scernimento comunitario. Le possibilità dell'economia di mercato rischiano allora di sfociare in pericolose contraddizioni: enfatizzazione degli squilibri sociali, economici, occupazionali a livello settoriale e territoriale. combinazione caotica di spinte centrifughe e di spinte centripete con conseguenti processi di disarticolazione; - rafforzamento dei disegni egemonici da parte di concentrazioni di potere che si esprimono nella finanza, nel1'industria, nei mass media; - tendenza a considerare il sociale come sottoprodotto dell'economico, ecc. In definitiva l'uomo di oggi, l'uomo occidentale si presenta ricco di strumenti ma povero di fini, di valori. In questa inversione tra i mezzi e i fini trovano la loro radice le moderne forme di alienazione nell'ambito delle quali l'uomo si priva, come sottolinea l'Enciclica, della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in una relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini. Come fuoriuscire da questo circolo vizioso? La soluzione, secondo la Centesimus Annus, non può essere trovata ali' interno delle contraddizioni e dei problemi oggi sul tappeto. L'economia chiede ad un tempo trascendimento e umanizzazione. La logica del «sempre di più» delle· stesse misure va incontro a pericolosi effetti di rigetto. La questione dei fini e dei valori è ineludibile. Non si può prescindere dalla responsabilità e dalla progettualità dei soggetti. Responsabilità e progettualità eticamente fondate, responsabilità e progettualità capaci di orientare, creativamente, l'impresa e il mercato al bene comune. I tradizionali paradigmi della scienza economica (l'utilitarismo ovvero la ricerca del proprio tornaconto come criterio di razionalità da un lato e una sorta di «darwinismo sociale» come garanzia di saldatura tra interessi individuali e collettivi dall'altro) entrano in crisi tanto a livello interpretativo quanto normativo. Le grandi questioni della ecologia, dell'emarginazione, del divario Nord-Sud, delle concentrazioni di potere capaci di condizionare le preferenze e i comportamenti sociali rivelano ampiamente l'insufficienza e l'inadeguatezza sia del mercato come ~.tt BIANCO lXILROSSO i•Xi@ihitl supremo regolatore sia dell'individualismo metodologico come norma comportamentale. In questo contesto si inserisce il principio della «destinazione universale dei beni». Il principio trova nell'Enciclica sviluppo e approfondimenti significativi. Le risorse che legittimamente rientrano nella sfera della iniziativa e della proprietà individuale (così come si esprime nella impresa, sul mercato, attraverso il lavoro) generano ed acquistano, per così dire, un «valore addizionale», un «sovrappiù» in funzione del loro orientamento verso il bene comune, secondo una «catena di solidarietà che si estende progressivamente». «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti» (C.A., 43). Queste ultime riflessioni esprimono tutta la loro carica dirompente a livello di comunità internazionale nel cui ambito alle relazioni nord-sud si sommano, oggi, quelle est-ovest con la proposizione di nuove frontiere di «solidarietà creatrice». Tale «solidarietà creatrice», perseguibile sulla base di una «concertazione mondiale per lo sviluppo» determina alcune implicazioni ben precise sulle quali verificare la volontà dei singoli e delle nazioni di dar seguito concreto al principio della destinazione universale dei beni, superando la soglia di adesioni tanto enfatiche quanto vuote. La Centesimus Annus è puntuale e inequivoca al riguardo laddove fa riferimento al «sacrificio delle posizioni di rendita e di potere di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano». «Ciò può comportare - prosegue l'Enciclica - importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco delle risorse ambientali e umane, permettendo così a tutti i popoli e uomini della terra di averne in misura sufficiente» (C.A., 52). Si tratta in definitiva di mettere in circolarità virtuosa da un lato gli sprechi dei paesi ricchi e dall'altro le potenzialità umane e di lavoro, non adeguatamente o per nulla valorizzate, esistenti nei paesi poveri. Occorre coraggio e fantasia nella prospettazione di adeguati meccanismi operativi. Perché non pensare sotto questo profilo a una sorta di fiscalità gestita e garantita a livello internazionale e finalizzata allo sviluppo e riequilibrio? All'inizio di questo anno tutti avremmo sopportato l'aumento del prezzo del petrolio in nome di una guerra, perché non lo possiamo oggi promuovere ed accettare in nome della pace mediante un sistema concertato di governo programmato del prezzo di questa risorsa critica, destinando una parte dell'incremento di prezzo alla alimentazione di un fondo per la crescita e la solidarietà internazionale da utilizzare ad esempio, sotto il controllo delle Nazioni Unite? Gli effetti positivi potrebbero essere di grande rilievo, così come potrebbero essere di grande rilievo quelli discendenti dalla gestione attiva del legame tra debito internazionale e tutela dell'ambiente. Del pari, sempre nella stessa ottica, potrebbe essere ripresa e aggiornata, estendendola ai Paesi dell'Est, la proposta del compianto Tarantelli della creazione di una sorta di «scudo dei disoccupati» ovvero di moneta europea destinata a finanziare la lotta contro la disoccupazione in ciascuno dei paesi in proporzione del tasso dei senza lavoro. «Salvando i disoccupati di oggi si salverebbe alla lunga - diceva Tarantelli - forse anche l'Europa. La produttività e l'efficacia delle risorse - da gestire nell'ottica della loro destinazione universale - presuppongono un'ipotesi forte di partecipazione, di allargamento delle responsabilità individuali e collettive come modo per cogliere e valorizzare le interdipendenze tra gli uomini e le situazioni, promuovendo comportamenti più giusti e al tempo stesso più innovativi. La «Centesimus Annus» richiama a questo proposito il concetto di «soggettività della società» e sottolinea la necessità che si creino le condizioni affinché tale soggettività abbia ad esplicarsi pienamente nel vivere civile, nella produzione, nel consumo, nel mercato medesimo fornendo ad esso quelle coordinate morali e culturali di cui la mera razionalità economica si rivela largamente incapace. Resta pertanto valido e pregnante l'impegno a spostare in avanti le cosiddette compatibilità economiche e finanziare, ad allargare l'ambito delle convenienze, a non considerare come definitive le acquisizioni raggiunte, a mantenere vivo il rapporto tra i risultati conseguiti e le attese di risultati nuovi più ricchi in umanità.
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