Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

ne delle iniquità nella distribuzione del reddito il salto è senza mediazioni verso un antagonismo disarmato, che per non «sporcarsi le mani» negli ingiusti meccanismi del profitto, rinuncia anche a lavorare per una diversa regolazione dei rapporti di forza tra le parti. La Centesimus Annus richiama invece tutti alla realtà. E con questo riporta i rapporti economici sotto la responsabilità dei soggetti coinvolti, e proprio tale responsabilità mette in guardia dai limiti, i disvalori e le insufficienze del modello capitalista. In questo senso aver dato cittadinanza al mondo del profitto e del mercato non è affatto aver sancito una primazia: anche il profitto e il dinamismo dell'impresa e del mercato debbono concorrere infatti alla costru- .{)_(LBIANCO lXlt ROSSO liti@iilli zione di quelle «società del lavoro libero, dell'impresa, della partecipazione» che la Chiesa indica e che trascende ogni modello attualmente sperimentato. L'Enciclica è uno sguardo credente, dunque, ma non disincarnato. Essa infatti osserva direttamente, a partire dal1'iniqua distribuzione delle risorse sul pianeta e dalle sue cause, le tensioni nella sfera dei rapporti economici e sociali, l'agenda e gli ambiti di intervento dei soggetti collettivi ed in particolare del «grande movimento associato dei lavoratori» che per la Centesimus Annus «è ancora necessario» e deve aver come obiettivo «la liberazione e la promozione integrale della persona». È nel merito della nostra sfera di interesse che la Chiesa entra, ed è proprio sul nostro terreno che si candida ad essere un interlocutore, parlando al movimento sindacale occidentale, quello nato e cresciuto nei paesi industrializzati, perché dilati la sua visione e la sua azione da un approccio «domestico» ad uno planetario, in virtù della responsabilità che tutti hanno verso tutti. Per tutto questo, per l'attenzione che il sindacato deve ai lavoratori e ai suoi militanti, e anche per tenere elevate le motivazioni di un impegno entusiasmante e faticoso insieme, non possiamo fare a meno di considerare questa Enciclica un avvenimento importante, fonte di cambiamenti con cui anche il sindacato dovrà fare i conti e a cui dovrà rispondere per il compito che ha di rappresentare. Umanizzare l'economia a vantaggio di tutti L a necessità di fornire ai paesi dell'est europeo una base teorica e pratica per gestire una difficile transizione, dopo il fallimento del marxismo, può costituire l'occasione per una riprogettazione complessiva dei rapporti economici mondiali su nuove basi di solidarietà. Ciò che è accaduto nell'Europa centrale e orientale riveste per la Centesimus Annus «una importanza universale». Che le sorti dell'est e del sud del mondo siano strettamente collegate alla crescita dei paesi industrializzati, in special modo dell'occidente, è fuori discussione. Sarebbe però un errore gravissimo se si ritenesse di poter risolvere il problema dello sviluppo complessivo mediante un acritico e meccanico trasferimento di modelli produttivi e sociali capitalistici, in funzione di una loro presunta bontà intrinseca e forza omologante. L'errore sarebbe gravissimo almeno per tre motivi: di Lorenzo Caselli - in primo luogo si opererebbe una marcata sottovalutazione delle ragioni che stanno alla base del crollo dei regimi collettivisti. Queste, prima che economiche, sono ascrivibili alla «insopprimibile ricerca di identità e di senso della vita a riscoprire le radici religiose della cultura e la stessa persona di Cristo, come risposta esistenzialmente adeguata ... » (C.A., 24); - in secondo luogo gli equilibri esistenti nelle aree industrializzate si ripeterebbero, in maniera ancora più accentuata, nei paesi di cui si vorrebbe incentivare lo sviluppo, generando nuovi meccanismi di dipendenza, stante anche la mancanza in questi ultimi paesi di adeguati poteri controbilancianti; - in terzo luogo le risorse disponibili sarebbero comunque insufficienti e residuali, con una forte impronta d'uso sancita dai paesi ricchi. Ne potrebbero discendere tanto guerre tra poveri quanto forme sottili e più raffiI 55 nate di neocolonialismo culturale. Nessuno può oggi disconoscere - a fronte del fallimento di altre soluzioni - il dinamismo, il vitalismo, l'intraprendenza dei sistemi economici che riconoscono «il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata, della libera creatività ... » (C.A., 42). Le trasformazioni non sono mai state così intense e pervasive come al presente; il progresso scientifico e tecnologico sembra andare oltre se stesso. Purtuttavia un grande deficit di razionalità caratterizza oggi questi sistemi, sistemi che non appaiono in grado di rispondere ad alcuni interrogativi fondamentali: sviluppo, trasformazioni per chi? per quali fini? in nome di quale progetto? in vista di quali assetti sociali? La potenza dei mezzi economici e tecnici mette tra parentesi la razionalità dei valori; il calcolo individuale o di gruppo fa premio sulla valutazione e sul dj-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==