione, consenta a tutti di vagliare meglio la prima ondata di reazioni «a caldo» apparse sulla stampa, proponendo qualche considedi Luigi Cocilovo razione meno emotiva e più di merito. In questo breve intervento vorrei concentrare l'attenzione su tre questioni di fondo. Il primo punto da analizzare con maggior equilibrio è l'accusa, da più parti riproposta, di integrismo e intolI 6s leranta emergenti qua e là nel documento. Condivido le opinioni della rivista (n. 17, pagg. 14-16) a difesa dell'Enciclica: penso che mai come in questo caso il magistero ecclesiastico sia stato vigile nel rispettare i confini della propria

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==