Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

.Plt BIANCO l.XltROSSO IU•@iltl L'uomo al centro dell'economia L ' Enciclica «Centesimus Annus» è un testo di ampio respiro etico e religioso che addita valori guida e percorsi per tutta l'umanità: è anche, però, nella sua complessità, un testo problematico, in cui, accanto a contenuti molto significativi, esistono alcune contraddizioni sul piano più propriamente politico, economico e sociale. Molto importante è la parte dedicata alle «cose nuove di oggi», ai grandi mutamenti avvenuti nel mondo e, in particolare, in Europa dopo l'anno 1989. Due enunciazioni basilari costituiscono la trama di tutte le argomentazioni dell'Enciclica e anche il criterio di valutazione della realtà e della situazione odierna: 1) Compito della Chiesa è quello di annunciare agli uomini di ogni tempo la buona novella dell'Evangelo incarnandola nelle diverse situazioni storicogeografiche. La nuova evangelizzazione di cui il mondo ha bisogno oggi, deve avere tra le sue componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della chiesa (5). 2) Alla base, della stessa, poi, vi è la corretta concezione della persona umana e del suo valore. Il senso più profondo dell'Enciclica è l'appello vibrante e insistente agli uomini della fine del secondo millennio affinché improntino tutte le loro opere, le loro costruzioni giudiriche, politiche ed economiche a questa concezione del valore della persona umana, nella sua libertà e responsabilità». Ogni uomo, quali che siano le sue convinzioni personali, porta in sè l'immagine di Dio, quindi merita rispetto» (22). Dovendo concentrare in poche pagine il mio intervento, vorrei soffermarmi su due problemi che ritengo importantissimi oggi. Si tratta del problema della povertà e del sottosviluppo e della funzione e del significato del lavoro umano. Cerdi Lorenzo Loporcaro tamente nell'Enciclica ampio spazio viene dedicato all'Europa dell'Est (probabilmente non poteva che essere così perché Giovanni Paolo II, Papa polacco, ha operato notevolmente affinché le iniziative di Solidarnosc andassero a buon fine e affinché il socialismo reale venisse sconfitto). C'è anche però nell'Enciclica una continua preoccupazione per i paesi del Terzo Mondo che soffrono spesso di condizioni di povertà assai più gravi (28). Il dramma del Terzo mondo è un dramma epocale di cui noi paesi del mondo capitalistico, siamo responsabili. Infatti, dimenticando che i beni della terra sono stati creati da Dio perché tutti gli uomini potessero usufruirne, ce ne siamo appropriati mediante tutti i meccanismi del «capitalismo selvaggio». E, anche se il socialismo reale è fallito perché, per la realizzazione di un'utopica futura uguaglianza di tutti gli uomini, come auspicata da Marx, spesso ha disprezzato la dignità e i diritti della persona, non si può certo dire che siano finite tra gli uomini e, soprattutto tra i popoli, le ingiustizie sociali contro cui il marxismo si scagliava. Anzi oggi queste disuguaglianze sono grandissime e scandalose. «Agli uomini del Terzo mondo non si riconosce dignità in quanto Io sviluppo economico si svolge sopra la loro testa ed essi, non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità (33). Esistono nella Enciclica due indicazioni nei confronti di questo drammatico problema, una di carattere etico-religioso e una di tipo economico-politico. È molto importante l'appello per un cambiamento di mentalità, richiesto dall'amore per l'uomo e in particolare per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo. Questo cambiamento di mentalità si fa concreto nella promozione della giustizia che non si potrà mai realizzare se i continueranno a considerare i poveri (uomini e popoli) come un fardello o come fastidiosi importuni che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto. L'elevazione dei poveri è invece una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità (28, 58). «E non si tratta solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano» (58). Bisogna superare la mentalità individualista, oggi così diffusa, per un impegno concreto di carità e solidarietà (49) per una reale condivisione e presa a carico dei più deboli. A mio avviso queste indicazioni per un rinnovamento etico e culturale riguardo all'impostazione del problema della povertà e del sottosviluppo, costituiscono un forte richiamo alla coscienza di tutti gli uomini di buona volontà che, qualunque ruolo o funzione esercitino nella società, possono collaborare al reale miglioramento dell'umanità. In molte pagine dell'Enciclica viene auspicata e prefigurata una organizzazione sociale che possa orientare tutti paesi (quelli usciti dal socialismo reale e i paesi del Terzo Mondo) sulla via del progresso economico e civile. La sconfitta del socialismo reale non significa che ci si debba abbandonare ad un'esaltazione generalizzata del capitalismo, i cui eccessi vengono bollati sotto l'etichetta di «capitalismo selvaggio». Tali eccessi sono considerati responsabili di tanti fenomeni di emarginazione e di sfruttamento, specialmente nel Terzo Mondo e di alienazione umana nei paesi più avanzati (42). L'opzione dell'Enciclica è per il libero mercato, per una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione in cui sia tutelata la giusta funzione

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