B servando il suo significato eminentemente religioso ed escatologico, si rivela come appello forte ed urgente alla coscienza di ciascun uomo di buona volontà, credente o non credente, perché consideri la «persona» quale fine di ogni attività economica, politica e sociale. In questo senso prende corpo, più di quanto i molti commentatori dell'Enciclica non abbiano messo in evidenza, l'approccio critico di Giovanni Paolo II ad una modernizzazione capitalistica svincolata da regole coerenti col fine «persona». È fin troppo facile infatti, dopo i rivolgimenti internazionali dell'89, constatare il fallimento dei comunismi e il disfacimento del socialismo reale fondato su «un'errata concezione della persona», che ne annullava la sua autonomia e soggettività. Ben più complessa si presenta l'opera di ricostruzione delle condizioni nuove perché, sia nel Nord che nel Sud del mondo, si concretizzi quella socialità dell'uomo che non si esaurisce nello Stato ma che «si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno - sempre dentro il bene comune - la propria autonomia». In altre parole, la Centesimus Annus elogia sì l'economia di mercato ma prende nettamente le distanze dalle sue versioni patologiche che, alla pari del sistema collettivistico, riducendo la persona ad essere monodimensionale nella soddisfazione materialistica dei bisogni, spesso ridotta dal sistema consumistico e dunque non autentici e non utili al progresso dell'uomo. Declinare in chiave quantitativa lo sviluppo dell'uomo e della società intera produce effetti sociali dirompenti: amplifica l'individualismo, corrode i vincoli di solidarietà tra gli uomini in perenne competizione fra loro, inaugura nuove forme di colonialismo. Una realtà che può essere presa come simbolo di questo modello di sviluppo distorto è purtroppo il nostro Mezzogiorno che, oggetto di una logica politica meramente redistributiva, sorretta da una concezione di sviluppo solo come accesso ai consumi, ha visto crescere assieme ai valori della mobilità e del successo anche l'illegalità, la criminalità organizzata, nuove marginalità e meccanismi di dipendenza, a causa an- - - --- - - - - -- .P-lLBIANCO l.XILR~ liti@Olil che di un tessuto culturale e sociale rimasto fragile e restio al cambiamento. Il rapporto politico ed economico, sviluppo ed ambiente, Nord-Sud del mondo mettono in evidenza la crisi della politica, ma al tempo stesso esigono una nuova politica, il ritorno alla sua centralità per governare i cambiamenti attraverso nuove mediazioni progettuali. Questa idea che permea tutta la Centesimus Annus è strettamente legata alla centralità della persona, mortificata dall'ideologia nei paesi del socialismo reale, dalle inefficienze dell'amministrazione statale, talvolta dall'assenza dello stato, nelle progredite città dell'occidente democratico. Per assicurare cittadinanza piena a ciascuno non basta garantire il diritto naturale bisogna invece ripartire dagli ultimi per ricostruire con essi una nuova partecipazione dal basso per riformare la politica come risposta ai bisogni iscritta in un progetto di trasformazione globale. Solo così la prospettiva di sviluppo del Sud del mondo può essere salvaguardata da un'idea di inesauribilità delle risorse e dei bisogni, basi culturali del sistema capitalistico a cui hanno guardato in questi anni i sistemi politici occidentali. L'economia libera, come la definisce la Centesimus Annus, sarà valida solo se vincolata a compatibilità ecologiche, etiche e sociali sia ché, in termini solidaristici, è sacrosanta la «universale destinazione dei beni», sia 54 per la necessità che il pianeta - e dunque l'uomo - sfugga all'autodistruzione. Di fronte alla progressiva caduta delle ideologie, l'Enciclica sceglie significativamente di «stare nella storia», rinunciando cioè a rifare ideologia, come invece avrebbe potuto aggiornando in senso normativo la sua centenaria dottrina sociale, sponsorizzando un modello economico e sociale o costruendo in proprio una nuova proposta, compiuta e rassicurante, di interpretazione delle «res novae». Si sgombra così un campo che rimane libero da rigidità ed arroccamenti e che produrrà certamente un incontro nuovo tra Chiesa e movimento operaio, rimescolando e/o saltando del tutto gli antichi steccati, favorendo inediti canali di comunicazione e di reciproca «contaminazione» (l'esperienza polacca, in questo senso, non rappresenta affatto una formula definitiva). Sul versante «lavoro», l'Enciclica segnala una sostanziale novità, utilizzando in modo «neutro» una terminologia fino ad oggi ignorata oppure implicitamente connotata in negativo. Essa tratta diffusamente, quasi a comporre un glossario di base, termini quali economia d'impresa, profitto, partecipazione, mercato, ecologia sociale del lavoro, qualità totale, per definire la realtà di cui si parla, spostando di fatto anche i confini delle responsabilità dei laici credenti. Questa parte dell'Enciclica è di grande significato, mostra una «riconciliazione» tra la dottrina sociale e il «nuovo». In effetti, la Centesimus Annus colma un vuoto concettuale e di giudizio troppo a lungo presente e che per anni ha tenuto separate nella coscienza dei credenti la comprensione e l'interpretazione (morale) del lavoro da quella dei meccanismi di accumulazione e di distribuzione finale del reddito. Un vuoto di concetti e di parole che ha operato un vero e proprio tecnicismo di censura, e che ha spinto per esempio - in certi anni ma anche più recentemente - fasce non marginali del cattolicesimo italiano a radicalizzarsi e nello stesso tempo a rifiutarsi di acquisire strumenti e linguaggi di negoziazione e di partecipazione, con cui tentare «compromissioni» positive con i temi dell'economia e con i problemi legati al rapporto tra mercato e produzione. Dalla percezio-
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