Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

dividuale che in quello sociale; di azione collettiva diremmo oggi. Ma in positivo, occorre non dimenticarlo si pronunciò in favore di ordinamento statuali liberi, e aperti al pluralismo sociale. Fu molto attenta la Chiesa, allora, a sostenere il principio di sussidarietà. L'intervento dello Stato in vista del bene comune, era tanto giusto quanto necessario. Ma esso non doveva essere totale. Il limite a tale intervento era rappresentato dal ruolo dei corpi sociali intermedi con il quale lo Stato doveva dialogare. Con il sapere di oggi potremmo scoprire qualcosa di più in quei lontani suggerimenti. Dal ragionamento, benché non appaia esplicitamente, emerge la negazione di ogni possibile giustificazione all'egemonia tra i grandi soggetti, Stato e corpi sociali (parti sociali diremmo oggi). Lo Stato non doveva egemonizzare la società, avendo a suo referente i cittadini ma scavalcando i corpi intermedi. Il capitalismo non doveva egemonizzare nè i lavoratori nè lo Stato. La classe operaia, non doveva egemonizzare lo Stato e le strutture economiche, a mezzo della lotta di classe. La cultura politica dell'epoca specie in Europa ha fatto, invece, del concetto di «egemonia» la chiave risolutrice di ogni problema. Le basi etiche, logiche e operative dei fascismi e dei socialismi si ritrovano tutti intorno al concetto di egemonia. Una tentazione cui non è sfuggita per secoli la stessa Chiesa quando ha ritenuto che vi fosse una relazione diretta e immediata tra fede e dottrina da una parte e assetti politici economici e sociali dall'altra. Quando ha ritenuto cioè possibile uno Stato confessionale cristiano. Questo è certamente il passato, questo non è certo il presente. E nessuna forzatura del tipo di quelle improvvidamente presentate da Martelli basta a smentirlo. La Centesimus Annus, non mi pare innovi granchè gli orientamenti di fondo della Rerum Novarum. Certo non manca di richiamare i nuovi problemi quelli delle sperequazioni tra Paesi ricchi e poveri, quelli delle nuove diseguaglianze sociali nei Paesi ricchi, quelli dell'ambiente, quelli dell'individualismo e del consumismo s~nza freno, quelli dei nuovi poteri econo- ~.V.,BIANCO l.XILROSSO ■111@11111 miei e mondiali. Tutto questo è pretesa di egemonia, è modello politico da imporre a tutti? Personalismo, diritti individuali ed etica della solidarietà, sono state le ricette di sempre e risottolineate anche nella nuova situazione. Giovanni Paolo Il, è bene non dimenticarlo, come i suoi predecessori, parte da una visione umano-centrica. Prima viene l'uomo, comunque l'abbia fatto e voluto il Creatore, poi vengono la religione e la Fede. L'uomo è la via della Chiesa, dice il Papa. Ciò significa che la Chiesa non vuole e non può essere, sopra o vicino all'uomo. Ma, semplicemente, per l'uomo com'è. Nelle affrettate polemiche postenciclica, mi sembra giusto non ignorare la doppia lezione del Concilio Vaticano II. Lezione per la Chiesa, per un definitivo abbandono di ogni idea di confessionalismo e di egemonia tipici della confusione tra fede e politica, anche se occorre uno scambio permanente tra le due autonome dimensioni. Lezione per i cristiani cui spetta, nell'autonomia del secolo, di sperimentare le vie e i mezzi per tradurre gli orientamenti ideali proposti dal Magistero, in politiche, azioni e fatti. Mi pare sia utile per tutti richiamare la riflessione del Cardinal Martini rivolta recentemente alla comunità islamica di Milano. A proposito qelJa secolarizzazione dell'Occidente cristiano ricorda il «diffici- : 59 le fenomeno del cristianesimo nell'alveo della modernità negli ultimi tre secoli». Poi afferma «la confrontazione tra pensiero moderno, razionale, scientifico e tecnico, tendente all'analisi e alla distinzione dei ruoli e delle competenze e la tradizione cristiana uscita dal mondo unitario medievale, ha segnato un cammino faticoso di cui solo il Concilio Vaticano II ha potuto consacrare alcuni risultati armonicamente raggiunti, pur se non ancora del tutto recepiti». Il richiamo di Martini al Vaticano II sta ad indicare che la Chiesa è consapevole dei problemi posti da società pluraliste che tra l'altro si avviano ad essere anche multirazziali. Come in tutte le vicende umane sono possibili scarti dalla linea di fondo o rallentamenti. Ma le vicende della modernità nei Paesi occidentali spingono più verso il chiarimento sul tema delle competenze e delle autonomie reciproche che verso soluzioni integriste. Poi ci sono i cattolici nei quali è accentuata la consapevolezza dell'autonomia del laicato. Possono, certo partecipare come accade alle conferenze episcopali ed arricchire le indicazioni del Magistero. Ma il loro impegno principale è quello, se vi riescono, di trasformare le indicazioni in fatti. Fermo restando l'altro principio della libertà di coscienza nelle cose del secolo che la Chiesa non vuole ne può violare. La Chiesa è «maestra di umanità», ha detto Giovanni Paolo Il. Spetta però agli economisti, ai politici, ai sociologi agli scienziati il compito di trovare soluzioni pratiche nell'ambito del sapere scientifico. Non prospettive neo-integriste dunque, ma prospettive di ulteriori definizioni di ruoli competenze e sfere di azione. La linea è chiara anche se il cammino sarà come sempre tormentato. Per questo mi pare ci sia un che di vecchio nei soprassalti, più o meno autentici di vetero anticlericalismo. C'è infine, qualcosa di nuovo che nasce dalla crisi dei valori di fondo espressi dalla cultura laica. Non è certo in causa la convincente prova che hanno dato gli assetti ordinamentali e organizzativi espressi dal processo moderno dall'autonomia del sapere e delle strutture politico-sociali. Emergono piuttosto, nell'ambito secolare, riflessioni sulla insufficienza dei valori di riferimento. La morte, l'indi-

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